venerdì 31 gennaio 2025

La guerra dei cavilli



Non sta agli avversari stabilire che cosa Giorgia Meloni può fare o non fare, dire o non dire. Prima, gli avversari dovrebbero prendere atto di ciò che il premier fa o non fa, dice o non dice. In questo senso, il
monarcato - ossia il premierato in versione monarchica - esiste già. Il o la premier occupa la scena con le sue esternazioni e queste esternazioni colpiscono l'opinione pubblica. Sono inammissibili? Potrebbero perfino essere illegittime, sono piene di affermazioni scorrette, intanto agiscono, manifestano una presenza e una smania contagiosa. Non contengono solo affermazioni false. Quando Giorgia Meloni si identifica con la nazione dà voce non alla verità, ma a una verità, la sua. La nazione è per lei l'interesse nazionale visto con gli occhi di una sovranista quale lei è, nelle intenzioni se non altro. Il torturatore libico protetto e salvato è stato protetto e salvato per preservare l'accordo con il suo paese sul contenimento dei migranti. Il contenimento, ossia una azione esercitata senza riguardo per i mezzi: tortura, riduzione a merce, arbitrio. Questo è.

Anziché ragionare su ciò che Meloni può (potrebbe, perché intanto può) fare o non fare, dire o non dire, sarebbe ora di mettere i piedi nel piatto e di partire da un riconoscimento dei meccanismi reali che animano il gioco, o lo scontro, se si preferisce. Il procuratore Lo Voi non ha solo compiuto un atto dovuto, poteva suggerire l'archiviazione, non lo ha fatto. L'accusa di peculato non è sensata.

Come si risponde alla pressione esercitata dalle ondate migratorie? Questo sarebbe il nodo. I cavilli procedurali, la pericolosità di Almarsri sono paraventi, espedienti retorici che impediscono di affrontare la vera, la sola questione. Siamo sempre stati un paese di legulei persi in dispute vane. L'ipocrisia della destra contrapposta  all'ipocrisia della sinistra contribuisce a generare l'astensionismo attraverso il disgusto per la politica parolaia e inconcludente. E poi ognuno si consola pensando che la colpa è dell'altro, di quell'altro. Se lasciassimo stare il rimpallo delle colpe e cominciassimo, ognuno per la sua parte, a prenderci qualche responsabilità, avremmo fatto qualche serio passo avanti come come paese. 

Andrea Colombo, Meloni replica lo show e alza i toni per evitare che si parli di Elmasry
il manifesto, 31 gennaio 2025

Non è un fatto personale. Non è per se stessa che Giorgia Meloni è furiosa. «Io non sono né preoccupata né demoralizzata. Sapevo a cosa andavo incontro. Ma è alla nazione che è stato fatto un danno e questo mi manda ai matti». La strategia pianificata in un paio di vertici di maggioranza, anticipata dalla premier nel messaggio social di due giorni fa, si dispiega e a guidare le danze è ancora lei. Si presenta in collegamento allo spettacolo di Nicola Porro «La Ripartenza 2025», una platea che chiamarla amica è poco, e riprende i contenuti di quel messaggio. Ma con parecchi decibel in più, passando al comizio furibondo e alla denuncia di alto tradimento. Questo sono il procuratore Francesco Lo Voi, i magistrati «politicizzati» e chiunque «remi contro»: traditori della Patria. Accoltellano alle spalle la nazione.

L’ATTO INVIATO dalla procura di Roma a lei e ai ministri Nordio, Piantedosi e Mantovano «è stato un atto voluto, non dovuto: le procure hanno discrezionalità. A chiunque nei miei panni sarebbero cadute le braccia». Colpa di «alcuni magistrati», ma non tutti per carità, solo «alcuni» che «vogliono decidere tutto, vogliono governare e allora si candidassero». La sfidassero nelle urne perché tanto lei «non molla di un centimetro», non finché «la maggioranza degli italiani è con me».

LA PREMIER SA TENERE un comizio. Sembra trascinata da ira e sdegno, in realtà è fredda. Tra un’accusa rovente e uno strillo assordante quasi nessuno si accorge che dalla narrazione è completamente sparito il “generale” Elmasry. Il fattaccio all’origine di tutta la faccenda semplicemente non c’è più. Si parla di tutto, e se non lo fa la premier ci pensa il vice Antonio Tajani, tranne che di quel di cui si dovrebbe parlare: la fuga pilotata del torturatore. Il chiasso serve a tenere sotto schiaffo la magistratura, in particolare quella che deve decidere sui trasferimenti in Albania. Ma serve soprattutto ad affossare quel che non avrebbe mai dovuto emergere. La complicità italiana con il criminale libico e anche gli immondi accordi italo-libici che spiegano la scelta di mettere subito al riparo Elmasry.

Della scandalosa liberazione almeno l’opposizione parla. Del memorandum italo-libico siglato dal governo Gentiloni-Minniti nel 2017, confermato nel 2020 dal Conte 2, quello giallorosso, ripreso paro paro dal governo di destra, invece no. Solo Riccardo Magi di +Europa chiede una commissione d’inchiesta e lo si può capire: il suo è il solo partito senza responsabilità dirette.

IL GOVERNO COMUNQUE ha tutte le intenzioni di mettere la sordina sul caso Elmasry. L’ipotesi del segreto di Stato è remota ma non inesistente. «Deciderà Meloni», taglia corto Tajani e al momento per palazzo Chigi non se ne parla. Significherebbe ammettere le responsabilità nella loschissima vicenda e anche riconoscere che gli accordi con la Libia grondano sangue. Ma se proprio non se ne potrà fare a meno…

Di certo non si potrà evitare di riferire in parlamento ma anche su questo fronte Tajani è tutto un programma: «Qualcuno verrà a parlare». Chi sarà quel «qualcuno» resta ignoto. Probabilmente non i ministri interessati, con la scusa di essere indagati. Chiunque altro sarebbe melina e reticenza pura. A meno che la premier non decida di fare del parlamento il palco per la prossima intemerata e conoscendola non lo si può escludere.

Ma l’offensiva è a tutto campo, non si risparmia il ricorso alla consueta fanghiglia. Prende di mira la Corte penale internazionale: «Perché ha spiccato il mandato proprio quando Elmasry, in Europa da 12 giorni, è arrivato in Italia? La Corte dovrà chiarire», tuona Tajani e almeno da questo punto di vista proprio tutti i torti non li ha.

POI C’È IL BERSAGLIO numero uno, il procuratore Lo Voi. Tajani lancia una frecciata indiretta, alludendo all’accusa di aver adoperato i voli di Stato indebitamente: «L’accusa di peculato per Meloni e ministri la ritengo infondata. Qualche altra vicenda sta emergendo, semmai». Ma c’è anche l’accusa con tanto di nome e cognome, ed è proprio quella di alto tradimento ai danni della nazione: «Un servitore dello Stato, prima di fare scelte più che azzardate deve pensare se la sua scelta fa o meno l’interesse dell’Italia. La scelta di Lo Voi non lo fa». Il caso Elmasy era già di gravità inaudita. Ma ora, adoperato per contrabbandare di fatto il reato di leso interesse della nazione, diventa anche molto pericoloso.

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