lunedì 20 gennaio 2025

Cecilia Sala. La prigionia



Flavia Amabile, Le tappe della vicenda, La Stampa, 20 gennaio 2025

Subito dopo la liberazione la giornalista Cecilia Sala aveva raccontato una parte di quello che era accaduto nei 21 giorni di prigionia nel carcere di Evin a Teheran nell'intervista rilasciata ieri sera a Fabio Fazio durante il programma Che tempo che fa sono emersi alcuni dettagli nuovi sugli interrogatori, sulle tecniche utilizzate dai carcerieri per indurre i prigionieri a confessare anche quando non si è commesso alcun reato come è il caso della giornalista italiana. «Avvenivano ogni giorno, per 15 giorni, incappucciata – ha raccontato Cecilia Sala –. Sei sempre solo anche quando non sei solo, quando qualcuno ti interroga sei incappucciato, faccia al muro. Nel corso degli interrogatori ci sono momenti in cui ti fanno rilassare, magari con una sigaretta. La mia impressione è stata che loro volessero trovare qualcosa di me che dimostrasse che non ero una giornalista». A interrogarla era sempre la stessa persona. «Il giorno prima della mia liberazione, annunciata alle 9 di mattina dell'8 gennaio, mi hanno interrogata per dieci ore». Chi poneva le domande conosceva bene l'Italia. «In un'occasione mi ha chiesto se preferissi la pizza con l'impasto romano o napoletano, e questa è una cosa che solo chi ha familiarità con l'Italia può chiedere», spiega la giornalista.

Nessuno le ha fatto del male durante i 21 giorni in carcere. «Non mi hanno mai toccato, anche perché i maschi non possono neanche sfiorare le femmine, mi portavano con un bastone nella sala degli interrogatori. Ero incappucciata anche per andare alla toilette». Sono molti i modi per rendere le persone psicologicamente più fragili. «C'erano fari al neon sempre accesi e quando non dormi per giorni perdi anche fiducia nella tua testa», ha ricordato la giornalista. E poi i rumori: «Quando si aprivano le porte sentivo una ragazza di una cella vicina che prendeva la rincorsa per sbattere la testa il più forte possibile contro la porta. I rumori che arrivavano dal corridoio erano strazianti, spesso urla o pianti, erano tentativi di farsi del male di detenute in isolamento».
Cecilia Sala non sapeva nulla di ciò che accadeva fuori ma è riuscita comunque a far trapelare delle informazioni. «Nella prima telefonata potevo dire di essere stata arrestata e di non essere stata ferita. Poi le telefonate sono diventate un po' più lunghe e riuscivo a passare delle informazioni a Daniele (Raineri, il compagno, ndr)». Per esempio che non aveva un materasso e un cuscino. Un giorno, però, i carcerieri le hanno comunicato una notizia. «Quando mi hanno detto che era morto Jimmy Carter, che era il presidente della presa degli ostaggi nell'ambasciata Usa a Teheran, quella è l'unica notizia che mi hanno dato dall'esterno. Lì ho capito che il messaggio era: sei un ostaggio». L'arresto è avvenuto mentre si trovava in albergo a lavorare. «Hanno bussato e mi hanno portata via. Ho capito dove mi stavano portando perché conosco il carcere che è dentro la città. Ero bendata ma dal traffico e dalla strada che stavamo facendo ho capito che stavamo andando lì».
Dopo un lungo periodo in isolamento, la giornalista ha condiviso per qualche tempo la cella con un'altra detenuta e ha raccontato che «la prima cosa di cui abbiamo parlato con la è stato come capire che ora fosse. C'era una piccola finestrella sbarrata in alto e da lì abbiamo giocato a capire dal riflesso che ora fosse». I primi giorni, quando era in isolamento, sono stati i peggiori.
È stato allora che le hanno tolto gli occhiali, ma anche le lenti a contatto che porta. «Questa è stata l'operazione per liberare un ostaggio preso in Iran più rapida dagli anni Ottanta. Seguo l'Iran da giornalista e quindi conoscevo gli altri casi», ha spiegato. Rispondendo a una domanda di Fabio Fazio, Sala ha chiarito anche il coinvolgimento di Elon Musk nella sua liberazione. «Nessuno della mia famiglia e neanche Daniele ha mai parlato con Elon Musk. La mia famiglia in quei momenti ha provato a parlare con tutti. Daniele ha contattato il referente in Italia di Musk, Andrea Stroppa, per chiedere se potesse avere notizie, perché Musk in precedenza aveva incontrato l'ambasciatore iraniano all'Onu dopo che dal 1979 non c'erano contatti tra americani e iraniani. L'unica risposta che Daniele ha avuto da Stroppa è che era informato».
Cecilia Sala ora sa che non tornerà in Iran, almeno «finché c'è la Repubblica islamica». Non vede l'ora di riprendere a raccontare storie e assicura di stare molto meglio. «Adesso aiutata riesco a dormire». La sua fortuna – ha aggiunto – è di essere rimasta «lì dentro solo 21 giorni» quindi «il recupero è più rapido rispetto a tante altre persone sono rimaste lì centinaia di giorni».
A loro è rivolto il suo pensiero, ai tanti che sono ancora in carcere e «non hanno la fortuna che ho avuto io di avere un Paese che ti protegge». Nel frattempo ieri è iniziato il rilascio degli ostaggi israeliani. «Non c'è notizia più importante che potessi sperare di leggere una volta tornata a casa», ha detto Cecilia. —

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