domenica 26 gennaio 2025

La tentazione del ritorno al passato



Marco Damilano, Il PD del post Ulivo non si governa con alleanze tattiche
Domani, 26 gennaio 2025

Nella settimana di inizio impero di Trump II, con la sua controrivoluzione culturale e i giganti del web che abbandonano il loro progressismo liquido per svelare il volto feroce della conservazione, nell’Italia in cui i magistrati protestano contro il governo e i criminali libici entrano ed escono, capita che il dibattito politico sia inesorabilmente attratto dall’intervista di Dario Franceschini a Repubblica, con il titolo “L’Ulivo non torna. Marciare divisi per battere la destra”. «Cominciano così le celebrazioni del trentennale», ha commentato sarcastico uno dei protagonisti della storia del centrosinistra.

Trent’anni fa, era il 2 febbraio 1995, partì l’operazione Ulivo, con la disponibilità di Romano Prodi a guidare il centrosinistra alle elezioni. Un anno prima, nel voto del 1994, la divisione tra il centro di Martinazzoli e la macchina da guerra progressista di Occhetto aveva consegnato la vittoria a Berlusconi.

ANSA

L’Ulivo fu la risposta. Il nome arrivò qualche giorno dopo, il 12 febbraio, una domenica. «Mi venne in mente all’uscita dalla messa a piazza Maggiore», rivelò Arturo Parisi. Il giorno dopo Prodi lanciò la sua bandiera: «Accanto alla Quercia è necessario nel campo democratico piantare un albero di Ulivo».

Accanto, perché all’inizio l’Ulivo non era il simbolo dell’intera coalizione, ma di una sua parte, quella fuori dal Pds. Ma subito l’Ulivo ebbe successo, al solito imprevisto dai capipartito, e divenne il simbolo di tutti. Non era un prodotto di laboratorio, era la conclusione di un lungo cammino nella società e l’inizio di un nuovo progetto di governo. Trent’anni dopo, siamo ancora lì. A destra c’è un dominus inattaccabile, oggi è una donna, a sinistra è tutto da costruire. L’intervista di Franceschini è stata accolta con sollievo dai 5 stelle e da Calenda, il tana libera tutti lascia ognuno padrone a casa sua, e ha lasciato gelidi i convenuti della settimana scorsa di Milano e di Orvieto, già superati. Un professionista come Franceschini dimostra se non altro che non si gioca alla politica se non si ha il senso del tempo, il ritmo, lo spiraglio in cui infilarsi per andare a segno, o almeno fare notizia.

Un sistema fondato sui partiti


Ieri c’erano i collegi uninominali, oggi c’è una legge elettorale proporzionale, corretta con il 37 per cento dei seggi uninominali, decisivi per raggiungere la maggioranza. Dopo trent’anni di esperimenti di ogni tipo, sta rinascendo un sistema fondato sui partiti, stabili come non accadeva da anni. Partiti non più rappresentativi come in passato, partiti che si reggono sui capi che centralizzano la comunicazione e il finanziamento, anche il non-partito, il Movimento 5 stelle, si è convertito.

Con i partiti tornano i politici di professione, dopo la lunga stagione di imprenditori, professori, banchieri, magistrati, avvocati, papi stranieri. Di Giorgia Meloni si può ripetere l’antica battuta: «Fin da piccola si è iscritta alla direzione del partito». Uno spirito dei tempi che mette fuori gioco i tecnici, i civici, le riserve della Repubblica e i federatori estratti all’ultima ora, con un convegno o con un’intervista.

Franceschini lo sa bene, interpreta questo spirito dei tempi, nei suoi colloqui privati è ancora più disincantato. Scordiamoci i grandi programmi, sospira, facciamo il minimo indispensabile. Tenta Forza Italia, prospetta a Tajani la possibilità di diventare il Bayrou italiano, nientemeno: si torni alla proporzionale pura, ognuno faccia il suo gioco, dopo le elezioni si vedrà. Difficile però che Meloni faccia questo regalo. E così il discorso torna nel Pd.

L’Ulivo è morto da tempo, ma il Pd suo discendente ne porta tracce nel patrimonio genetico: le primarie aperte a tutti, non solo agli iscritti, perché il segretario è anche il primo nome come candidato premier, anche se non più in modo automatico. E l’idea che le coalizioni non sono un escamotage tattico, ma esprimono una visione del Paese proposta agli elettori.

Un Disastro Decennale 

ANSA

Il Pd governista degli ultimi dieci anni ha disperso questo patrimonio, si è alleato con tutti, ha praticato larghe intese, maggioranze giallorosse, di unità nazionale, ha governato con Forza Italia, con la Lega e con il Movimento 5 stelle, sempre in modo subalterno. Il risultato è stata una catastrofe elettorale, politica, sociale. Elly Schlein è stata eletta segretaria per ricucire questo strappo. Oggi, di fronte a una destra che vuole prendere tutto, nel mondo e in Italia, la questione per il Pd è ricostruire una presenza nella società, un’identità solida e riconoscibile, la capacità di rappresentare il Paese nelle sue pieghe più profonde. Con l’ambizione di candidarsi a guidare le future alleanze di governo con la propria leadership e le proprie idee, se si prendono più voti, come avviene da sempre a destra, piuttosto che fare la ruota di scorta degli alleati, magari con poltrone ministeriali di consolazione, come avvenuto nei lunghi anni in cui il Pd ha consegnato l’Italia alla destra.

Nessun commento:

Posta un commento