mercoledì 15 gennaio 2025

Che animale politico è


Giuliano Ferrara lascia l'interrogativo senza risposta. Eppure, quello che propone è un falso dilemma. Con tutta la buona volontà di questo mondo non si capisce quale potrebbe/dovrebbe essere la "base politica più solida", il "modello strategico" a cui sarebbe collegabile l'operato di Giorgia Meloni. Una abile navigazione a vista resta una abile navigazione a vista, con tutto il rispetto per l'acume politico del famoso giornalista. Che pure in fatto di navigazione non manca di esperienza. 

Giuliano Ferrara, Che animale politico è Meloni, Il Foglio, 15 gennaio 2025

Esiste un modello politico chiamato Meloni? La presidente del Consiglio aveva diciotto anni quando a Fiuggi fu abbandonata la casa del padre, come disse allora il delfino di Almirante, Gianfranco Fini. Dunque la sua maturità è estranea al retaggio del fascismo e del reducismo. Con il fenomeno Berlusconi, il maggioritario e l’alternanza di governo, il sistema dei partiti uscì dallo schema dell’arco costituzionale, l’esclusione della destra postfascista dall’area della presentabilità governativa. I primissimi passi della giovanissima attivista e dirigente poggiano su questo terreno. Quasi trent’anni dopo il suo esordio precoce, dopo un tragitto politico interno al berlusconismo, la carriera di Meloni approda alla fondazione e poi alla guida di un piccolo partito, nato nel 2012, che si emancipa dall’ultima incarnazione del centrodestra berlusconiano senza rompere con quella formula, dal centro moderato alla destra, ma recuperando autonomia d’azione in quei panni come alleato indipendente e partito di opposizione. Il codice genetico di Meloni è quello, e alla fine una svolta d’opinione, nella crisi delle varie soluzioni politiche succedutesi (Berlusconi, Monti, Renzi, grillini e Lega, centrosinistra più grillini, Draghi), la porta alla guida di una maggioranza di centrodestra resa possibile dal suo successo personale nell’alleanza, dalla fiacchezza della sinistra, dalla divisione con i grillini o postgrillini di Conte, dalla scomparsa del centro.da due anni e qualche mese ci si domanda che animale politico sia Meloni, che cosa rappresenti davvero. La domanda è pressante perché tutti vedono come sia ingarbugliata, infragilita e depotenziata la cornice di democrazia liberale classica entro la quale le élite occidentali hanno cercato di muoversi o hanno registrato una pericolosa stasi e un arretramento in un mondo in tumultuosa evoluzione o involuzione.

I fenomeni extraeuropei di questo cambiamento si conoscono fin troppo bene, da Putin a Trump con le rispettive oligarchie delle materie prime e tecnologiche e con un sistema di egemonia in via di consolidamento che produce tratti esplosivi di prefigurazione di una società illiberale. Con un sistema di alleanze mondiali anch’esso illiberale, compresi i conflitti potenziali tra i nuovi protagonisti. Sono mondi dove non si vota (Cina), dove si vota in uno schema plebiscitario e autocratico (Russia), dove si vota e si minaccia di governare nel quadro evidente di una riduzione dei pesi e contrappesi del liberalismo costituzionale e con un tono energetico inaudito, che scardina la politica convenzionale e afferma nuovi poteri tecnocratici e formidabili conflitti di interessi oggi pienamente allo scoperto (dalla Turchia all’Ungheria all’India, e naturalmente e principalmente agli Stati Uniti). L’Europa sarebbe la ridotta ancora in piedi del liberalismo democratico. Sarebbe. Ma il pragmatismo strategico di Frau Merkel nel giudizio comune è tramontato e ha fallito, cosa resa evidente, si dice, dai fatti avvenuti dopo la fine della sua ultima fase di cancelliere. Il successore Scholz è incappato in un grave incidente elettorale, dopo una breve corsa non ispirata e non fortunata, e ora se la vede con l’uomo forte dei popolari Merz e con il rambismo estremista di una destra nazional-borghese che, a parte il retaggio nazista, ha incorporato in pratiche e idee una visione totalmente illiberale del cammino tedesco in Europa, nel pieno di una faticosa crisi nazionale, internazionale e di ruolo della Germania.

I conservatori inglesi hanno pagato il prezzo della Brexit e altre bizzarrie autolesionistiche. Il laburista Starmer è uno stabilizzatore provvisorio senza visione. Sánchez è un isolato e un precario in un paese di relativo successo che non fa il peso. Macron di visione ne ha avuta anche troppa e ora è vittima dei suoi errori e di un sistema presidenziale che geme sotto il rovesciamento della propria fede dogmatica nella stabilità repubblicana di matrice gollista. E si potrebbe continuare l’esame geografico e politico delle difficoltà del demoliberalismo parlando dell’asse Vienna Budapest Bratislava o dell’Olanda o di altro vario ed eventuale.

In simile contesto è naturale domandarsi. Meloni è solo un caso di opportunismo fortunato, di successivi travestimenti propagandistici, da madre cattolica a statista del mainstream internazionale in virtù di una agile capacità relazionale; oppure ha cercato di affermare il nucleo strategico di un modello coerente con la formula che l’ha portata al potere, quella di un’alleanza della destra di governo con i moderati che ingabbia particolarismi e ribellismi personali e periferici (il caso di Salvini), e che orienta la sua bussola su una politica estera, di sicurezza e dell’immigrazione calibrata sull’unione europea e sulla convergenza con la maggioranza Ursula tra Strasburgo e Bruxelles? Ci si interroga sulla possibile funzione italiana di mediazione del rapporto con l’amministrazione Trump e con il fenomeno Musk, due varianti di imprevedibilità irresponsabile ma, si spera, temperata dal pragmatismo di fatto, con le quali avremo a che fare qui nella ridotta malmessa della democrazia liberale. La risposta potrebbe dipendere proprio da questo: se Meloni è solo una capace opportunista, i margini della famosa mediazione in un conflitto di sistema e di valore sono esposti ai venti infidi di ogni opportunismo, e far stare insieme su quella base TrumpMusk e Ursula e i franco-tedeschi residui non sarebbe impresa facile. Se il suo metodo ha una base politica più solida, qualcosa di simile a un modello strategico, le cose potrebbero mettersi un po’ meglio.

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