Wanda Marra, Tutti al centro: da Ruffini a Gentiloni, fronda anti-elly
Il Fatto Quotidiano, 19 gennaio 2025
“Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Era stato Vincenzo De Luca a citare Montale qualche giorno fa, ma questi versi sembrano perfetti per descrivere il Pd, che ieri si è riunito addirittura in tre diversi eventi. A Milano, dove Pierluigi Castagnetti e Graziano Delrio per l’associazione cattolica “Comunità democratica” hanno organizzato una giornata che aveva il suo clou nell’essere la prima uscita politica di Ernesto Maria Ruffini, futuribile federatore del centrino o leader di un partito che non c’è, o magari aspirante federatore di tutto il centrosinistra. Forse. A Orvieto, dove Libertà Eguale (della premiata ditta Stefano Ceccanti & Giorgio Tonini) ha invitato Paolo Gentiloni, aspirante presidente della Repubblica, per molti, per altri, invece, da arruolare subito alla causa del centrino o al ruolo di federatore. E poi a Brescia, dove Andrea Orlando e Pierluigi Bersani hanno animato un dibattito nella ricerca di “Qualcosa di sinistra”. Minimo comun denominatore: la denuncia dell’assenza di dialogo nel Pd della Schlein. Lo fa Ruffini (“Qual è la proposta della sinistra? Dove è stata discussa?”), lo fa Gentiloni (“Oggi si è aperta una grande fase di discussione”); lo fa Orlando (“Bene l’unità, ma non temere la discussione”). Un modo per attaccare la segretaria a bassa intensità. A Milano c’è l’iniziativa di punta, quella dei cattolici, che però ci tengono a chiarire che non bisogna fare un partito cattolico (Prodi su tutti, che infatti presenzia solo in collegamento). Però arrivano circa
500 persone e svariati rappresentanti del mondo cattolico, tra esponenti storici (che fanno tanto nostalgia) e personalità impegnate oggi. Ci sono Francesco Russo, che sta organizzando la rete di Trieste, Paolo Ciani di Demos, il presidente delle Acli, Manfredonia. Ma anche Lorenzo Guerini, Beppe Sala, gli ex ministri Maria Pia Garavaglia e Giuliano Poletti, l’ex segretario della Cisl, Savino Pezzotta. E, in prima fila, Maria Elena Boschi, che - in rappresentanza di Renzi - cerca di “controllare” Ruffini per intestarselo un po’, mantenendo le distanze.
L’intervento dell’ex numero 1 dell’agenzia delle Entrate, che parla per 20 minuti, leggendo delle pagine scritte, alla ricerca di un piglio da leader che per ora non ha di certo affinato, è a suo modo istruttivo: “Quando sono stato invitato a partecipare”, dice, “ho chiarito che sarei venuto”, “non per parlare di me, o di un partito”, “tantomeno di una corrente”, “neppure per parlare di un posizionamento in uno spazio geometrico astratto come il ‘Centro’”; “ancor meno per discutere di come ritagliarsi uno spazio come partito o corrente sotto l’insegna della religione cattolica”. Perché, “‘partito’ e ‘cattolico’ possono essere considerati due concetti in contraddizione tra loro. Uno definisce la parte; l’altro l’universalità”. E mette il dito nella piaga: “Non si tratta di costruire nuovi partiti o nuove aree, si tratta di coinvolgere nuovi elettori”. Iniziare con una critica così radicale non è da tutti. Per ora, l’obiettivo non sembra proprio facile, anche a sentire chi sostiene che l’operazione serve a conquistare seggi dentro al Pd (o costruire un partito che garantisca seggi). Di certo, Elly Schlein ha fatto sapere che di qualcuno che costruisca una formazione al centro ha bisogno, Prodi guida la fronda di chi crede che la segretaria non sia adatta a fare la premier, Ruffini ha in programma un tour per l’autunno. Il resto si vedrà.
Il Sole 24ore, 19 gennaio 2025
Ruffini in campo: no partiti, servono nuovi elettori
Prove di centro. I cattolici a Milano e i riformisti a Orvieto lanciano la sfida a Schlein: manca una visione di Paese. Gentiloni: il riformismo è del Pd, non si può appaltare ad altri
Emilia Patta
«Non si tratta di costruire nuovi partiti o nuove aree all’interno di un partito, ma di coinvolgere nuovi elettori. Non è questione di chi, ma di cosa. La prima responsabilità di chi si impegna in politica è quella di riportare alla partecipazione chi non c’è più, partire dalle nuove generazioni di giovani». E ancora: «La politica non può ridursi a una conta di voti e percentuali. Non può escludere dal gioco democratico, dal confronto culturale e sociale, la metà di chi avrebbe diritto a essere protagonista».
Nessun nuovo partito centrista né tantomeno cattolico, né una nuova corrente del Pd. Ma a Milano, al convegno dei cattolici democratici “Comunità democratica” organizzato dal senatore dem Graziano Delrio, Ernesto Maria Ruffini è già indicato come l’uomo nuovo (copyright di Pierluigi Castagnetti, ultimo segretario del Partito popolare italiano). E lui, Ruffini, da poco dimessosi dalla guida dell’agenzia delle Entrate in polemica con il governo di destra-centro, è sicuramente in campo. Per fare cosa ancora non è chiaro, anche se tra Delrio e il padre dell’Ulivo Romano Prodi non si esclude un contenitore futuro al di fuori del Pd. Ma è chiaro, dopo ieri, il target a cui Ruffini vuole rivolgersi: il mondo dell’astensionismo, il mondo giovanile, e anche il mondo moderato che al momento è raccolto a destra. «David Sassoli è stato fondamentale nella costruzione della maggioranza Ursula - dice Ruffini ricordando l’ex presidente dem del Parlamento europeo prematuramente scomparso all’inizio del 2022 -. Forse, se ci fosse ancora lui, ci farebbe riflettere di come questa maggioranza potrebbe diventare una scelta solida per essere alternativi alla destra. Alla destra dobbiamo essere alternativi con una scelta politica chiara e condivisa, senza essere nemici della destra». Il modello è dunque la maggioranza Ursula, e come è noto della maggioranza Ursula fa parte Forza Italia.
Eppure, se il posizionamento politico di Ruffini appare chiaro, l’ex Mr Fisco si tiene alla larga dall’indicare singoli punti programmatici, singole policies, e soprattutto si tiene alla larga dai temi di politica internazionale. E si capisce: al convegno di Comunità democratica sono presenti molti pacifisti “integrali”, dal deputato espressione di Sant’Egidio Paolo Ciani al presidente delle Acli Emiliano Manfredonia. È in questo contesto che irrompe l’intervento in videoconferenza di Giorgio Tonini da Orvieto, dove a loro volta i “liberal” di Libertà Eguale tengono la loro annuale assemblea (il collegamento ideale dei due eventi è suggellato dall’intervento di Castagnetti, subito dopo, seguito in videoconferenza da Orvieto).
«A Castagnetti e a me - dice Tonini - è stato così affidato il compito di interloquire con entrambe le platee, per rendere concretamente sperimentabile il nostro convergere attorno a comuni preoccupazioni e intenzioni. E la principale preoccupazione che ci accomuna riguarda il futuro della democrazia». E per Tonini - così come per i cofondatori di Libertà Eguale Enrico Morando, Stefano Ceccanti e Claudia Mancina - difesa della democrazia significa difesa senza se e senza ma dell’Ucraina dall’aggressione russa e significa un esercito comune europeo («mettere a fattor comune 27 piccole e medie forze armate darebbe all’Europa forza e autorevolezza: nei confronti dei nemici delle democrazie, ma anche nei rapporti con l’imprescindibile alleato americano»). Temi poi ripresi e sviluppati in serata dall’ex premier ed ex commissario Ue Paolo Gentiloni, che ha scelto proprio Orvieto per il suo rientro in campo dopo il quinquennio a Bruxelles («è una bellissima giornata, è bene che ci siano queste iniziative, come ha detto Prodi ce ne era bisogno: forse abbiamo avuto un periodo di mancanza di discussione e di dibattito», è la sua implicita critica alla dirigenza dem). Difesa comune Ue, certo, ma per Gentiloni la sinistra deve fare sua anche la domanda di sicurezza che viene dai cittadini e che la destra utilizza a suo vantaggio, in Italia e in Europa («l’insicurezza è uno dei problemi che la nostra comunità vive come fondamentale, sarà centrale nei prossimi anni»). Quanto al suo futuro, l’ex premier assicura di non aspirare a ruoli ma di voler solo dare il suo contributo. Ma avverte: «Delegare le istanze riformiste altrove non funziona, il riformismo deve essere compito del Pd, altrimenti non ci sarà né credibilità né alternativa di governo».
Un possibile leader che scende in campo (fuori dal Pd?) e un leader che rientra in partita (dentro il Pd?). E un unico messaggio alla segretaria del Pd Elly Schlein: senza cattolici e senza riformisti non si vincono le elezioni. «Il Pd ha l’indiscussa leadership dell’opposizione, ma non basta», è da parte sua il monito di Prodi.
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