sabato 31 maggio 2025

La bandiera di Israele


Elisabetta Piccolotti: “Ognuno porti la bandiera che vuole. Benvenuti gli israeliani anti-Netanyahu”
Niccolò Carratelli, La Stampa, 31 maggio 2025

Nella vostra piazza le bandiere israeliane saranno ammesse e accolte?

«Ognuno è libero di venire come vuole, non diamo indicazioni sulle bandiere da portare o non portare. L’importante è venire con animo pacifista e riconoscersi nella piattaforma della manifestazione. Poi abbiamo collegamenti con la sinistra israeliana, con chi si oppone a Netanyahu, non vedo problemi».

Il problema potrebbe sorgere se qualcuno porta in piazza una bandiera di Israele per bruciarla. O ne sventola una di Hamas. Siete consapevoli del rischio?
«Il rischio c’è, in una grande manifestazione popolare non si possono impedire incursioni inopportune, nessun servizio d’ordine può farlo. Io spero non avvenga, perché sarebbe un danno per tutti. Siamo certi che attivisti e sostenitori di Avs, Pd e M5s condividono la piattaforma politica, che spiega bene i motivi della mobilitazione. Conta quella e conteranno gli interventi dal palco».

Guido Vitiello 
Il Bi e il Ba
Il Foglio, 31 maggio 2025

Se domani i marziani sbarcassero a Roma e i loro cavalli elettrici si abbeverassero alle fontane di San Pietro, i cavalli ovviamente morirebbero folgorati, ma le opposizioni italiane presenterebbero almeno tre diverse mozioni per regolare conti interni, e il Terzo polo da solo ne avanzerebbe cinque. E così, tra il 6 e il 7 giugno ci saranno due diverse manifestazioni per Gaza, sulle quali ci sono al momento quattro linee: partecipare all’una, partecipare all’altra, non partecipare a nessuna, partecipare a entrambe. Quest’ultima posizione sembra piacere alla piccola fronda liberal che non vuole rompere del tutto i contatti con il Pd trasformato in liceo occupato (e trascinato dai ripetenti contiani). Una delle materie del contendere sono le bandiere israeliane. Huffington Post ha fatto un sondaggio tra i parlamentari: il Pd tentenna, Avs è contraria, nel M5s parlano addirittura di “provocazione”, come un qualunque servizio d’ordine stalinista. Ieri la special rapporteur Francesca Albanese, ribadendo la sua ben nota indipendenza ed equanimità, ha dettato la linea: “All’Italia che scenderà in piazza contro la bestialità in presa diretta a Gaza, pur amando Israele: per favore, lasciate le bandiere israeliane a casa”. C’è un problema logico, però. Tanti di quelli che manifesteranno dicono di farlo anche, se non principalmente, per amore di Israele, perché Israele non si suicidi e non perda l’anima. È una posizione che trovo poco laica (bisogna fare i conti con un paese così com’è, piaccia o meno, non con una nostra chimera nostalgico-bovaristica) in alcuni è perfino una posizione da amici di Giobbe, ma è una posizione rispettabile. E allora, se si tratta di difendere i valori fondanti di Israele calpestati dal suo attuale governo, quale altro simbolo si dovrebbe esibire, se non la bandiera? E i sinceri amici di Israele, a sinistra, si sentirebbero a proprio agio in una piazza dove i simboli dello Stato ebraico sono banditi? “Non ho nulla contro gli israeliani, ma adesso quella bandiera non si può portare in piazza”, ha detto il pentastellato Carotenuto. E ha detto tutto. 


La guerra continua

Andryi Yermak

Tra Kiev e Mosca il negoziato è un altro modo per fare la guerra
Francesco Brusa
il manifesto, 31 maggio 2025

Sembra quasi che le contrattazioni più significative fra Russia e Ucraina si svolgano «a lato» del tavolo negoziale vero e proprio, che è apprestato (almeno in teoria) nella città turca di Istanbul. I due paesi non cessano infatti di «dialogare” a distanza, avanzando qualche concessione per poi accusarsi reciprocamente di voler boicottare i colloqui, in un continuo braccio di ferro di dichiarazioni che un po’ serve a ingraziarsi alleati e opinioni pubbliche e un po’ cercare di porsi in una posizione di vantaggio sul contendente.

COSÌ IERI IL CAPO dell’ufficio presidenziale ucraino Andriy Yermak ha ribadito che Kiev pretende da Mosca «chiarezza» e, soprattutto, «proposte equilibrate». «Vogliamo la pace più di chiunque altro – ha detto a margine di un evento pubblico – ma non una pace a ogni costo». L’Ucraina ha in effetti dettagliato le proprie condizioni in un memorandum in 22 punti che dovrebbe essere stato inoltrato sia al Cremlino che alla Casa bianca, invitando la Russia a fare altrettanto come prerequisito per potere proseguire gli incontri a Istanbul.

L’inviato speciale statunitense Keith Kellog ne ha confermato la ricezione e lo ha definito «ragionevole». Secondo indiscrezioni raccolte dal New York Times, fra le richieste di Kiev ci sarebbe un cessate il fuoco onnicomprensivo che interessi gli attacchi sul terreno, aerei e via mare, da mettere in atto sotto la supervisione di stati terzi. Da Mosca arrivano commenti che vanno in diverse direzioni. Il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov si mantiene sul vago, spiegando che da parte russa un eventuale memorandum non può essere reso in alcun modo pubblico. Stando alle sue parole, il presidente della Federazione Vladimir Putin è certamente favorevole a dialogare di persona con i vertici ucraini, e magari con l’omologo Usa Trump, ma prima occorre che si verifichino dei progressi fra le delegazioni dei due paesi in guerra.

In Consiglio di sicurezza dell’Onu, invece, l’inviato russo Vasily Nebenzya ha provato a controbattere più nello specifico: un cessate il fuoco può essere preso in considerazione ma solo a patto che da quel momento in poi gli europei cessino l’invio di armi e Kiev sospenda la mobilitazione militare. Probabile che Nebenzya si sia concentrato su questo punto anche per cavalcare il clamore suscitato ieri dai tafferugli avvenuti a Kamyanets-Podilsky, nell’ovest dell’Ucraina, dove un centinaio di persone hanno assaltato una squadra di reclutamento (e in generale il malcontento generato dai casi sempre più numerosi di arruolamento forzato nell’esercito).

A OGNI MODO, nonostante le schermaglie retoriche, il resto del mondo pare voler spingere i due belligeranti a vedersi a Istanbul. Innanzitutto lo stesso ministro degli esteri turco Hakan Fidan, in visita diplomatica nella capitale ucraina, che si è sentito telefonicamente con il suo omologo russo Sergej Lavrov per discutere i dettagli dei colloqui previsti per lunedì nella metropoli anatolica. Anche Kellog ha suggerito pubblicamente a Kiev di presentarsi in ogni caso al tavolo dei negoziati, qualche che sia l’atteggiamento di Mosca.

È probabile (e alcune comunicazioni ufficiali sembrano confermarlo) che a breve si vedranno le medesime delegazioni di due settimane fa: un dialogo più che altro rituale, che difficilmente cambierà il quadro complessivo del conflitto ma che potrà fruttare qualche accordo di carattere pratico (come il grosso scambio di prigionieri concordato la volta precedente).

Infatti la guerra non solo non si ferma ma si intensifica: la Russia prosegue quella che diversi analisti definiscono «offensiva di primavera», con forti pressioni e qualche piccolo avanzamento nella regione di Sumy (nord-est dell’Ucraina). Anche per ovviare alle ingenti perdite di personale, l’uso di droni si fa sempre più preponderante: nella notte massiccio attacco di Mosca nella zona di Karkhiv, mentre Kiev continua la campagna di colpi su siti strategici in territorio russo. In attesa della diplomazia sul campo si tenta il tutto per tutto.

UN TAVOLO da cui Roma resta ai margini: «Questo gioco di far finta che l’Italia non conta nulla non lo condivido», ha detto la premier Giorgia Meloni da Astana. Alludeva al fatto che ieri sera una delegazione diplomatica italiana ha partecipato a un non meglio precisata call con i consiglieri di Francia, Germania e Regno unito.

venerdì 30 maggio 2025

Il declino apparente della politica

Michele Emiliano e Giuseppe Conte


Qualcuno ha intitolato "La morte della politica" l'articolo che Massimo Recalcati ha scritto per la Repubblica. Titolo infelice. La politica è un aspetto insopprimibile della consociazione umana. Solo la morte della società potrebbe mettere fine alla politica. Che invece continuamente si evolve, si trasforma, assume nuove sembianze. Da ultimo è risorta paradossalmente come antipolitica. Il passato, lo scontro fazioso, il pregiudizio, le battaglie ideologiche sono solo una parte di ciò che anima la scena pubblica per il momento. Recalcati guarda al destino della sinistra. Sulla scena pubblica assistiamo invece allo spettacolo di una destra che si rivela capace di superare lo scontro fazioso, il pregiudizio, le barricate ideologiche in nome di una superiore unità. Quanto al passato, nel caso di Giorgia Meloni, si assiste a una pratica rimozione. Insomma Recalcati vede la soluzione della crisi nel superamento della dimensione partiticaÈ uno psicanalista, non un sociologo, ragiona sulle persone, non considera il corpo sociale e la sua interna dinamica. In realtà, dalle istituzioni non si esce mai del tutto. Delle due l'una: o il movimento prende il posto dell'istituzione e si fa allora istituzione a sua volta, o l'istituzione assorbe il movimento che perde allora il suo carattere magmatico. Nella vicenda attuale della sinistra italiana, il movimento si è già fatto istituzione con i 5 Stelle passati da Grillo a Conte. Ha assunto quindi una fisionomia priva o carente di capacità attrattive, altrimenti detto manca di un respiro egemonico. Per il momento siamo alla competizione logorante tra partiti (istituzioni) che si escludono a vicenda. E si torna alle persone. Solo l'intervento di una figura altra - non Schlein né Conte - dotata non solo di una sensibilità unitaria (come Schlein) o di una vocazione movimentista (come Conte) ma di una virtù unificante supplementare in termini di immagine, messaggio e intuizione strategica può condurre a una svolta, all'uscita dallo stallo che tanto danno procura alla politica (di sinistra) e tiene in ostaggio il paese.     

Massimo Recalcati
La morte della politica
la Repubblica, 30 maggio 2025

La totale indifferenza che sembra circondare gli imminenti referendum non concerne tanto i contenuti che essi propongono, ma assai più in generale, il rapporto con la politica. E poiché a riconoscere nella passione per la politica una ragione fondamentale della vita individuale e di quella collettiva è stata nel nostro Paese la cultura di sinistra, in gioco è una evidente crisi di questa cultura a fare davvero presa sulla società civile. Dato che diviene ancora più evidente e sconcertante se lo si rapporta alle nuove generazioni. Non tanto però per la loro mancanza di fondamentali — in un film di diversi anni fa Veltroni aveva mostrato quanto per le nuove generazioni un nome come quello di Berlinguer fosse del tutto sconosciuto –, ma perché la politica come tale non è più in grado di accendere le loro vite. Ai loro occhi essa appare come un discorso decrepito, incomprensibile, senza vita. E quando è accaduto che vi fosse uno slancio — penso alla mobilitazione giovanile ecologista a difesa delle sorti del nostro pianeta — si è subito proceduto a stigmatizzarlo come politicamente ingenuo e privo di prospettive. Di certo se la politica ha perso il suo valore ideale non è per una semplice inettitudine dei nostri figli. La crisi della politica assomiglia piuttosto proprio alla crisi ecologica: è talmente evidente e talmente profonda che ogni iniziativa per trattarla appare insufficiente, come provare a svuotare l’acqua del mare con un secchiello. Dunque meglio ignorarla.

Per esempio si potrà citare la formidabile manifestazione per l’Europa convocata da Michele Serra dalle pagine di questo giornale o le recentissime belle vittorie dei candidati di centro sinistra al governo di grandi città, per smentire la validità della mia diagnosi. Ma questi riferimenti positivi coprono il grande vuoto che ci circonda. Nel nuovo secolo i sogni di trasformazione del nostro paese concepiti da sinistra hanno avuto ai miei occhi due soli nomi, tra loro molto diversi, ma accomunati dall’avere reso possibile una politica riformista in grado di governare in modo nuovo il nostro paese, avvicinando alla politica gli entusiasmi profondi delle nuove generazioni. Si tratta di Vendola e di Renzi. Cosa era successo allora? Si era imposta l’idea che la politica potesse essere innanzitutto un laboratorio di idee, uno sforzo collettivo di poesia. E in molti ci avevano creduto. L’uscita di scena di Vendola, gli errori e il declino irreversibile di Renzi hanno spento quegli entusiasmi radicalmente riformisti, ma da allora a sinistra non è mai più accaduto nulla di simile. La politica è rientrata nei ranghi dell’amministrazione, dei dossier, di un linguaggio incomprensibile e astratto fatto di slogan impotenti, di uomini e di donne più preoccupati di mantenere i propri posti che a scommettere sull’avvenire, di calcoli cinici sulle alleanze e sulle strategie elettorali. Vendola e Renzi sono stati invece due outsider della politica che a loro modo, sebbene per una breve stagione, hanno rappresentato degli antidoti efficaci di fronte alla marea montante dell’antipolitica populista. I soli in grado di parlare con forza irrituale, fuori dagli schemi consolidati dell’istituzionalizzazione, alle nuove generazioni. È proprio di questo antidoto che avrebbe bisogno ancora la politica per ritrovare la sua forza propulsiva. Non restare prigionieri del passato, dello scontro fazioso, del pregiudizio, delle barricate ideologiche. La passione per la politica non può essere sequestrata dalla sua istituzionalizzazione partitica. La sua condizione comatosa che l’astensionismo rivela in modo clamoroso non dipende allora tanto dall’indifferenza dei nostri figli, ma da una cultura di sinistra che ha sperperato un enorme patrimonio emotivo e intellettuale. È esistita una sinistra di governo in grado di trasformare effettivamente — come fece, per esempio, Vendola nel tempo della sua amministrazione riscattando una regione senza avvenire — la vita dei cittadini in termini di giustizia sociale, di diritti e di prospettive di progresso. Non potranno essere le recenti vittorie elettorali a guarire il corpo moribondo della politica. Sarebbe necessario uno scatto, un movimento nuovo, un progetto. Ma i politici di professione sono spesso i maggiori avversari della politica come passione. Sono talmente immersi nella vita ordinaria della piccola politica che si rivelano incapaci di compiere qualunque sforzo di poesia. Eppure è di questo sforzo che avremmo bisogno per riavvicinare i giovani alla politica.

Quando Marco Pannella sosteneva, in direzione ostinatamente contraria, la nobilità dell’istituto referendario raggiungendo obbiettivi politici che oggi tutti consideriamo irrinunciabili, il suo linguaggio sapeva spezzare il codice cristallizzato della politica istituzionalizzata. Sapeva allargare gli orizzonti incarnando una testimonianza credibile di cosa può essere la politica vissuta come passione. I nostri leader attuali non hanno più quella forza. Le loro parole sembra che ogni volta cadano nel vuoto dello slogan e in tatticismi senza cuore. Questo accresce la sensazione nelle nuove generazioni di essere orfani allo sbando. La politica che rientra nella scatola chiusa della politica istituzionalizzata non ha nessun futuro. L’invocazione ideologica — per esempio quella dell’antifascismo — diventa allora solo un mantra che ci fa sentire ancora vivi mentre siamo già morti.

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Nella dialettica tra movimento e istituzione si può pensare che l'istituzione in crisi sia un giorno sostituita dal movimento? Oppure, prima o poi, dovrà essere l'istituzione a cambiare riprendendo il suo posto e ritrovando il suo ruolo?

Chat Gpt

La dialettica tra movimento e istituzione è un tema classico del pensiero politico e sociale, soprattutto a partire dalla filosofia di Hegel, ma anche nella sociologia (pensiamo a Max Weber) e nei movimenti del '900 (ad esempio, pensatori come Cornelius Castoriadis o Mario Tronti).

Per rispondere alla tua domanda, possiamo distinguere due scenari:


1. Il movimento che sostituisce l’istituzione

In teoria, un movimento può anche prendere il posto di un’istituzione in crisi. Tuttavia, nel momento in cui un movimento si stabilizza e comincia a regolare comportamenti, ruoli e norme, esso tende a istituzionalizzarsi. È ciò che accade spesso ai movimenti rivoluzionari: nascono come forza di rottura, ma per durare devono darsi una struttura, e quindi diventano istituzioni.
Esempio storico: la Rivoluzione francese genera il Terrore, poi il Direttorio, poi Napoleone: il movimento rivoluzionario genera nuove istituzioni.

Quindi, in questo scenario, la sostituzione è solo apparente: il movimento, per esistere nel tempo, si trasforma in istituzione.


2. L’istituzione che cambia per incorporare il movimento

Un'altra ipotesi è che l’istituzione, pur in crisi, assorba e trasformi le spinte del movimento. Qui l’istituzione non viene sostituita, ma rigenerata.
Questo è un processo dialettico più “evolutivo”: il movimento mette in crisi lo status quo, l’istituzione reagisce, si modifica, si rinnova. In questo modo, mantiene la sua funzione di stabilizzazione, ma senza irrigidirsi.

Esempio contemporaneo: molte conquiste sociali (diritti civili, ambientali, femministi) nascono dai movimenti, ma trovano concretezza solo quando le istituzioni li riconoscono e li traducono in norme, pratiche, leggi.


Conclusione

Non si tratta di una scelta netta tra “sostituzione” o “ripresa del posto”. Storicamente e teoricamente, l’esito più frequente è che il movimento venga assorbito, trasformato o tradotto in istituzione. Quando ciò non avviene, o il movimento svanisce, o produce una nuova istituzione che, nel tempo, potrà a sua volta entrare in crisi.

Questa dialettica non ha fine: ogni istituzione porta in sé il seme del suo superamento, e ogni movimento, per durare, deve affrontare la sfida della forma.

giovedì 29 maggio 2025

Beryl Graves

 


Paul O'Prey
The Guardian, 1 novembre 2003
Beryl Graves, scomparsa all'età di 88 anni, ha ispirato alcune delle più belle poesie d'amore inglesi del XX secolo. Cinquant'anni dopo che la maggior parte di essi furono scritti da suo marito Robert, ne produsse un'edizione accademica che rimarrà come il testo autorevole.

Beryl nacque a Hampstead, Londra, figlia di Sir Harry Pritchard, presidente della Law Society, e studiò al Queen's College di Harley Street. Nel 1932 ottenne un posto a Oxford per studiare politica, filosofia ed economia, una delle prime generazioni di donne a cui fu concessa la piena adesione all'università e a ricevere lauree a pieno titolo.

Durante gli studi a Oxford sviluppò una forte intelligenza politica e si unì al club laburista universitario. Il giorno del suo ventunesimo compleanno brindò alla vittoria elettorale del Fronte Popolare rivoluzionario in Spagna, ignara che questo avrebbe scatenato una serie di eventi che l'avrebbero portata, un anno dopo, a incontrare il poeta e scrittore Robert Graves, che pure aveva celebrato la storica vittoria della sinistra repubblicana, ma che fu costretto ad abbandonare la sua casa a Maiorca quando la violenza della guerra civile che ne seguì minacciò di travolgerlo.

Quando lo incontrò, Graves, di 20 anni più grande di lei, aveva ottenuto il riconoscimento internazionale attraverso Goodbye To All That (1929) e i due romanzi di Claudius (1934). Si era trasferito a Maiorca nel 1929, in seguito alla separazione dalla moglie Nancy Nicholson e dai loro quattro figli, e al tentato suicidio della sua compagna e compagna letteraria, la poetessa americana Laura Riding. Lui e Riding si stabilirono nell'idilliaco villaggio di montagna di Deia, sulla costa nord-occidentale dell'isola, dove crearono una piccola comunità artistica. Quando se ne andarono, nel 1936, Graves si era ricreato come poeta sotto la severa influenza di Riding, ma il loro rapporto si era inasprito.

Beryl e Laura erano simili in quanto ognuna aveva un intelletto acuto e una formidabile forza di carattere, ma mentre Laura poteva essere delirante e giudicante, Beryl era l'incarnazione della sanità mentale e della tolleranza. Era anche giovane, straordinariamente bella e aveva un senso dell'umorismo giocoso.

Quando Riding espulse Graves dalla sua cerchia nel 1938, lui e Beryl erano già innamorati. Gli amori di Graves non sono mai stati privi di complicazioni, tuttavia. Questa volta era il fatto che Beryl era già sposata con il suo amico Alan Hodge. Beryl e Alan risolsero le cose rapidamente e senza problemi e lui e Graves continuarono a scrivere due libri insieme.

Negli anni '30 e '40 Graves scrisse lo straordinario gruppo di poesie d'amore per Beryl che hanno stabilito la sua reputazione poetica. Queste poesie celebrano un senso di liberazione e di speranza, per essere stato salvato dalla distruzione personale dall'amore, così come la sua profonda ammirazione per la forza e l'autocontrollo di Beryl:

Nei tuoi occhi assonnati leggo il viaggio

Di cui tu parli in modo sconnesso; che mescola

La mia amorevole ammirazione, che tu debba viaggiare

Attraverso l'incubo in una terra perduta e con fossato,

Che sono timorose per natura.

C'è anche una giocosità, come in Nonostante e Ancora:

Non hai letto

Le parole nella mia testa,

E ho fatto parte

Del tuo cuore?

Siamo stati come pareggiare

La goccia che fa traboccare il vaso -

Tu della tua gentilezza,

Io della mia temerarietà,

Entrambi di disperazione -

Eppure potrebbe ancora condividere

Questo felice testamento:

Da amare nonostante e ancora.

Dopo la guerra, Graves tornò a Deia, questa volta con Beryl e i loro tre figli piccoli, William, Lucia e Juan. Il loro quarto figlio, Tomás, nacque in Spagna. Graves scoprì che Ca N'Alluny, la casa che aveva lasciato con un preavviso di poche ore nel 1936, non era stata toccata dalla guerra. Beryl ha creato un'atmosfera di amicizia, divertimento e creatività intorno a Ca N'Alluny che mancava nella comunità ideologicamente guidata e consapevolmente artistica fondata da Laura.

Mentre Laura aveva cercato di creare una comunità saldamente a sua immagine, con se stessa al centro, Beryl era modesta, con la tendenza a mettere gli altri, e soprattutto Robert, prima di se stessa. Man mano che Graves diventava sempre più famosa, accoglieva infiniti visitatori da tutto il mondo e presiedeva con grazia e arguzia numerose cene, picnic, feste e spettacoli teatrali e letture improvvisate. Le cose importanti della vita sono diventate parte integrante dei rituali quotidiani di giocare con i bambini, fare giardinaggio, raccogliere le olive, cucinare per gli amici. Aveva una passione per l'allevamento di animali, dalla coppia di alligatori che aveva allevato da bambina, ai gatti abissinici che sorvolava da Harrods. Viaggiava molto, leggeva voracemente in inglese, spagnolo e russo e studiava il cielo notturno.

La poesia di Graves, tuttavia, era alimentata da un tumulto emotivo che una casa stabile non forniva. Crescendo, è diventato più, piuttosto che meno, ossessionato dalla realizzazione di un corpo di poesia che descriveva come una ricerca della "verità personale" e una resistenza all'erosione del valore in una società guidata dal denaro, dal potere e dalla tecnologia. Tale poesia è arrivata solo quando "le emozioni dell'amore, della paura, della rabbia o del dolore sono profondamente coinvolte" e lui l'ha orchestrata sviluppando legami romantici con una serie di quattro giovani donne che sono diventate note come le sue muse.

Dopo la prima guerra mondiale aveva resistito al trattamento psichiatrico per il suo shock da bombardamento, perché temeva che una cura lo avrebbe reso uno scrittore meno interessante. Era, diceva, "meno importante stare bene che essere un buon poeta". Allo stesso modo, ora sembrava meno importante essere felici, che perseguire la sua vocazione poetica fino a quella che sembrava la sua inevitabile conclusione.

Per la maggior parte, le relazioni con le muse erano idealistiche e platoniche. Ciononostante, la posizione di Beryl era comprensibilmente difficile. Lei rispose con la forza di carattere che la caratterizzava. Condivideva la visione di Graves dell'importanza e del valore del suo lavoro di poeta e manteneva una fede incrollabile in lui e nel loro impegno ad amarsi "nonostante e ancora".

Il risultato fu che il loro amore durò e tutte le muse, tranne una, si unirono alla sua cerchia di amici intimi. Nei suoi ultimi anni Beryl ha curato Robert attraverso una forma di Alzheimer con compassione e devozione.

Dopo la sua morte nel 1985, ha curato, con Dunstan Ward, Graves's Complete Poems in 3 volumes (terminato nel 1999), un eccezionale risultato accademico reso ancora più notevole dal fatto che lei stessa aveva ispirato o permesso di scrivere il meglio di quelle poesie.

Le sopravvivono i suoi quattro figli.

· Beryl Graves, editrice, nata il 22 febbraio 1915, morta il 27 ottobre 2003


mercoledì 28 maggio 2025

ll destino di Palinuro

Virgilio, Eneide, V, 827-861
Traduzione di Luca Canali

Qui carezzevoli gioie pervadono a vicenda l'animo  
sospeso del padre Enea; comanda di alzare all'istante
tutta l'alberatura e di tendere i pennoni alle vele.
Tirarono tutti insieme le scotte, e ugualmente a sinistra,
poi sciolsero le vele a destra; insieme volgono e rivolgono
le erte antenne; favorevoli brezze sospingono le navi.
Primo fra tutti Palinuro guidava la folta
squadra; gli altri dovevano seguire la sua prora.
E già l'umida Nyx aveva quasi toccata la meta
intermedia del cielo; i marinai rilassavano le membra
nella placida quiete, sotto i remi, sparsi per i duri banchi:
quando, disceso lieve dagli astri eterei,
il Sonno fendette l'aria tenebrosa e scosse le ombre
te, o Palinuro, cercando, a te incolpevole recando
funesti sogni; il dio si asside sull'alta
poppa, simile a Forbante, e dice queste parole:
«laside Palinuro, le acque portano spontanee la flotta;
le brezze spirano equilibrate: un'ora propizia al riposo;
adagia il capo, sottrai alla fatica gli occhi stanchi.
Per un poco posso subentrarti nel compito.
A stento sollevando gli occhi a lui Palinuro dice:
«Vuoi che ignori il volto del placido mare
e i flutti quieti? che confidi in questo mostro?
Affiderei - come sarebbe possibile? - Enea alle brezze
fallaci, sorpreso più volte dall'inganno del cielo sereno?.
Rispondeva tali parole, e fisso e stretto alla barra
non si scostava d'un pollice, e teneva gli occhi alle stelle.
Ed ecco il dio gli scuote un ramo stillante rugiada
letea e imbevuto del potere soporifero stigio su entrambe
le tempie, e a lui che già vacillava rilassa le pupille oscillanti.
La quiete inattesa gli aveva appena allentato le membra;
e sopra incombendo, con una parte divelta della poppa
e con tutto il timone lo rovesciò a capofitto nelle onde
mentre invano chiamava più volte i compagni;
quello, alato, si levò leggero a volo nell'aria.
La flotta corre ugualmente un cammino sicuro sul mare
e va imperterrita per le promesse del padre Nettuno.
Già navigando si avvicinava agli scogli delle Sirene,
difficili un tempo e bianchi delle ossa di molti;
allora le rocce risonavano rauche lontano per l'assidua
risacca: quando il padre Enea s'avvide che la nave, perduto il
nocchiero, errava fluttuando; ed egli la pilotò nelle onde notturne.
O troppo fiducioso nel cielo e nel mare tranquillo,
nudo, o Palinuro, giacerai su un'ignota spiaggia.


VI, 336-381, Enea sta visitando l'Ade

Ecco avanzava il timoniere Palinuro
che poc'anzi nella libica rotta, mentre osservava la stelle,
era precipitato da poppa riverso in mezzo alle onde.
Come lo riconobbe a stento, mesto nella grande ombra,
così gli si rivolge per primo: "quale degli dei, o Palinuro,
ti strappò a noi e ti sommerse in mezzo al mare?
Dimmi. Infatti Apollo, che mai in precedenza ho trovato 
fallace, con questo solo responso mi deluse l'animo,
quando presagiva che saresti scampato ai flutti
e giunto alle terre ausonie. Questa è la fede promessa?" 
Ed egli: "il tripode Apollo non ingannò te,
condottiero anchisiade, né il dio sommerse me in mare.
Infatti mentre precipitavo trascinai con me il timone,
divelto all'improvviso con grande violenza, a cui mi stringevo
di guardia, dirigendo la rotta. Giuro sugli aspri 
mari che non tanto concepii per me alcun timore,
quanto che la tua nave, spogliata di strumenti, sbalzato
il timoniere, naufragasse al sollevarsi degli alti marosi.
Tre notti invernali il Noto violento mi trasse
per le immense distese sull'acqua; a stento il quarto giorno
scorsi l'Italia alto dalla cima di un'onda.
Lentamente m'accostavo a nuoto alla terra; già la tenevo sicura,
se una gente crudele non mi avesse assalito col ferro
mentre, impacciato dalla madida veste, afferravo con mani adunche
le asperità del monte, e se ignara non mi avesse creduto una preda.
Ora mi possiedono i flutti e mi volgono i venti sul lido.
Per il lume giocondo del sole, per le brezze, per il padre,
ti prego, e per la speranza di Iulo che cresce,
strappami, invitto, a questi mali; o coprimi di terra,
poiché lo puoi e cerca il porto di Velia; 
oppure, se c'è una via, se alcuna te ne mostra la divina
madre - non credo che senza il volere degli dei
ti accingi a navigare il grande fiume e la palude stigia -,
porgi la mano a uno sventurato, e prendimi con te sulle onde,
perché almeno in morte riposi in tranquilla dimora". 
  Così aveva parlato, quando così la veggente cominciò:
"Di dove, o Palinuro, ti viene una così empia brama?
Insepolto vedrai le onde stigie e il severo
fiume delle Eumenidi,  e senza comando approderai alla riva?
Cessa di sperare che i destini degli dei si pieghino pregando.
Ma accogli memore le parole, conforto della dura sorte.
I vicini, spinti in lungo e in largo per le città
da prodigi celesti, espieranno le tue ossa,
e ti porranno un tumulo, e al tumulo faranno offerte,
e il luogo avrà in eterno il nome di Palinuro".



VI, 382-383
Traduzione di Enzio Cetrangolo

A queste parole gli affanni si allontanarono;
dal suo petto triste fu per un poco scacciato
il dolore; e gode del suo nome sul mare.

His dictis curae emotae pulsusque parumper
corde dolor tristi; gaudet cognomine terra. 

ChatGpt

L’episodio di Palinuro nell’Eneide (libro V-VI) può essere interpretato in base alle teorie di René Girard come un esempio letterario del meccanismo sacrificale e della funzione mitica della vittima, soprattutto se si considera il ruolo che la morte del timoniere ha nel ristabilire un ordine necessario per il passaggio dell’eroe verso il destino finale.

Ecco come applicare la visione di René Girard a questo episodio:


🧭 1. Il contesto: la morte di Palinuro

Palinuro cade in mare per volere del dio Sonno (inviato da Nettuno) e muore tragicamente, pur innocente. La sua morte è ingiustificata dal punto di vista umano: non ha colpe, non è punito per un errore, e chiede persino sepoltura invano.


🔍 2. Il sacrificio come passaggio necessario

Stando alla visione propria di René Girard, la morte di Palinuro può essere letta come un sacrificio fondativo:

  • Enea può finalmente scendere agli Inferi nel libro VI solo dopo che per Palinuro si è aperta la prospettiva della sepoltura.

  • Palinuro è una vittima sacrificale che permette alla missione collettiva (la fondazione di Roma) di proseguire.

  • La sua morte placa, simbolicamente, le forze caotiche del mare e della natura, e consente il passaggio verso il mondo dei morti, che rappresenta anche un passaggio interiore e spirituale per Enea.


🌀 3. Palinuro come capro espiatorio

Pur non essendo esplicitamente scelto come colpevole, Palinuro è rimosso dal gruppo (muore solo, gettato fuori bordo, e il suo corpo resta insepolto), come accade alle vittime espiatorie nel modello di Girard:

  • Non viene celebrato in vita;

  • Viene dimenticato rapidamente;

  • Solo nei Campi dell’Acheronte viene "riabilitato", quando la Sibilla gli promette un sepolcro e un culto.

Questo riflette la dinamica sacrificale mitica descritta da Girard: la vittima è necessaria, ma solo dopo viene mitizzata o riconosciuta come figura sacra o eroica.


⛪ 4. Il riconoscimento postumo e la fondazione

Girard sottolinea che molte culture divinizzano o sacralizzano la vittima dopo la morte, trasformandola in fondatrice. Così accade anche con Palinuro:

  • Il luogo della sua morte prende il suo nome (il promontorio di Palinuro);

  • Gli viene promesso un culto eterno, che lo collega al mito fondativo di Roma;

  • Viene, in un certo senso, “canonizzato” come martire del destino romano.


✝️ 5. Confronto con il cristianesimo di Girard

Girard sostiene che i testi mitici nascondono l’innocenza della vittima, mentre il Vangelo la rivela. Nell’Eneide, la morte di Palinuro rimane avvolta nel mistero e funzionale al destino collettivo: non c’è ancora la piena rivelazione dell’innocenza della vittima come avverrà nel cristianesimo. L’Eneide si colloca dunque a metà strada tra il mito (che giustifica il sacrificio) e la visione cristiana (che lo mette in crisi).


✅ In sintesi:

L’episodio di Palinuro può essere letto alla maniera di Girard come:

  • Un sacrificio rituale che consente il progresso della missione collettiva;

  • Un’esemplificazione del meccanismo del capro espiatorio, anche se in forma attenuata;

  • Una figura mitizzata post mortem, che richiama la funzione fondativa della vittima sacrificale;

  • Un esempio di come la letteratura classica tragga forza dal sacrificio, senza ancora metterlo apertamente in discussione, come farà invece la narrativa evangelica secondo Girard.

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Sia il cristianesimo che la fede pagana comportano il ricorso a una visione magica del mondo. L'ostacolo reale al proseguimento del viaggio, l'incertezza, si raggrumano nella persona del timoniere che in obbedienza a un disegno celeste viene irretito dal dio del Sonno. L'ostacolo deve essere rimosso. Palinuro diventa l'ostacolo, la vittima sacrificale la cui soppressione prelude alla continuazione felice del viaggio. Si ripete lo schema già presente nelle vicende di Ifigenia e di Isacco. In entrambi i casi il sacrificio sembra destinato a sbloccare una situazione, fornendo una prova di obbedienza da parte di Abramo o tentando di placare la collera di un dio nel caso di Agamennone. L'episodio biblico porta al superamento del sacrificio, la prova dell'obbedienza è stata offerta, conta più la propensione al rischio che l'esecuzione effettiva dell'assassinioÈ bella e notevole, in Virgilio, l'idea della memoria come risarcimento della morte.

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Elpenore

Daniel Mendelsohn in Un'Odissea. Un padre, un figlio e un'epopea fa notare come Virgilio sia molto fedele a Omero nel costruire il proemio dell'Eneide. 
Armi canto e l'uomo che primo dai lidi di Troia
venne fuggiasco per fato e alle spiagge
lavinie, e molto in terra e sul mare fu preda 
di forze divine, per l'ira ostinata della crudele Giunone,
molto sofferse anche in guerra, finch'ebbe fondato
la sua città, portato in Lazio i suoi dèi, donde il sangue 
latino e i padri albani e le mura dell'antica Roma.
L'eroe non è nominato, come nel proemio dell'Odissea: l'uomo versatile che vagò tanto. C'è l'ira ostinata di Giunone, e nell'Odissea troviamo Poseidone che aveva un feroce rancore. Ira che è presente fin dal primo verso nell'Iliade: l'ira di Achille. A Enea che molto sofferse corrisponde Odisseo che pure lui nel suo animo soffrì molte pene per mare. Il quale Odisseo vagò tanto mentre Enea fuggiasco fu preda di forze divine. Le battaglie combattute dall'eroe troiano una volta in Italia ricordano gli scontri che punteggiano l'Iliade. Come trascurare poi il fatto che le parole iniziali dell'Eneide, Arma virumque cano, mettono insieme i due poemi omerici. Il canto con cui si apre l'Iliade, Cantami o musa, l'uomo versatile che vagò tanto dell'Odissea e ancora le armi, gli scontri dell'Iliade.
Il parallelismo si ritrova nell'episodio di Palinuro riguardo in particolare alla mancata sepoltura. A un personaggio dell'Odissea a cui è toccata la medesima sorte, si tratta di Elpenore. La disgrazia viene alla luce in circostanze simili: tanto Enea quanto Odisseo visitano l'Ade. Anche Dante fa la stessa cosa molto tempo dopo, ma questa è un'altra storia. Odisseo, mentre aspetta di parlare a Tiresia, incrocia un fantasma, apparenza residua del marinaio Elpenore, la cui salma era rimasta insepolta nell'isola di Circe:
Non lasciarmi indietro senza pianti e senza tomba, 
che io non ti provochi l'ira divina,
ma bruciami con tutte quante le mie armi
e costruisci un tumulo sulla riva del mare canuto,
ricordo di un infelice, che anche i posteri conosceranno.
Fatto questo, pianta sul tumulo il remo
con cui remavo da vivo assieme ai miei compagni.
In Omero il tema della memoria è appena accennato, ma si avverte con nettezza. Anche per Patroclo nell'Iliade si pone il problema della sepoltura. 

L'incontro tra Ulisse e Elpènore nella traduzione di Rosa Calzecchi Onesti

 

Venne per prima l’anima del mio compagno Elpènore, / perché non era sepolto sotto la terra ampie vie; / il corpo in casa di Circe l’avevamo lasciato, / incompianto e insepolto: altro bisogno premeva! / Io piansi a vederlo, provai pena in cuore / e a lui rivolto parole fugaci dicevo: / “Elpènore, come scendesti, sotto l’ombra nebbiosa? / Tu a piedi hai fatto più presto di me su nave nera”. / Così dissi e piangendo mi ricambiava parole: / “Divino Laerzíade, accorto Odisseo, / la mala sorte d’un nume m’ha perso e il vino infinito. / Di Circe sul tetto dormendo, scordai / di tornare all’alta scala per scendere: / a capofitto caddi dal tetto e l’osso del collo / mi ruppi, l’anima scese giù all’Ade (vv. 51-65).

«Ora in nome dei vivi ti prego, che non sono qui, / della sposa, del padre che ti nutri bambino, / di Telemaco, l’unico figlio che in casa hai lasciato. / So che partendo di qui, dalla casa dell’Ade, / all’isola Eèa fermerai la solida nave. / Là, signore, ti prego di ricordarti di me; / oh, incompianto, insepolto (ἄκλαυτον καὶ ἄθαπτον) non lasciarmi laggiù, / partendo, ch’io non sia causa dell’ira divina per te, / ma bruciami con le mie armi, tutte quelle che ho, / e un tumulo alzami in riva al mare schiumoso: / ricordo di un uomo infelice, che anche i futuri lo vedano. / Fammi questo, e pianta sul tumulo il remo, / con cui da vivo remavo in mezzo ai compagni» (vv. 66-78).



Achille e Patroclo


Dopo che si furono tolta la voglia di mangiare e di bere,

se ne andarono a dormire, ciascuno nella propria tenda.

Il Pelide invece si stendeva sulla riva del mare rumoreggiante

e sospirava forte in mezzo ai molti suoi Mirmidoni:                                                                  60

se ne stava in un luogo sgombro, dove le onde spazzavano il lido.

Allora il sonno lo colse e gli scioglieva le pene del cuore:

lo avvolse dolcemente (l’eroe si era stancato molto

nell’inseguire Ettore verso Ilio battuta dal venti).

Ed ecco che gli apparve l’ombra dell’infelice Patroclo;                                                               65

gli rassomigliava in tutto: nella statura, negli occhi belli

e nella voce; indossava le stesse vesti.

Si fermò in alto, sopra la testa, e gli rivolgeva queste parole:

“Tu dormi e intanto ti dimentichi di me, Achille.

Quando ero vivo, non mi trascuravi: dopo morto sì, invece.                                                     70

Seppelliscimi al più presto! Voglio varcare la porta dell’Ade.

Mi respingono lontano le altre anime, le ombre dei defunti,

non mi consentono ancora di unirmi a loro di là del fiume;

così vado errando intorno alla casa di Ade dalle ampie porte.

Dammi una mano, te ne prego! Non tornerò                                                                               75

più un’altra volta dall’Ade, dopo il rogo funebre.

Non staremo più insieme da vivi, in disparte dai nostri

compagni, a discutere piani: ormai mi ha ghermito

l’odioso destino di morte che mi toccò nascendo.

Però anche per te la sorte è segnata, Achille simile agli Dei:                                                    80

devi cadere sotto le mura dei ricchissimi Troiani.

Ecco, ho un’altra cosa da dirti e da chiederti, se vuoi darmi retta:

non mettere le mie ossa, Achille, lontano dalle tue;

mettile insieme, come insieme crescemmo nel tuo palazzo.

Ancora piccolo, mi portò alla vostra casa                                                                                     85

Menezio di Opunte, per un disgraziato omicidio,

quel giorno che uccisi da sconsiderato il figlio di Anfidamante,

senza volerlo, per una lite al gioco degli astragali.

Allora mi accolse in casa Peleo, guidatore di carri:

mi allevò con ogni cura e mi nominò tuo aiutante in campo.                                                    90

Così vorrei che le nostre ossa le racchiudesse una stessa urna:

l’anfora d’oro che ti donò l’augusta madre”.

A lui rispondeva Achille dal piede veloce:

“Come mai, mio caro, sei venuto qui, e mi fai

queste richieste così precise? Stai pur certo che tutto                                                                95

io farò per te: mi comporterò come vuoi tu.

Ma tu avvicinati a me! Abbracciamoci, anche se per poco,

a consolarci di tristezza e di pianto!”.

Così parlava e protese le braccia:

ma non riuscì a prenderlo. Come fumo, l’anima se ne andò                                                   100

stridendo sotto terra. Achille si svegliò, stupito;

batté le mani l’una sull’altra e disse parole di lamento:

“Ahimé! Allora esiste anche nelle case di Ade

un’anima ed una parvenza, ma non ha più forza vitale!

Per tutta la notte l’ombra dell’infelice Patroclo                                                                         105

mi è stata accanto tra gemiti e lacrime

e mi ha fatto richieste ben precise: era in tutto simile a lui”.

Così diceva e in tutti risvegliò una gran voglia di pianto.

Iliade, XXIII, 57-108