lunedì 13 gennaio 2025

Eppur si muove





"Tanto rumore per nulla" - sembra dire Paolo Mieli. Il quale tuttavia si ostina a presentare un centro statico, inutilmente attraversato da una malsana ricerca di visibilità. Forse le cose non stanno esattamente in questo modo. Basta leggere i due testi successivamente citati. Manuela Perrone accenna al proposito di trasformare il cespuglio in un albero. Che già non sarebbe impresa da poco. Claudia Mancina, che terrà la relazione introduttiva al convegno di Libertà Eguale, entra poi nel merito dei contenuti e il discorso si fa subito più ampio: "questo Pd cavalca i peggiori istinti della sinistra populista, anche a costo di rifiutare e cancellare pezzi della sua stessa storia, senza peraltro proporre niente di nuovo e di concreto". Le riforme istituzionali, lo stato del partito, l'assenza di un progetto per il paese e, prima ancora, la mancanza di un orizzonte sociale meglio definito, la leggerezza di certe dichiarazioni in fatto di spese militari o di maternità surrogata: ecco altrettanti punti sui quali una maggiore chiarezza sarebbe opportuna se non necessaria. Gianfranco Rotondi si è affrettato a dichiarare che l'eredità democristiana è da tempo appannaggio della destra. I convegni indetti per il 18 gennaio partono proprio dalla convinzione opposta, quella secondo cui non c'è un monopolio acquisito, sono le politiche perseguite e promosse a decidere da che parte  deve e può stare il centro oggi.  



Paolo Mieli, Corriere della Sera


Detto con sincerità, non è chiaro cosa abbiano in comune — a parte i collegamenti video — «Comunità Democratica» e «Libertà Eguale». Dei primi sappiamo poco o niente ma li immaginiamo sensibili alle ragioni del solidarismo cristiano. Del pacifismo come lo intende papa Francesco. E a quelle del «Sud del mondo» nella contrapposizione ad un Occidente agli occhi dei più ormai trumpizzato e muskizzato. Più ardua la missione di «Libertà Eguale» che fin qui è stata l’unica associazione del centrosinistra attenta a non perdere l’ancoraggio con l’Europa e con gli Stati Uniti. Perfino ai tempi in cui l’ anti occidentalismo si poteva travestire da ovvia avversione a Bush jr o al Trump della passata esperienza presidenziale (2016-20). Si sa già che i partecipanti a entrambi i convegni metteranno in chiaro che non è loro intenzione dar vita a nuove formazioni politiche, ciò che consentirà loro di essere perentori in materie su cui sono concordi con l’intera sinistra ed evasivi sulle questioni su cui, invece, si concentrerà l’attenzione mondiale dal 20 gennaio in poi. Ma può sorgere il dubbio che, per dire al mondo della loro ostilità al premierato e all’autonomia differenziata, non fosse necessario allestire quella complicata rete di collegamenti audio video. 


Manuela Perrone, Il Sole 24ore


Nelle prossime settimane si chiarirà meglio quale ruolo svolgerà Ruffini in Comunità Democratica e se davvero l’ex direttore delle Entrate, figlio del politico e ministro Attilio Ruffini (nipote del cardinale e arcivescovo di Palermo Ernesto Ruffini), fratello minore del giornalista Paolo, prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, amico di famiglia del presidente Sergio Mattarella, sarà il federatore del nuovo movimento. Dopo le dimissioni aveva detto: «Rivendico la libertà di parlare di bene comune». D’ora in avanti si vedrà se i cattolici democratici sapranno superare le divisioni e ritrovarsi intorno a lui. Se, in altre parole, un’altra Margherita - più giovane, più moderna - è destinata a sbocciare, rafforzando la sinistra in chiave anti-Meloni in un centro dove in tanti si agitano ma nessuno riesce a trasformarsi da cespuglio in albero.


Claudia Mancina, Linkiesta 


Quello che sta avvenendo nel Partito democratico è un fenomeno incredibile, pur nel contesto piuttosto avventuroso della politica italiana. Un partito che dall’oggi al domani cambia la sua natura, da partito di governo, fondamentalmente responsabile di fronte all’Europa, a partito di opposizione pura e dura come non si è mai visto nel nostro paese, al di là di gruppi piccoli o piccolissimi. Da partito tendenzialmente maggioritario, capace di parlare a ceti diversi facendo sintesi di bisogni e richieste non sempre coincidenti, a partito intenzionalmente e quasi appassionatamente minoritario, che non ha un riferimento sociale se non quello piuttosto vago dei “poveri”. 


Al posto di progetto e proposte, un movimentismo ormai logoro e fuori tempo, nutrito dai social anziché dal dibattito. Una segretaria che propone le priorità sulla base degli eventi: al tema del lavoro, ripreso da Giuseppe Conte, ora, dopo il terribile incidente di Brandizzo, ha aggiunto la rete ferroviaria; mentre ha approfittato della decisione di Olaf Scholz per chiedere la cancellazione delle spese militari. Una segretaria che va a rimorchio della CGIL, tornata dopo lungo tempo unico sindacato di riferimento; che su una questione complessa e importante come la maternità surrogata enuncia una opinione personale, come se il suo compito fosse quello di manifestare delle opinioni, e non di fare avanzare il dibattito nel partito e nel paese, per arrivare a mediazioni politiche. 

Più in generale, si deve dire che questo Pd cavalca i peggiori istinti della sinistra populista, anche a costo di rifiutare e cancellare pezzi della sua stessa storia, senza peraltro proporre niente di nuovo e di concreto

Particolarmente significativa è la questione delle riforme istituzionali, sulle quali già una parte del Partito Comunista italiano, e poi il partito che è seguito, hanno sempre sostenuto una posizione avanzata, a partire da Achille Occhetto, come ha ricordato Carlo Fusaro. Attestarsi ora sulla posizione conservatrice, in senso letterale, per cui la costituzione si applica e non si cambia, ignorando la necessità di modificare la forma di governo, indicata da fior di studiosi e già da alcuni costituenti, significa lasciare alla destra l’iniziativa e, quel che è peggio, libertà di manovra, col rischio che davvero ne venga fuori un disastro. 

Puntare sul referendum confermativo non solo è imprudente, ma soprattutto è espressione di miseria politica. Quella stessa miseria che si è manifestata nell’accodarsi ai Cinquestelle sulla riduzione del numero dei parlamentari al di fuori di una seria riforma del bicameralismo, e nel continuo ricorso ai temi e ai sentimenti dell’antipolitica, senza mai proporre soluzioni, da ultimo nel caso del coraggioso intervento di Piero Fassino sugli emolumenti dei parlamentari.

Come è stato possibile questo processo? Oggi, dopo quindici anni di alterne vicende, non si può non pensare che ci sia qualcosa che non va nella struttura stessa del Pd, nel suo modello di partito. Non tanto dal punto di vista organizzativo, sebbene anche questo sia un problema, ma dal punto di vista politico. Che partito è il Pd? Purtroppo dobbiamo dire che è un partito senza forma, incapace di una dialettica interna che non sia l’unanimismo o il suo rovescio: la caccia al segretario. Un partito che non riesce più a fare un congresso che sia un vero momento di dibattito politico-culturale. Dunque incapace di produrre una linea politica, un progetto per il paese. 

Si può osservare che la difficoltà della politica, non solo di sinistra, è oggi presente in tutte le democrazie, messe in crisi da un populismo che trova nel malessere prodotto dalla rivoluzione tecnologica e dalla globalizzazione il suo terreno di coltura, e nei social il suo strumento più potente. Ma questa considerazione non basta per spiegare l’involuzione del dibattito pubblico nel nostro paese e, al suo interno, l’involuzione dei gruppi dirigenti del Pd. Forse è ora di chiedersi se non sia necessario cambiare qualcosa nella forma stessa del partito.

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