Lucrezio, De rerum natura
I, 62-71
Mentre l’umanità vergognosamente giaceva sulla terra
Davanti agli occhi (di tutti) oppressa sotto il grave peso della superstizione,
che dalle regioni del cielo mostrava il suo capo
incombendo dall’alto sui mortali con il suo terribile aspetto,
per la prima volta un uomo greco osò sollevarle contro
gli occhi mortali, e per primo opporsi ad essa;
e non lo intimorirono né le dicerie degli dei, né i fulmini, né
il cielo con il suo mormorio minaccioso, anzi (tutto ciò) eccitò
ancor di più l’ardente virtù del suo animo, da desiderare
di spezzare per primo gli stretti serrami delle porte della natura.
Irene Anna Rubino (braciu@yahoo.it)
Francesca Gnan (fran.gnan@tiscali.it)
Maria Sciancalepore (mariamiriam@katamail.com)
Monica Sotira (monica.soti@yahoo.it)
Quando la vita umana giaceva per terra
turpemente schiacciata da una pesante religione
che mostrava dal cielo l'orribile faccia
sopra i mortali, per la prima volta un uomo mortale,
un Greco, osò contro quella alzare lo sguardo
e per primo resisterle contro; né la fama dei Numi,
né il fulmine lo distrusse né la minaccia del cielo
strepitoso lo spaventò; ché anzi il desiderio
gli crebbe più forte e più acre lo strinse,
di rompere egli per primo
le porte serrate della natura.
Enzio Cetrangolo
Humana ante oculos foede cum vita iaceret
in terris oppressa gravi sub religione,
quae caput a caeli regionibus ostendebat
horribili super aspectu mortalibus instans, 65
primum Graius homo mortalis tollere contra
est oculos ausus primusque obsistere contra;
quem neque fama deum nec fulmina nec minitanti
murmure compressit caelum, sed eo magis acre
inritat animi virtutem, effringere ut arta 70
naturae primus portarum claustra cupiret.
Humana…iaceret: da notare il rilievo dato all’aggettivo, data la posizione in apertura di verso, possibile grazie all’anastrofe con il cum narrativo-temporale, e all’iperbato. L’espressione indica che tutto il genere umano era oppresso dal peso degradante della religio. L’avverbio foede può riferirsi sia al verbo iaceret, sia ad oculos. Rilevante anche il significato di iaceret, che trasmette immediatamente l’idea di un’umanità ben poco “umana”, ma costretta, piuttosto, a strisciare sulla terra.
In terris: espressione fortemente marcata dall’enjambement e dall’antitesi con a caeli del verso successivo. Lucrezio descrive impietosamente la situazione dell’umanità prima dell’arrivo di Epicuro, in cui il rilievo dato ad in terris, il participio oppressa e l’aggettivo gravi (riferito a religione) sottolineano l’oppressione a cui la religione sottoponeva gli uomini, costringendoli quasi a strisciare come vermi, in modo vergognoso (foede). Il clima cupo, tetro ed opprimente è reso efficacemente anche dal ritmo che il poeta attribuisce a questi versi, la cui lentezza accentua l’effetto del gravare della religio sugli uomini.
Religione: parola-chiave, posta in rilievo dalla posizione a fine verso. Mentre la lingua latina fa una distinzione tra religio e superstitio, distinzione adottata da molti autori, tra cui Cicerone, Lucrezio non usa mai il termine superstitio. Dal momento che considera la religio solo nella sua accezione negativa, ovvero di superstizione, falsa credenza. L’etimologia del termine superstitio è solo richiamata, nel v. 65, dal nesso super (usato avverbialmente) + instans (participio presente di insto, as, stiti, are).
Primum: con questo avverbio, ripreso, nel verso successivo, dall’aggettivo primus, Lucrezio vuole sottolineare il primato di Epicuro, rendendo ancora più straordinaria la sua impresa di liberazione dell’umanità dalla schiavitù. In realtà, per “entusiasmo o poetica libertà”, il poeta commette un errore, perché altri, prima di Epicuro, e soprattutto Democrito, processerat extra moenia mundi.
Graius homo: benché questo sia solo il primo di una serie di elogi di Epicuro, di cui il poema è disseminato, solo una volta (III, 1302) Lucrezio chiama il filosofo con il suo nome; in questo caso specifico, però, la parola homo evidenzia maggiormente la portata della vittoria che un mortale, pur sempre fragile e limitato, ha riportato contro un mostro orribile ed infinitamente più potente. Tale concetto è ulteriormente sottolineato dall’accostamento tra homo e mortalis (=mortales, riferito a oculos, con cui forma un ampio iperbato), che, grazie al poliptoto con il precedente mortalibus, evidenzia l’enorme differenza tra i mortali che la religio schiaccia sotto i suoi piedi ed Epicuro che, pur avendo la stessa natura mortale degli altri uomini, compie un gesto che va oltre i limiti dell’umano.
Contra…contra: l’epifora sottolinea il titanismo di Epicuro, il piccolo mortale che osò sfidare la religio. Efficace, in tal senso, anche la scelta del verbo ausus est, da cui dipendono gli infiniti tollere (oculos) ed obsistere, entrambi seguiti da contra. I vv. 66-67 furono quelli che maggiormente suggestionarono Leopardi, che inserì nella sua Ginestra (vv.111-113) un richiamo molto evidente ad essi.
Quem…caelum: il periodo si apre con un nesso relativo (=et eum) ed è caratterizzato da una serie di figure retoriche: il polisindeto in ripetizione anaforica neque…nec…nec, che sottolinea, in una sorta di “micro-catalogo”, tutti gli elementi contro cui Epicuro dovette scontrarsi, e le allitterazioni fama fulmina, minitanti murmure, compressit caelum; murmure (evidenziato anche dall’enjambement) ha anche valore onomatopeico , atto a rendere l’effetto di terrore proveniente dal cielo, che come una pesante cappa incombe sui mortali. Il fulmine ed il tuono, in particolare, erano interpretati, per ignoranza, come segni dell’ira divina (basti pensare alla tradizionale rappresentazione di Zeus-Giove), tanto da rendere necessaria, per il poeta, un’ampia trattazione dei fenomeni meteorologici nell’ultima parte del poema. Deum (=deorum) è un genitivo oggettivo.
Sed…virtutem: non solo ciò che atterrisce gli altri uomini non spaventa minimamente Epicuro, ma, anzi, tutto ciò costituisce un movente ancora più forte alla sua straordinaria impresa, sottolineata, in questi versi, dall’iperbato acrem…virtutem (in cui si noti la pregnanza dell’aggettivo). Inritat (=inritavit): forma di perfetto sincopato.
Effringere ut…cupiret (=cuperet): anastrofe + iperbato; entrambe le figure sottolineano il valore dell’infinito effringere (composto di frango), dipendente dalla consecutiva introdotta da ut.
Arta… claustra: ampio iperbato, oggetto di effringere, che contiene al suo interno l’espressione naturae portarum, oltre al predicativo del soggetto primus, che ribadisce ancora una volta l’idea del primato di Epicuro. Tale disposizione della frase rende perfettamente l’immagine della religione che imprigiona la natura, impedendole di rivelarsi liberamente agli uomini. Estremamente efficace anche la scelta della metafora delle “porte della natura”, intese come barriere invalicabili che il filosofo riuscirà a superare, spezzandone i serrami, così come, successivamente, riuscirà a superare anche le flammantia moenia mundi (v. 73).
Non è affatto insignificante, inoltre, la scelta dell’aggettivo, che compare anche in IV, 5-
Primus portarum, claustra cupiret: allitterazione; il verbo sottolinea come la gloriosa impresa di Epicuro, compiuta per il bene dell’umanità intera, sia stata dettata da una profonda esigenza del suo animo, dettata dalla sua acrem virtutem.
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