Marco Damilano
Sfida al trumpismo, ai progressisti serve un nuovo inizio
Domani, 20 aprile 2025
Pasqua è passaggio. Per il popolo ebraico è stato il passaggio dalla schiavitù in Egitto alla terra promessa. Per il cristianesimo è il passaggio dalle tenebre della morte alla luce della vita nuova, della rinascita. Per la storia è la possibilità di un cammino, la negazione di un ciclo inesorabile che annulla la libertà della persona, la sua individualità.
«L’Esodo è il racconto dell’affrancamento e della liberazione espresso in termini religiosi, ma è anche un racconto storico, secolare terreno», scrive Michael Walzer in Esodo e rivoluzione.
«Una storia politica decisamente lineare, un deciso movimento in avanti. L’Esodo è l’alternativa a tutte le concezioni mitiche dell’eterno ritorno, per cui gli uomini e le donne e le loro azioni nel tempo perdono la propria singolarità. Nell’Esodo gli eventi storici accadono solo una volta: una storia di speranze radicali e di impegno terreno».
La premessa dell’idea di rivoluzione, che sogna la cesura netta con il passato, il nuovo inizio, il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente, ma anche dell’idea di riformismo, che altrimenti diventa pura gestione dei rapporti di forza, senza cambiamento possibile.
Rivoluzione conservatrice
Nella Pasqua 2025 assistiamo a una rivoluzione in corso, imposta da Donald Trump dalla Casa Bianca, che non mira a rovesciare o a redistribuire i rapporti di forza, ma a renderli intangibili. Una rivoluzione conservatrice su scala mondiale che, a differenza di quella reaganiana degli anni Ottanta, avanza per mano dello Stato e non senza o contro, a colpi di ordini esecutivi. Non libera l’individuo, ma lo rende solo, più insicuro, più bisognoso di protezione.
L’incontro alla Casa Bianca di Giorgia Meloni è poca cosa in questo contesto, è una vittoria tattica della premier che ha dichiarato di avere come obiettivo, nientemeno, che rifare grande l’Occidente. Ma a fondare una parte della cultura dell’Occidente è stato il movimento in avanti cominciato con il racconto biblico dell’Esodo, l’avanzare verso la terra promessa che è patrimonio di tutta l’umanità.
Mentre l’Occidente che si vorrebbe rifare grande è la negazione di quel movimento, è la riduzione della democrazia a guscio vuoto, perché privata del sogno di mutamento che ne è il motore.
I primi ad aver interrotto il progresso sono stati proprio i progressisti degli ultimi decenni che si sono accontentati di vivere nel migliore dei mondi possibili, questo, avendo perso ogni intenzione e voglia di cambiarlo. Ma il trumpismo aggiunge la volontà di scatenare le paure, le frustrazioni, la voglia di rivalsa di chi sente venir meno le posizioni.
Rapporto con la Casa Bianca
L’Italia meloniana, e prima berlusconiana e salviniana, è il laboratorio di questa ideologia, in questa identità costruisce il suo rapporto speciale con l’inquilino della Casa Bianca.
Per chi vuole affrontare questa sfida globale, in Europa, in Italia, non c’è alternativa: riprendere il viaggio, uscire dalla difensiva, sapendo che non sarà un percorso breve e neppure indolore. Una sfida più culturale che politica, come culturale è l’assalto trumpiano alle certezze infrante del mondo di ieri.
«La nostra convivenza ferita, in questo mondo a pezzi, ha bisogno di lacrime sincere, non di circostanza. Altrimenti si avvera quanto predissero gli apocalittici: non generiamo più nulla e poi tutto crolla», ha scritto papa Francesco nelle sue meditazioni in occasione della Via Crucis del venerdì santo al Colosseo.
Quasi una sintesi del suo pontificato: la Chiesa che appare «come una veste lacerata», il pensiero per «chi giace alle frontiere e sente finito il suo viaggio», «i costruttori di Babele che raccontano che non si può sbagliare e chi cade è perduto. È il cantiere dell’inferno. L’economia di Dio invece non uccide, non scarta, non schiaccia». E la preghiera all’uomo di Nazareth che muore in croce da innocente: «Tu spiri, e questo respiro, ultimo e primo, chiede solo di essere accolto». Scritto da chi, negli ultimi mesi, ha combattuto per respirare.
In queste settimane di malattia papa Francesco somiglia sempre di più a come lo racconta Javier Cercas nel suo ultimo, potente libro (Il folle di Dio alla fine del mondo, Guanda), il racconto di una domanda (qual è il segreto che nasconde Francesco, chi è il Bergoglio autentico) che ne contiene un’altra (ci sarà la resurrezione della carne?).
È l’enigma decisivo del cristianesimo, il passaggio finale. Papa Francesco appare come altri personaggi di Cercas un eroe contemporaneo. Non più il conquistatore o un condottiero come Mosè, l’eroe della ritirata è disposto a cedere una parte di sé, delle sue ricchezze che ormai contano poco, degli apparati, dei dogmi, a rischiare l’incomprensione e perfino la sconfitta, per salvare quanto c’è di più prezioso e vitale.
Una lezione che vale sul piano civile e politico. Anche la democrazia è lacerata. Di fronte ai costruttori di Babele antichi e nuovi che hanno mezzi potentissimi per far risuonare le voci, in un frastuono indistinto, bisogna riaprire la possibilità del passaggio.
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