Gabriella Bosco, Dalle ceneri di guerra risorge il romanzo del collaborazionista
La Stampa Tuttolibri, 20 gennaio 2025
Scrittore di qualità, giornalista assiduo, critico cinematografico attento, Robert Brasillach fu convinto sostenitore del nazifascismo, antisemita e ideologicamente collaborazionista, e per queste ragioni dopo la guerra fu condannato a morte, De Gaulle respinse una domanda di grazia firmata anche da molti intellettuali d'altra sponda politica, e venne fucilato il 6 febbraio 1945.
Questo va ricordato, nell'accingersi a presentarne un'opera, una delle sue migliori, Il tempo che fugge. Va ricordato, come quando si parla, si legge o si scrive di Céline. Non che i due autori siano sullo stesso piano o paragonabili. Diversissimi. Ma entrambi sono dei "casi", dal punto di vista di scelte ideologiche impossibili che si accompagnano a un'opera letteraria importante. Di Céline, Malraux disse che era umanamente una carogna, come scrittore un genio. Ma bisogna anche ricordare che Céline, che pure pagò variamente per le sue opinioni, non fu ucciso.Brasillach, che era nato il 31 marzo 1909, aveva 35 anni quando venne fucilato. Il tempo che fugge è il romanzo della (sua) giovinezza, delle illusioni di una stagione apparentemente eterna e che invece finisce per chiunque, lasciando però strascichi indelebili di sogno. Protagonisti sono René e Florence, entrambi rimasti orfani da piccoli e che, allevati insieme in un'isola delle Baleari, trascorrono la più onirica delle infanzie. L'ambientazione, dal punto di vista cronologico, è spostata leggermente indietro rispetto a quella reale dell'autore, in modo tale che alcuni sprazzi storici possano trovare posto come segnali del tempo facendo da contraltare alle passeggiate sulla battigia dei due bambini in compagnia della curiosa cugina Françoise, più grande, che si occupa di loro per qualche mese l'anno, dell'asina e del fenicottero che con loro formano la compagine dei fedelissimi.
A narrare la storia dei due protagonisti è una voce in prima persona, nella finzione romanzesca un amico designato come testimone da René, e che sente il dovere di riportare tutto quello che ha saputo a posteriori della loro vita.
Presentiamoli con le parole dell'autore: «L'ultimo anno che passarono nell'isola, René aveva sedici anni e mezzo, Florence uno di meno. (..) Li immagino volentieri a quell'epoca: René già grande, magro e dorato con i suoi capelli neri arruffati sulla fronte bruna, Florence saggia e riccioluta, con il suo visino di angelo toscano, la sua aria da ragazzo testardo, il suo piccolo naso, le sue labbra dolci».
Viene la seconda tappa, che vede René da solo a Parigi, dove è andato per studiare e dove scopre il teatro, il mondo degli illusionisti e poi la magia del cinema, nella cui avventura, agli esordi, viene coinvolto. Da quel momento la crescita è rapida, le tappe si susseguono. Il servizio militare per lui, le prime vicende amorose, l'arrivo anche di Florence a Parigi, il loro ritrovarsi, adesso che il contesto non è più quello fatato dell'isola. Gelosie, tradimenti, reali o sospettati, sullo sfondo dello scorrere di un tempo che continua però a durare diversamente da quello di tutti. Fino alla decisione di sposarsi, come fosse un destino che ha unito i due da sempre e al quale non hanno voluto né saputo sottrarsi.
Il viaggio a Toledo, dopo le nozze, contiene il racconto, sempre riportato ma in maniera sottilmente impudica, dell'unione fisica tra René e Florence, forse la più lunga scena d'amore mai letta, il clou del romanzo, il suo mistero, il misterioso compiersi di un periplo.
Dopo il ritorno dalla Spagna, e dopo la nascita di un figlio, il racconto non può che degradarsi. La guerra travolge tutto. Qui forse, per questo capitolo della storia, il confronto con Il viaggio al termine della notte può reggere. In particolare le pagine nelle quali il conflitto è visto metaforicamente attraverso la morte dei cavalli. E poi attraverso quella degli amici, dei nemici, e attraverso la presa d'atto dell'insensatezza anche da parte di chi ha creduto che la guerra potesse rappresentare "un viaggio", anzi una fuga (dalle responsabilità).
Il capitolo finale vede Florence madre, quarantenne, sola con il figlio Jacques, nel quartiere parigino di Vaugirard, dove ha trovato lavoro come rilegatrice e poi, imparato il Braille, a trascrivere libri per ciechi. L'io narrante, l'amico testimone, dà allora spazio a sé stesso, al proprio vivere nei quartieri popolari della capitale francese, negli anni Venti, la Parigi dei capelli corti e delle esposizioni cubiste, e lo sguardo sulla vicenda si fa via via compassionevole e si apre alla malinconia. Ritornando poi, ad anello, sulle illusioni e l'amore adolescenziale, quando Jacques incontra Geneviève e riproduce a sua insaputa, in piena Parigi, l'isola dei suoi genitori quando erano ragazzi. «Un'estetica della giovinezza», quella di Brasillach, secondo Riccardo Paradisi che firma la postfazione al volume. Ma anche della volontà di leggerezza, continuamente distrutta, e ciò nonostante incessantemente riproposta, sullo sfondo di una figura paterna assente, vera chiave di volta del romanzo. Anche se René, alla fine, torna.
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Robert Brasillach (1909-1945) fu giornalista e critico militante, saggista, ma soprattutto romanziere (Le voleurs d’étincelles, 1932; L’enfant de la nuit, 1934; Le Marchand d’oiseaux, 1936; Comme le temps passe, 1937; La Conquerante, 1942; Six heures à perdre, 1953, edizione italiana, Sei ore da perdere, Settecolori, 2023). L’attrazione della rivoluzione fascista (insieme con i miti corneilliani), si tradusse in lui in quel singolare romanzo che è Le sept couleurs (1939, traduzione italiana, I sette colori, SE, 2019). Alla liberazione, nel 1944, venne processato e condannato a morte per collaborazionismo. Una domanda di grazia indirizzata al generale de Gaulle e firmata da molti intellettuali rimase senza effetti: Brasillach fu fucilato il 6 febbraio 1945.
Collana Di là dal fiume e tra gli alberi
Traduzione Ketty Della Valle
Postfazione Riccardo Paradisi
Euro 22,00 / Pagine 350
ISBN 9791281519305
Uscita 20 novembre 2024
Robert Brasillach fu anche autore di Léon Degrelle et l'avenir de Rex (Plon, Paris 1936).
A distanza di un quarto di secolo, Cinabro Edizioni ripropone, in una nuova veste, Léon Degrelle e l’avvenire di Rex di Robert Brasillach, scritto nell’autunno del 1936, quando, da poco e in modo apparentemente imprevisto, sulla scena politica del Belgio irrompe un nuovo partito con un suo giovane capo. Il poeta e l’uomo d’azione, quasi coetanei. Degrelle era nato il 15 giugno 1906 e Brasillach il 31 marzo del 1909 – uniti dall’amore per la giovinezza, intesa quale amicizia e gioia di vivere e, senza dubbio e fino all’ultimo, intesa quale fierezza e speranza. Il primo indossò l’uniforme sul fronte dell’Est, il secondo si armò della potenza evocativa della parola. Ma, come ci ricorda Mario Michele Merlino, prefatore anche di questa seconda edizione dell’opera, per uno strano scherzo del destino, mentre il poeta Brasillach venne fucilato dai suoi compatrioti a guerra finita, l’uomo d’azione Degrelle riuscì a passare in Spagna dove si stabilì per il resto della sua vita. Questo breve saggio è dunque la narrazione evocativa dell’incontro di due strade, di due destini, di due giovani, attratti inesorabilmente da un unico comune sentire.
https://machiave.blogspot.com/2024/10/degrelle-dal-fascismo-al-nazismo.html
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