lunedì 6 gennaio 2025

Discorso sulla servitù volontaria

 




Etienne De La Boétie. DISCORSO SULLA SERVITU' VOLONTARIA. Jaca Book, Milano, prima edizione italiana ottobre 1979. A cura di Luigi Geninazzi. Titolo originale: "Discours sur la servitude volontaire". Traduzione di Luigi Geninazzi

“La libertà è la sola cosa che gli uomini non desiderano affatto, mi sembra, per la semplice ragione che se la desiderassero l’avrebbero”.

... E' una cosa davvero straordinaria osservare il coraggio che la libertà mette in animo a coloro che la difendono; ma quel che avviene in tutti i paesi, fra tutti gli uomini, tutti i giorni, e cioè che uno solo opprime cento, mille persone e le priva della loro libertà, chi potrebbe mai crederlo se fosse semplicemente una notizia che ci giunge alle orecchie e non capitasse invece davanti ai nostri occhi? E se questo accadesse in paesi lontani e qualcuno venisse a raccontarcelo, chi di noi non penserebbe che si tratta di una pura invenzione? Va aggiunto inoltre che non c'è bisogno di combattere questo tiranno, di toglierlo di mezzo; egli viene meno da solo, basta che il popolo non acconsenta più a servirlo. Non si tratta di sottrargli qualcosa, ma di non attribuirgli niente; non c'è bisogno che il paese si sforzi di fare qualcosa per il proprio bene, è sufficiente che non faccia nulla a proprio danno. Sono dunque i popoli stessi che si lasciano, o meglio, si fanno incatenare, poiché col semplice rifiuto di sottomettersi sarebbero liberati da ogni legame; è il popolo che si assoggetta, si taglia la gola da solo e potendo scegliere fra la servitù e la libertà rifiuta la sua indipendenza, mette il collo sotto il giogo, approva il proprio male, anzi se lo procura. Se gli costasse qualcosa riacquistare la libertà non continuerei a sollecitarlo; anche se riprendersi i propri diritti di natura e per così dire da bestia ridiventare uomo dovrebbe stargli il più possibile a cuore. Tuttavia non voglio esigere da lui un tale coraggio; gli concedo pure di preferire una vita a suo modo sicura anche se miserabile ad una incerta speranza in una condizione migliore. Ma se per avere la libertà è sufficiente desiderarla con un semplice atto di volontà si troverà ancora al mondo un popolo che la ritenga troppo cara, potendola ottenere con un desiderio? Può esistere un popolo che non se la senta di riavere un bene che si dovrebbe riscattare a prezzo del proprio sangue, un bene la cui perdita rende insopportabile la vita e desiderabile la morte, almeno per chi ha un minimo di dignità? Come il fuoco che da una piccola scintilla si fa sempre più grande e più trova legna più ne brucia, ma si consuma da solo, anche senza gettarvi sopra dell'acqua, semplicemente non alimentandolo, così i tiranni più saccheggiano e più esigono, più distruggono e più ottengono mano libera, più li si serve e più diventano potenti, forti e disposti a distruggere tutto; ma se non si cede al loro volere, se non si presta loro obbedienza allora, senza alcuna lotta, senza colpo ferire, rimangono nudi e impotenti, ridotti a un niente proprio come un albero che non ricevendo più la linfa vitale dalle radici subito rinsecchisce e muore. 
Gli uomini coraggiosi per conquistare il bene che desiderano non temono di affrontare il pericolo; la gente intraprendente non rifiuta la fatica. Invece gli uomini deboli e pressoché storditi non sanno né sopportare il male, né ricercare il bene, limitandosi a desiderarlo. La debolezza del loro animo toglie loro l'energia per arrivare al bene; mantengono solo quel desiderio che è insito nella natura umana. Questa aspirazione è comune ai saggi e agli ignoranti, ai coraggiosi ed ai pusillanimi e fa sì che essi continuino ad avere il desiderio di tutte quelle cose che li potrebbero rendere felici. In una sola cosa, non so come mai, sembra che la natura venga meno così che gli uomini non hanno la forza di desiderarla: si tratta della libertà, un bene così grande e dolce che una volta perduto vengono dietro tutti i mali, mentre tutti i beni che solitamente l'accompagnano, corrotti dalla servitù, non hanno più né gusto né sapore. E' così che gli uomini tutto desiderano eccetto la libertà forse perché l'otterrebbero semplicemente desiderandola [La seule liberté, les hommes ne la désirent point; non pas pour une aultre raison, ce me semble, sinon pour ce que, s'ils la désiroient, ils l'auroient]; è come se si rifiutassero di fare questa conquista perché troppo facile. 

... per tornare al nostro argomento che avevo quasi perso di vista, la prima ragione per cui gli uomini servono di buon animo è perché nascono servi e sono allevati come tali. Da qui deriva quest'altro fatto: molto facilmente sotto la tirannia ci si rammollisce e si diventa effeminati. Fu Ippocrate, il padre della medicina, ad accorgersi di questo e a scriverlo in uno dei suoi libri dal titolo "Le malattie" (6), e di questa sua intuizione dobbiamo essergli assolutamente grati. Questo personaggio aveva senza dubbio un cuore generoso e lo dimostrò in un'occasione. Poiché il grande sovrano [Artaserse di Persia] lo voleva presso di sé e lo sollecitava continuamente con varie profferte e con grandi donativi, Ippocrate un giorno gli rispose in tutta franchezza che avrebbe avuto dei problemi di coscienza nel mettersi a curare dei barbari che volevano uccidere il suo popolo e nel rendersi condiscendente al loro re che si stava preparando ad assoggettare la Grecia. La lettera che Ippocrate inviò al re contenente queste affermazioni si può leggere ancora oggi nelle sue opere e rimarrà per sempre una testimonianza del suo coraggio e del suo nobile carattere. E' ormai certo che con la libertà si perde allo stesso tempo anche il coraggio. Gli uomini sottomessi vanno in battaglia senza alcuna baldanza e ardimento, affrontano il pericolo l'uno appiccicato all'altro, intorpiditi, tanto per adempiere ad un obbligo e non si sentono bollire il sangue nelle vene per l'ardore della libertà che sola fa disprezzare il pericolo e nascere il desiderio di acquistare l'onore della gloria fra tutti i compagni con un bel morire. Al contrario fra gente libera si fa a gara per vedere chi è il migliore, combattendo per sé e per il bene comune, aspettando tutti di avere la propria parte di bene in caso di vittoria o la parte di male nella sconfitta; invece la gente asservita non ha più questo coraggio da guerrieri, anzi non riesce neppure ad essere vivace nelle altre cose, poiché possiede un animo ristretto e incapace di aspirare a qualcosa di grande. I tiranni sanno bene tutto questo e vedendo i loro sudditi prendere una simile piega li spingono in questa direzione così da renderli ancor più fiacchi e indolenti. 

belfagor: L'amicizia secondo Montaigne (machiave.blogspot.com)

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