sabato 11 gennaio 2025

Come cambia la politica



Mariano Croce
, La superleadership sono un pericolo democratico
Domani, 11 gennaio 2025


 Il volo transoceanico di Meloni è stato certo la chiave per la felice risoluzione del caso di Cecilia Sala, ma, nella sua vistosità, è stato anche altro: ha confermato la crescente tendenza a concepire la storia come scolpita da personalità illustri e intessuta dei grandi eventi da queste propiziati.

Nel dibattito pubblico si registra infatti un’ambigua attrazione per leader politici inclini all’incontro personale e danno concretezza visiva e tattile a un’idea loro molto cara – quella di un cenacolo litigioso ma compatto di guide mondiali, i cui rapporti personali decideranno le sorti del pianeta.

Putin, Trump, Xi Jinping, cui fanno seguito, in chiave minore, Erdoğan, Kim Jong-un, Meloni, Milei, Orbán: tutti si presentano come risolutori d’ogni problema, non tanto per le idee che portano, quanto per le impareggiabili caratteristiche individuali, che li rendono personaggi unici nelle vicende del loro paese. E, se per i sistemi illiberali questa tendenza potrebbe essere una caratteristica frequente, per i paesi democratici favorisce una rischiosa involuzione nella cultura politica.

Metamorfosi di sistema


A pensarci bene, ci si potrebbe chiedere dove stia la novità. Anche il secondo Novecento aveva prodotto una messe di figure di cui ancor oggi si celebrano i meriti o si censurano le scempiaggini. Eppure, alcune metamorfosi strutturali dei sistemi democratici fanno sì che le personalità di oggi possano ambire a qualcosa di più che i loro eminenti predecessori. Rispetto a qualche decennio fa, il nostro scenario politico non può più contare su due controparti decisive dei protagonisti d’un tempo, vale a dire, partiti ben strutturati ed elettorato fedele.

Oggi non esistono più organizzazioni partitiche complesse, composte di forze e controforze, bilanciate nei loro assetti e quindi capaci di creare un benefico equilibro tra le figure di spicco. Già dalla fine del Novecento, i partiti si sono disfatti in associazioni deboli, con scarsa capacità di rappresentanza dell’elettorato, raccolte intorno a leader di passaggio, più o meno incisivi.

Specie sotto il profilo della politica economica, i partiti sono inoltre forzati ad abbracciare posizioni che tendono, al netto delle eventuali polarità ideologiche, a una qualche inevitabile omogeneità, considerati i vincoli imposti da Bruxelles e da altre istituzioni internazionali.

Politica destrutturata


Questo si riflette su un elettorato disperso e disaffezionato, che si divide su tre possibili indirizzi: o si rifugia nell’astensionismo o si concede un alto tasso di volatilità o assegna la preferenza a partiti di protesta o estremi, i quali danno l’idea (o nutrono l’illusione) di segnare un che di nuovo.

La condizione di una politica destrutturata e pauci-rappresentativa determina la perdita d’incidenza dei parlamenti e apre più d’una strada a una politica che ricorda da vicino il balordo eroismo scenico di marca primo-novecentesca. I destini collettivi dei popoli e delle nazioni (termini che non stupisce tornino di moda) si fondono coi destini individuali delle loro guide. Come nel primo Novecento, le istituzioni impersonali dello Stato perdono di rilevanza.

Insomma, come nei tradizionali paradigmi di una storiografia che si riteneva superata, oggi si torna a credere che la storia sia fatta da personalità singole, proprio nella misura in cui si va perdendo l’idea di politica come organizzazione di collettivi. Si perde, detto altrimenti, l’idea che dietro un singolo leader politico si celi in realtà un’intera e amplissima rete, composta da un ampio numero di attori e da un vasto novero di istituzioni e organizzazioni. E proprio mentre la tradizionale visione di una politica plurale e istituzionalista va morendo, val la pena ricordare la lezione di Tolstoj: nella battaglia di Borodino, fu un impercettibile virus, più che il suo imperiale vettore, a decidere le sorti della campagna di Russia e a determinare gli umori dell’autentico protagonista di ogni guerra napoleonica, cioè l’esercito francese, uno dei collettivi più motivati e incisivi che la storia ricordi.

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