Le lezioni tenute da Nietzsche all’Università di Basilea sui filosofi preplatonici furono pubblicate in tedesco per la prima volta nel 1913. Da Talete a Socrate, il filosofo tedesco in queste pagine rivisita uno per uno i pensatori greci che per primi concepirono e fondarono la filosofia nella sua forma più pura, veri e propri pionieri che transitarono il pensiero greco dal mito alla forma più matura di sapienza, a cui tutta la storia successiva della filosofia è debitrice.
Barbara Castiglioni, I preplatonici, gli "inventori" della filosofia amati dal Nietzsche più tragico, Il Giornale, 2 novembre 2024
Un giovane professore prematuramente pensionato, afflitto da un'oscura malattia, quasi cieco, in costante movimento tra la riviera italiana e francese
in inverno e l'Engadina d'estate. Questo era Friedrich Nietzsche nel 1879, quando lasciava l'università di Basilea, dando inizio a una vita errabonda.
In sette inverni, cambierà un numero inverosimile di abitazioni, deprecando sempre «la sudiceria del meridione», e lamentando di non riuscire a trovare «nulla di adatto ad un essere pensante e pulito come me».
Tra Svizzera, Italia e Francia, con un gigantesco baule che conteneva i fogli su cui scriveva, Nietzsche viaggiava in treno, e lo detestava: odiava il movimento, il continuo traballare, le carrozze non riscaldate, vomitava spesso, e ci metteva giorni a riprendersi da un viaggio. Prima di tutto questo, «l'asceta che ha intorno tutto quanto gli è più spiacevole», però, aveva insegnato, tra il 1869 e
il 1879, Filologia all'Università di Basilea: in questi anni, scriverà la Nascita della tragedia e le Considerazioni inattuali, come ricorda Piero di Giovanni nella sua accurata, vivida introduzione a I filosofi preplatonici (Mimesis), che contengono le lezioni preparate per gli studenti di Basilea tra il 1872 e il 1876. Secondo Nietzsche la tragedia e la filosofia rappresentano quel modo di interpretare l'esistenza umana che la scienza, nella sua dimensione fenomenica, non può cogliere nella sua interezza. E nei suoi presocratici, non ci sono solo Talete, Anassimene o Anassimandro, ma anche Edipo e Dioniso, che rispecchiano quell'atrocità della vita sulla terra che sarà esplicitata dal Sileno nella Nascita della tragedia («Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto»): parole non troppo diverse da quelle del vademecum del pessimista di ogni tempo, il Qohélet: «I morti perché morti io lodo, i vivi no perché vivi. E più di loro il felice che non è ancora stato».
Nietzsche sapeva bene che «il desiderio sempre più forte di bellezza, di feste,
di divertimenti» dell'uomo greco «si era sviluppato dalla mancanza, dalla
privazione, dal dolore»: come quelli descritti dal presocratico che considerava
il suo diretto antenato, cioè Eraclito. «Sublime, solitario, estatico», Eraclito
riesce a concepire l'idea dell'eterno divenire, «che in un primo momento ha
qualcosa di spaventoso ed inquietante»: e solo una forza notevole poteva
trasformare «questo effetto in quello opposto, cioè in quello del grandioso e
dello stupore gioioso». Perché i presocratici vivono nell'età tragica, dionisiaca
dei greci, non quella della decadenza, che inizia con l'Atene di Pericle e avrà il
suo esponente più famoso in Socrate: irascibile, col naso piatto, le labbra grosse e gli occhi sporgenti, questo «autodidatta etico», secondo le parole di Nietzsche, non era altro che un incolto plebeo nemico dell'arte, della scienza e della natura. Decisamente più vicino alla «poderosa formazione dello spirito e del cuore» nietzschiana era, invece, Empedocle, che nella lotta tra philia (amore) e neikos (odio) riesce a intravedere il senso del dolore che l'uomo è costretto a vivere e soffrire nel mondo.
Friedrich Nietzsche, I filosofi preplatonici, Mimesis, Milano 2024
Maurizio Schoepflin, Il Foglio, 8 gennaio 2025
Nella primavera del 1869, chiamato dalla locale università, Friedrich Nietzsche giunse a Basilea. Non aveva ancora compiuto venticinque anni ma era già noto per la profonda competenza nel campo della filologia e della letteratura greca. Durante gli anni della sua docenza presso l’ateneo svizzero, egli tenne una serie di memorabili lezioni sui filosofi preplatonici. Pubblicate postume nel 1913 – Nietzsche era morto a Weimar il 25 agosto del 1900 –, esse vengono ora riproposte a cura di Piero Di Giovanni in una nuova importante edizione, rivista e ampliata rispetto a quelle mandate in libreria nel 1994 e nel 2005. Sono scritti che testimoniano la svolta vissuta da Nietzsche che, una volta scoperti i grandi pensatori coevi degli autori tragici, si dedicò anima e corpo allo studio di essi. Ciò, come annota Di Giovanni, lo condusse alla fondamentale scoperta della cultura ellenica del VI-V secolo a. C., “caratterizzata dallo stupore che l’uomo prova di fronte al divenire della natura, ma pure e non ultimo dal dolore che scopre e prova in questo mondo”. Sotto il geniale sguardo indagatore di Nietzsche vediamo scorrere Talete, Anassimandro, Anassimene, Pitagora, Eraclito, Senofane, Parmenide, Zenone, Anassagora, Empedocle, Leucippo, Democrito, i Pitagorici e Socrate. Il Nostro non esita a mostrare le proprie preferenze: la sua ammirazione va in primis a Eraclito, il pensatore che teorizzò l’opposizione fra contrari e il continuo divenire, vedendo nella “guerra” e nel “fuoco” le due realtà che meglio permettono di identificare l’eterno scorrere e l’incessante conflitto che caratterizzano la realtà. Nietzsche rimase molto colpito dal pessimismo eracliteo e anche da quello di Anassimandro, e apprezzò molto pure la filosofia di Empedocle “proprio perché esprime il senso del dolore che l’uomo è costretto a vivere in questo mondo”. Il pensatore tedesco fu particolarmente affascinato dalla dimensione tragica presente nelle dottrine dei primi filosofi greci, e tale attrazione si collega con l’ammirazione da lui nutrita nei confronti di Arthur Schopenhauer e del suo capolavoro Il mondo come volontà e rappresentazione, che aveva letto con entusiasmo intorno ai vent’anni. Come afferma Di Giovanni, Nietzsche non rimase paralizzato dalla sua formazione filologica e comprese che “ciascuno dei primi sophoi costituisce un’occasione più unica che rara per manifestare il proprio entusiasmo nei confronti di quella cultura ellenica che sta alla base di tutta la civiltà occidentale”.
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