Francesca Del Vecchio, Dicevano di togliermi gli slip ma io ero lì solo per fare i video
La Stampa, 15 gennaio 2025
«Non credevo neanche che mi avrebbero portata in questura: ero in azione nel ruolo di media, il mio compito era fare foto e video. È molto raro che chi ricopre questo ruolo venga messo in stato di fermo identificativo, dopo aver fornito i documenti». Inizia così il racconto di Val – il nome "d'elezione" con cui si presenta da «persona socializzata donna e non binaria» – 25 anni, attivista di Extinction Rebellion Milano che due giorni fa, insieme ad altri 22 manifestanti, è stata portata in questura a Brescia dopo la protesta davanti alla sede della Leonardo e che ha registrato un video di denuncia per il trattamento subito: «Le agenti mi hanno chiesto di spogliarmi per la perquisizione: non sapevo cosa fare».
Partiamo dal principio. Cosa è accaduto?
«Eravamo in protesta davanti alla Leonardo quando è arrivata la polizia. Ci hanno identificati, poi hanno iniziato a caricarci sulle volanti per portarci via. Abbiamo fatto resistenza passiva, non violenta».
Cosa è successo all'arrivo in questura?
«Personalmente, ho scelto di essere collaborativa e interrompere la resistenza passiva e quindi scendere autonomamente dall'auto. Mi hanno portata in una stanzina non lontana dall'ingresso. C'era una panchina e un tavolo dove mi hanno fatto lasciare il telefono. Che però non hanno voluto sigillare con lo scotch come avevo chiesto, ma solo spegnere. Entrando nella stanza ho incrociato una compagna che mi ha messo in allarme: "Se ti chiedono di spogliarti puoi opporti". L'agente mi ha subito detto che non era così, che alla fine anche l'altra aveva dovuto togliersi i vestiti».
E dopo?
«Mi hanno chiesto di togliermi il maglione: avevo diversi strati. Mi hanno fatto tenere almeno il reggiseno e la canottiera: la stanza era gelida. Poi mi hanno chiesto di abbassarmi i pantaloni. Ho obbedito. Ma subito dopo mi hanno chiesto di tirare giù anche gli slip e di fare tre squat (piegamenti sulle ginocchia, ndr)».
Cosa ha fatto?
«Ci ho pensato un attimo. Mi sentivo terribilmente in difficoltà. Poi ho detto che non avevo intenzione di farlo e mi sono tirata su i pantaloni. Hanno provato a insistere una volta e alla fine hanno smesso di chiedermelo. Ma ho avuto paura che potessero farlo loro con la forza».
Chi l'ha perquisita?
«Nella stanza c'erano delle agenti donne. Ma la porta era spalancata, dava su una specie di corridoio quindi: zero privacy. Poi, a un certo punto, è entrato un agente uomo. Per fortuna ero vestita. E comunque, tutto sommato a me è andata anche bene. C'è chi ha subito un trattamento ancora peggiore».
Per esempio?
«Arianna, un'altra giovane attivista di Extinction Rebellion, quando le hanno chiesto di togliere gli slip non se l'è sentita di opporsi. Ha temuto un'azione di forza, violenta, da parte della polizia. Così si è abbassata l'intimo e ha fatto gli squat. Quando è uscita da lì era distrutta psicologicamente. Elisa, invece, che come me si è rifiutata di togliere gli slip, è stata costretta ad andare in bagno scortata da una poliziotta che l'ha fissata per tutto il tempo mentre urinava. Aveva la necessità di svuotare la coppetta mestruale perché aveva il ciclo ma per l'imbarazzo di essere fissata non è riuscita. Oltretutto, il bagno era sporco, senza sapone e senza carta igienica».
Nel video dice che solo a voi ragazze è stato chiesto di spogliarvi.
«Esatto: i ragazzi hanno subito una perquisizione molto più blanda. Con le mani e da sopra ai vestiti. Come in aeroporto, per intenderci. Con noi sono state molto più rigide».
Perché pensa che ci sia stata questa disparità di trattamento?
«Perché è il loro modo per intimidirci. Magari con gli uomini usano altri metodi. Sicuramente per me e per le altre ragazze è stato molto difficile trovarsi in quella situazione. Alcune di noi erano già state portate in questura durante un'azione. Ma il trattamento era stato del tutto diverso: avevano dato anche il permesso per prendere un libro da leggere durante la lunga attesa dei controlli».
Quanto siete stati dentro?
«In tutto sette ore. Io sono stata la prima a uscire».
Chi c'era fuori ad aspettare?
«Altri attivisti che non erano stati portati via e persone che avevano assistito. Quando sono uscita ho raccontato l'accaduto e così mi hanno chiesto se me la sentissi di raccontarlo in un video da postare sui social. Che il clima fosse teso fin dall'inizio lo avevamo capito quando è arrivata la polizia. Ma non pensavamo fino a questo punto».
Vi siete fatti un'idea del perché siano stati, secondo voi, più duri delle altre volte?
«È evidente che si sentano legittimati, anche implicitamente, da una politica che reprime in ogni modo il dissenso. Credo anche che non gli piacesse affatto il motivo per cui protestavamo: volevamo dire che Leonardo è complice dei morti in Palestina perché vende armi a Israele. Ma questo è un argomento che il governo Meloni non vuole ascoltare». F. D. V. —
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