giovedì 16 gennaio 2025

Le donne della Bibbia


Cristofano Allori, Giuditta con la testa di Oloferne, Palazzo Pitti

Roberto Carnero, Forti e dolci: le figure femminili nella Bibbia
Avvenire, 15 gennaio 2025

Il manoscritto ritrovato è stato per secoli un artificio letterario ricco di fascino: pensiamo al Don Chisciotte, ai Promessi sposi o al Nome della rosa. Nel caso dell’ultimo lavoro di Marilù Oliva, invece, il manoscritto ritrovato è qualcosa di verissimo, palpabile, ingiallito dal tempo: un commento biblico di circa 600 pagine realizzato dal padre. L’idea del volume La Bibbia raccontata da Eva, Giuditta, Maddalena e le altre (Solferino, pagine 240, euro 17,90) è nata quando, nella cantina della vecchia casa di famiglia, l’autrice ha ritrovato il dattiloscritto del padre, scomparso quando lei aveva solo sei anni. «Il suo era stato un percorso piuttosto particolare: era di estrazione sociale povera, ma lo studio è stato il modo per riscattarsi. Ha sempre lavorato nei contesti più duri, studiando la Bibbia e l’ebraico fin da giovanissimo. Si è laureato tardi in Filosofia sostenuto da mia madre, ha iniziato quindi a lavorare come professore, ha poi vinto diversi concorsi biblici, ha visitato i luoghi narrati nelle Sacre Scritture e ha scritto questa esegesi completa, mai pubblicata, molto limpida, nascosta per decenni in uno scatolone, tra polvere e ragnatele». Da qui l’idea di proporre alcuni momenti della Bibbia secondo la direzione impressa da Oliva alla propria ricerca letteraria negli ultimi anni: una rilettura (e riscrittura) dei grandi testi fondativi del canone occidentale in una luce femminile.

Come si inserisce questo libro nel suo itinerario creativo?

«Questa “mia” Bibbia è un nuovo tassello in un percorso iniziato con la riscrittura dei poemi omerici e dell’Eneide di Virgilio. Il tentativo è quello di dar voce alle donne, donne spesso rimaste ai margini e in silenzio. Pensiamo alle donne (umane) dell’Iliade, che nell’originale non hanno quasi voce, eccezion fatta per Andromaca ed Ecuba. Per quanto riguarda la Bibbia, egregi biblisti ed esegeti (penso a Irmtraud Fischer, Adriana Valerio, Benedetta Rossi, Luigino Bruni) hanno sottolineato che le donne bibliche sono state inserite in un contesto declinato al maschile».

Come definirebbe la sua lettura, femminile o femminista?

«Il femminismo è un movimento che parte dall’idea di abbattere una disparità. Tale disparità si è ridotta nel Novecento, ma non è ancora scomparsa del tutto e si presenta anche in forma surrettizia. Se noi pensiamo all’immaginario dell’antica Grecia, le donne erano fortemente penalizzate. Raccontarle cercando di farle emergere è stato il mio progetto e, in questo senso, ogni mio scritto è femminista».

Non c’è il rischio di un’operazione ideologica?

«Mi sono accostata a questo lavoro con molto rispetto e timore. L’ho fatto ponendomi in una condizione di comprensione e di maieutica nei confronti di un libro antichissimo, sacro, ricco di storia, ma anche epico. Il fatto che accanto a me ci fosse il manoscritto di mio padre è stato fondamentale. Detto questo, però, penso che ogni libro serio sia anche politico, nel senso etimologico del temine. Si inserisce cioè in un contesto più ampio, che riguarda la cittadinanza intesa come comunità, la nostra visione del mondo, il nostro desiderio di renderlo un posto più giusto e accogliente per tutti. Ciò con la consapevolezza che ogni nostra azione potrebbe semmai rivelarsi un’infinitesimale goccia in un oceano vastissimo: per questo sono preziose le connessioni e le collaborazioni».

Quale immagine della donna ha ricavato dalle Scritture?

«All’inizio sembra che le donne siano preposte quasi esclusivamente al compito di mogli e madri, tanto che la fertilità per alcune di esse diventa un’ossessione (penso a Sara). Alcune, come la moglie di Noè, non vengono nemmeno nominate. Ma altre, man mano, si fanno strada con forza e dolcezza: penso a Miriam, che protegge il fratello (quindi le sorti del popolo ebraico), danza, intona inni, condivide scelte politiche. Alcune attendono, consigliano, aggiustano le mosse sconsiderate dei mariti, come Abigail. Poi ci sono le figure eroiche, quali Giuditta o Ester. All’interno di una visione dove gli uomini decidono le sorti dei popoli, si trovano passaggi in cui la presenza delle donne è potente».

Che cosa avviene con il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento?

«C’è un cambio di prospettiva, poiché Gesù, anche rispetto alla considerazione delle donne, mostra un lato inedito: non solo ha difeso l’adultera che rischiava di essere lapidata, ma in ogni scambio o relazione si è mostrato benevolo, attento, comprensivo, libero da pregiudizi. Penso all’episodio dell’emorroissa o a come ha accolto Maria di Magdala. Anche questo rende la cifra della sua grandezza e novità del suo messaggio».

Ci vuole dire qualcosa della sua lettura della figura di Eva?

«Ho immaginato Eva come una creatura pura, curiosa, immersa nella meraviglia del creato. Ho cercato di ritrarla nei primi istanti della sua esistenza, quando, ben lontana dall’idea di acquisire un’identità, sentiva che il suo palpitare aveva un senso indicibile, in quel magico incastro dove il tempo pareva sospeso e nessuna preoccupazione oscurava le giornate. L’infrazione al divieto divino non mi è sembrata una mancanza di rispetto, al contrario: era come se lei avesse voluto provare, anche solo in parte, tutti i grandi doni elargiti».

E Maria Maddalena?

«Per delinearne la figura sono partita da un presupposto: la grandezza di Gesù. Il suo essere dissidente per l’epoca, eroico, con quel messaggio d’amore universale che tanto stride rispetto ai tempi feroci in cui si svolgono quelle vicende, tempi in cui imperversano le guerre e l’imperialismo romano. Maddalena, figura eccezionale e intrepida, non può non essere profondamente colpita da un uomo così: in lei si mescolano la devozione, la gratitudine, l’amore inteso nel senso più esteso».

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Patrizia Naldini, Giuditta con la testa di OloferneCristofano Allori (Firenze 1577-1621)

Il dipinto più celebre del fiorentino Cristofano Allori, eseguito tra il 1610 e il 1612, conobbe subitaneo successo e diffusione di copie, grazie anche alla credenza popolare secondo cui il pittore avrebbe interpretato in veste autobiografica la storia dell’eroina biblica Giuditta, raffigurando se stesso nella testa del decapitato Oloferne e la sua amante Mazzafirra nel bel volto della giovane, che col suo abbigliamento straordinariamente sontuoso offre un esplicito omaggio alla fiorente industria tessile della città. Alla morte del pittore, nel 1621, il quadro giunse nelle collezioni medicee ed approdò a Pitti nel 1666. Nell’opera Cristofano mostra di recepire l’influenza di Caravaggio attraverso la lezione di Artemisia Gentileschi che negli stessi anni, a servizio dei Medici, dipingeva per Cosimo II due impetuose Giuditte ( Uffizi, Sala 90, Inv. 1890 n. 1567 e Galleria Palatina, Sala dell’Iliade, Inv. Palatina n. 398). Cristofano mette in risalto la bellezza dell’eroina, il candore dell’incarnato e la ricchezza della veste, in contrasto con l’orrore della testa mozzata che tiene in mano. Giuditta appare fiera del suo gesto e sicura della protezione divina. Il tema figurativo di Giuditta ed Oloferne conobbe molta fortuna in Firenze grazie soprattutto al gruppo bronzeo di Donatello collocato in piazza della Signoria nel 1494 (ora nella Sala dei Gigli di Palazzo Vecchio), che divenne il manifesto di astuzia, coraggio e fede in Dio, virtù necessarie per guadagnare libertà contro qualsiasi oppressore.

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