venerdì 3 gennaio 2025

Un libro sul nulla




Alessandro Piperno, Quelli che scrivono per PIACERE
Corriere della Sera La lettura, 29 dicembre 2024

... proviamo a leggere l’intero stralcio della lettera scritta da Flaubert in una gelida notte normanna del 1852 alla solita Louise Colet. «Ciò che mi sembra bello, quello che vorrei fare, è un libro sul nulla, un libro senza correlato esteriore, che si tenesse da solo per la forza interiore del suo stile, come la terra che si tiene nell’aria senza appoggiarsi, un libro che non avrebbe quasi soggetto, o in cui il soggetto almeno sarebbe pressoché invisibile, se questo è possibile». Ora sì che il passo mostra i suoi veri intendimenti. Il sogno di Flaubert è quello di dare vita a una forma del tutto autonoma. La prosa deve diventare un luogo dello spirito in cui le frasi risuonino come melodie, le immagini risplendano come affreschi, le cesure rivelino bellezze nascoste. Un ideale che se realizzato nel modo giusto può dare vita a gemme scintillanti e insostituibili. È chiaro allora che l’ambizione di scrivere un «libro sul nulla» è la scelta di campo di chi ha scommesso interamente sul piacere. L’idea molto scolastica secondo cui un romanzo degno di nota debba custodire un qualche messaggio di facile smerciabilità insulta tutto ciò in cui Flaubert crede. Lo scopo che si prefigge è assimilare la prosa alla poesia, la frase al verso. Per avviare una simile rivoluzione occorre un inesausto lavoro di scavo alla ricerca dell’essenza. Ricorrendo a una similitudine operistica, si può dire che Flaubert miri a ripulire il romanzo dalle scorciatoie offerte dal recitativo. Il «libro sul nulla» che sogna di scrivere si articolerà in una serie ininterrotta di arie. Un romanzo, quindi, che rifugga i dialoghi didascalici di certa narrativa a tesi, e le zeppe della letteratura popolare. Per Flaubert scegliere una parola a dispetto di un’altra è questione di vita o di morte. Un’assunzione di responsabilità morale ineludibile. Il piacere cui il narratore flaubertiano aspira non può essere disgiunto dal perseguimento dell’espressione felice. La beffa è che una concezione così edonistica della scrittura generi in chi la persegue sofferenze indicibili. Il paradosso inaugurato da Flaubert — condiviso da stilisti non meno intransigenti di lui come Fitzgerald, Borges, Nabokov, Capote e Salinger — costringe lo scrittore di prosa a una disciplina militare. Il piacere di scrivere, così come lo intendono questi autori, è di stampo sado-masochista. Allo scrittore di piacere toccano entrambi le parti in commedia: quella del fustigatore e quella del fustigato. Nelle estenuanti sedute di lavoro che si infligge non fa che auto-flagellarsi: il dolore che prova, ben lungi dall’essere fine a sé stesso, è volto al perseguimento della grazia.
È allora che il piacere di scrivere si fa maledizione.

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