venerdì 3 gennaio 2025

Se il nuovo Prodi si chiama Ernesto Ruffini




Andrea Carugati
, Ruffini, Il sogno impossibile di creare un nuovo Prodi
il manifesto, 3 gennaio 2025

Servirebbe un Santo in Paradiso per far decollare l’operazione «nuovo Prodi», che è stata immaginata per incoronare l’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini come federatore del centrosinistra. E dunque come candidato premier contro Meloni nel 2027.

L’EVENTO DEL 18 GENNAIO a Milano, «Comunità democratica», organizzato a Milano da Graziano Delrio con la benedizione di Pierluigi Castagnetti e dello stesso Prodi, con tanti ex popolari del Pd e una spruzzata di società civile (ci sarà anche il presidente delle Acli Emiliano Manfredonia) è stata pensata non solo e non tanto per segnalare il disagio dei cattolici nell’era Schlein, ma per dare corpo alla discesa in campo di Ruffini.

Il primo “battesimo”, a inizio dicembre all’università Lumsa di Roma, con gli ex Ppi Giuseppe Fioroni e Lucio D’Ubaldo, non aveva dato i frutti sperati. C’è voluta una mega intervista al Corriere, il 13 dicembre, per tentare di rilanciare (smentendolo) il suo ingresso in politica. E ora a Milano ci si riprova, con i padri nobili e tutto lo stato maggiore degli ex popolari ancora in servizio. Una manovra che ha due obiettivi: agli ex Dc serve un homo novus per rilanciarsi, Ruffini sa che senza una (seppur piccola) base politica il suo tentativo rischia di rivelarsi un boomerang: come fu per l’ex banchiere Corrado Passera, che pure investì nell’avventura politica tempo e denaro.

I PRONOSTICI RESTANO sfavorevoli: Ruffini non è Prodi, non è conosciuto e si è occupato di un tema assai scivoloso come le tasse. Certo, ha ottimi rapporti con Mattarella, che nel 2022 firmò la prefazione al suo saggio «Uguali per Costituzione», ma dal Quirinale hanno già chiarito che non c’è alcuna benedizione su eventuali avventure politiche.

Il centrosinistra poi è molto diverso da quello del 1995, quando gli ex comunisti freschi di svolta avevano bisogno di un volto rassicurante per candidarsi, per la prima volta, al governo. Oggi in quel campo c’è un partito leader, con una segretaria salda in sella, che non ha trascorsi comunisti da farsi “perdonare” e nessuna intenzione di cedere lo scettro a una personalità della società civile, un Papa straniero o un federatore. Che sia un ex premier come Gentiloni (che pare assai riluttante a sfidare la segretaria) o appunto una personalità come Ruffini.

L’IDEA CHE MUOVE il progetto, e cioè che si vincano le elezioni al centro, è superata da ormai molti anni: e le vittorie di Meloni e Trump dovrebbero averla archiviata. Eppure in Italia c’è un pezzo dell’establishment, che controlla i principali quotidiani, che non si rassegna. E che considera Schlein capace magari di prendere i voti ma non di governare. Di qui il piano A, che è quello di costruire una leadership in provetta, e poi mettere la segretaria davanti al bivio se giocarsi la carriera politica alle urne del 2027 o se fare un passo di lato in cambio di un nuovo giro al Nazareno.

Poi ci sono i Piani B e C, e cioè l’idea (molto in salita) di scindere il Pd per dar vita a un nuovo centro, una Margherita che rimetta insieme ai vari spezzoni del centro e dell’ex terzo polo, alleata con dem e M5S. Infine, l’ultima spiaggia: dar vita a una corrente cattolica per separarsi dall’area di Bonaccini e trattare in solitaria con Schlein le prossime candidature al Parlamento.

DELLE TRE L’ULTIMA, la meno ambiziosa, è anche la più probabile. Delrio è un politico prudente e ha visto come sono finite le scissioni dem, da Bersani a Renzi. E ieri infatti, dopo aver alluso giorni fa anche a un percorso «fuori dal Pd», ha chiarito al Corriere che non pensa a un nuovo soggetto politico, semmai a un tentativo di produrre «cultura politica», di mettersi in ascolto di quanto avviene nella società.

DI CERTO, I RIFORMISTI del Pd non hanno accolto l’iniziativa con favore. Dario Parrini invita a «non rompere l’unità del partito e della componente riformista». Il sindaco di Milano Beppe Sala coltiva per sé analoghe ambizioni. E ieri il neogovernatore dell’Emilia Romagna Michele De Pascale, un moderato in grande ascesa, ha usato parole molto chiare: «Non conosco Ruffini, ma sono scettico sulle discese in campo un po’ mitizzate in poco tempo. Chi si vuole impegnare in politica in Italia ha tutte le possibilità di farlo».

Tradotto: serve la gavetta, quella che lui ha fatto insieme a tanti altri amministratori. E ancora, De Pascale ha ricordato l’esempio della sua coalizione, molto larga e vincente alle ultime regionali, indicandola come esempio anche per il livello nazionale. Insomma, al netto di Conte che fatica a rinunciare al sogno di tornare a palazzo Chigi e non vuole altri potenziali rivali, nel Pd c’è una schiera di quarantenni, a partire da Schlein (che si tiene alla larga da ogni domanda sul tema Ruffini e cattolici) , che i voti li ha presi, e non ha alcuna intenzione di farsi ingabbiare da un federatore. Meno che mai da un ex Dc.




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