L’episodio di Palinuro nell’Eneide (libro V-VI) può essere interpretato in base alle teorie di René Girard come un esempio letterario del meccanismo sacrificale e della funzione mitica della vittima, soprattutto se si considera il ruolo che la morte del timoniere ha nel ristabilire un ordine necessario per il passaggio dell’eroe verso il destino finale.
Ecco come applicare la visione di René Girard a questo episodio:
🧭 1. Il contesto: la morte di Palinuro
Palinuro cade in mare per volere del dio Sonno (inviato da Nettuno) e muore tragicamente, pur innocente. La sua morte è ingiustificata dal punto di vista umano: non ha colpe, non è punito per un errore, e chiede persino sepoltura invano.
🔍 2. Il sacrificio come passaggio necessario
Stando alla visione propria di René Girard, la morte di Palinuro può essere letta come un sacrificio fondativo:
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Enea può finalmente scendere agli Inferi nel libro VI solo dopo che per Palinuro si è aperta la prospettiva della sepoltura.
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Palinuro è una vittima sacrificale che permette alla missione collettiva (la fondazione di Roma) di proseguire.
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La sua morte placa, simbolicamente, le forze caotiche del mare e della natura, e consente il passaggio verso il mondo dei morti, che rappresenta anche un passaggio interiore e spirituale per Enea.
🌀 3. Palinuro come capro espiatorio
Pur non essendo esplicitamente scelto come colpevole, Palinuro è rimosso dal gruppo (muore solo, gettato fuori bordo, e il suo corpo resta insepolto), come accade alle vittime espiatorie nel modello di Girard:
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Non viene celebrato in vita;
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Viene dimenticato rapidamente;
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Solo nei Campi dell’Acheronte viene "riabilitato", quando la Sibilla gli promette un sepolcro e un culto.
Questo riflette la dinamica sacrificale mitica descritta da Girard: la vittima è necessaria, ma solo dopo viene mitizzata o riconosciuta come figura sacra o eroica.
⛪ 4. Il riconoscimento postumo e la fondazione
Girard sottolinea che molte culture divinizzano o sacralizzano la vittima dopo la morte, trasformandola in fondatrice. Così accade anche con Palinuro:
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Il luogo della sua morte prende il suo nome (il promontorio di Palinuro);
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Gli viene promesso un culto eterno, che lo collega al mito fondativo di Roma;
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Viene, in un certo senso, “canonizzato” come martire del destino romano.
✝️ 5. Confronto con il cristianesimo di Girard
Girard sostiene che i testi mitici nascondono l’innocenza della vittima, mentre il Vangelo la rivela. Nell’Eneide, la morte di Palinuro rimane avvolta nel mistero e funzionale al destino collettivo: non c’è ancora la piena rivelazione dell’innocenza della vittima come avverrà nel cristianesimo. L’Eneide si colloca dunque a metà strada tra il mito (che giustifica il sacrificio) e la visione cristiana (che lo mette in crisi).
✅ In sintesi:
L’episodio di Palinuro può essere letto alla maniera di Girard come:
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Un sacrificio rituale che consente il progresso della missione collettiva;
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Un’esemplificazione del meccanismo del capro espiatorio, anche se in forma attenuata;
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Una figura mitizzata post mortem, che richiama la funzione fondativa della vittima sacrificale;
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Un esempio di come la letteratura classica tragga forza dal sacrificio, senza ancora metterlo apertamente in discussione, come farà invece la narrativa evangelica secondo Girard.
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Sia
il cristianesimo che la fede pagana comportano il ricorso a una
visione magica del mondo. L'ostacolo reale al proseguimento del
viaggio, l'incertezza, si raggrumano nella persona del timoniere che
in obbedienza a un disegno celeste viene irretito dal dio del Sonno.
L'ostacolo deve essere rimosso. Palinuro diventa l'ostacolo, la
vittima sacrificale la cui soppressione prelude alla continuazione
felice del viaggio. Si ripete lo schema già presente nelle vicende
di Ifigenia e di Isacco. In entrambi i casi il sacrificio sembra
destinato a sbloccare una situazione, fornendo una prova di
obbedienza da parte di Abramo o tentando di placare la collera di un
dio nel caso di Agamennone. L'episodio biblico porta al superamento
del sacrificio, la prova dell'obbedienza è stata offerta, conta
più la propensione al rischio che l'esecuzione effettiva
dell'assassinio. È bella
e notevole, in Virgilio, l'idea della memoria come risarcimento della
morte.
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Elpenore
Daniel Mendelsohn in Un'Odissea. Un padre, un figlio e un'epopea fa notare come Virgilio sia molto fedele a Omero nel costruire il proemio dell'Eneide.
Armi canto e l'uomo che primo dai lidi di Troia
venne fuggiasco per fato e alle spiagge
lavinie, e molto in terra e sul mare fu preda
di forze divine, per l'ira ostinata della crudele Giunone,
molto sofferse anche in guerra, finch'ebbe fondato
la sua città, portato in Lazio i suoi dèi, donde il sangue
latino e i padri albani e le mura dell'antica Roma.
L'eroe non è nominato, come nel proemio dell'Odissea: l'uomo versatile che vagò tanto. C'è l'ira ostinata di Giunone, e nell'Odissea troviamo Poseidone che aveva un feroce rancore. Ira che è presente fin dal primo verso nell'Iliade: l'ira di Achille. A Enea che molto sofferse corrisponde Odisseo che pure lui nel suo animo soffrì molte pene per mare. Il quale Odisseo vagò tanto mentre Enea fuggiasco fu preda di forze divine. Le battaglie combattute dall'eroe troiano una volta in Italia ricordano gli scontri che punteggiano l'Iliade. Come trascurare poi il fatto che le parole iniziali dell'Eneide, Arma virumque cano, mettono insieme i due poemi omerici. Il canto con cui si apre l'Iliade, Cantami o musa, l'uomo versatile che vagò tanto dell'Odissea e ancora le armi, gli scontri dell'Iliade.
Il parallelismo si ritrova nell'episodio di Palinuro riguardo in particolare alla mancata sepoltura. A un personaggio dell'Odissea a cui è toccata la medesima sorte, si tratta di Elpenore. La disgrazia viene alla luce in circostanze simili: tanto Enea quanto Odisseo visitano l'Ade. Anche Dante fa la stessa cosa molto tempo dopo, ma questa è un'altra storia. Odisseo, mentre aspetta di parlare a Tiresia, incrocia un fantasma, apparenza residua del marinaio Elpenore, la cui salma era rimasta insepolta nell'isola di Circe:
Non lasciarmi indietro senza pianti e senza tomba,
che io non ti provochi l'ira divina,
ma bruciami con tutte quante le mie armi
e costruisci un tumulo sulla riva del mare canuto,
ricordo di un infelice, che anche i posteri conosceranno.
Fatto questo, pianta sul tumulo il remo
con cui remavo da vivo assieme ai miei compagni.
In Omero il tema della memoria è appena accennato, ma si avverte con nettezza. Anche per Patroclo nell'Iliade si pone il problema della sepoltura.
L'incontro tra Ulisse e Elpènore nella traduzione di Rosa Calzecchi Onesti
“Venne per prima l’anima del mio compagno Elpènore, / perché non era sepolto sotto la terra ampie vie; / il corpo in casa di Circe l’avevamo lasciato, / incompianto e insepolto: altro bisogno premeva! / Io piansi a vederlo, provai pena in cuore / e a lui rivolto parole fugaci dicevo: / “Elpènore, come scendesti, sotto l’ombra nebbiosa? / Tu a piedi hai fatto più presto di me su nave nera”. / Così dissi e piangendo mi ricambiava parole: / “Divino Laerzíade, accorto Odisseo, / la mala sorte d’un nume m’ha perso e il vino infinito. / Di Circe sul tetto dormendo, scordai / di tornare all’alta scala per scendere: / a capofitto caddi dal tetto e l’osso del collo / mi ruppi, l’anima scese giù all’Ade” (vv. 51-65).
«Ora in nome dei vivi ti prego, che non sono qui, / della sposa, del padre che ti nutri bambino, / di Telemaco, l’unico figlio che in casa hai lasciato. / So che partendo di qui, dalla casa dell’Ade, / all’isola Eèa fermerai la solida nave. / Là, signore, ti prego di ricordarti di me; / oh, incompianto, insepolto (ἄκλαυτον καὶ ἄθαπτον) non lasciarmi laggiù, / partendo, ch’io non sia causa dell’ira divina per te, / ma bruciami con le mie armi, tutte quelle che ho, / e un tumulo alzami in riva al mare schiumoso: / ricordo di un uomo infelice, che anche i futuri lo vedano. / Fammi questo, e pianta sul tumulo il remo, / con cui da vivo remavo in mezzo ai compagni» (vv. 66-78).
Achille e Patroclo
Dopo che si furono tolta la voglia di mangiare e di bere,
se ne andarono a dormire, ciascuno nella propria tenda.
Il Pelide invece si stendeva sulla riva del mare rumoreggiante
e sospirava forte in mezzo ai molti suoi Mirmidoni: 60
se ne stava in un luogo sgombro, dove le onde spazzavano il lido.
Allora il sonno lo colse e gli scioglieva le pene del cuore:
lo avvolse dolcemente (l’eroe si era stancato molto
nell’inseguire Ettore verso Ilio battuta dal venti).
Ed ecco che gli apparve l’ombra dell’infelice Patroclo; 65
gli rassomigliava in tutto: nella statura, negli occhi belli
e nella voce; indossava le stesse vesti.
Si fermò in alto, sopra la testa, e gli rivolgeva queste parole:
“Tu dormi e intanto ti dimentichi di me, Achille.
Quando ero vivo, non mi trascuravi: dopo morto sì, invece. 70
Seppelliscimi al più presto! Voglio varcare la porta dell’Ade.
Mi respingono lontano le altre anime, le ombre dei defunti,
non mi consentono ancora di unirmi a loro di là del fiume;
così vado errando intorno alla casa di Ade dalle ampie porte.
Dammi una mano, te ne prego! Non tornerò 75
più un’altra volta dall’Ade, dopo il rogo funebre.
Non staremo più insieme da vivi, in disparte dai nostri
compagni, a discutere piani: ormai mi ha ghermito
l’odioso destino di morte che mi toccò nascendo.
Però anche per te la sorte è segnata, Achille simile agli Dei: 80
devi cadere sotto le mura dei ricchissimi Troiani.
Ecco, ho un’altra cosa da dirti e da chiederti, se vuoi darmi retta:
non mettere le mie ossa, Achille, lontano dalle tue;
mettile insieme, come insieme crescemmo nel tuo palazzo.
Ancora piccolo, mi portò alla vostra casa 85
Menezio di Opunte, per un disgraziato omicidio,
quel giorno che uccisi da sconsiderato il figlio di Anfidamante,
senza volerlo, per una lite al gioco degli astragali.
Allora mi accolse in casa Peleo, guidatore di carri:
mi allevò con ogni cura e mi nominò tuo aiutante in campo. 90
Così vorrei che le nostre ossa le racchiudesse una stessa urna:
l’anfora d’oro che ti donò l’augusta madre”.
A lui rispondeva Achille dal piede veloce:
“Come mai, mio caro, sei venuto qui, e mi fai
queste richieste così precise? Stai pur certo che tutto 95
io farò per te: mi comporterò come vuoi tu.
Ma tu avvicinati a me! Abbracciamoci, anche se per poco,
a consolarci di tristezza e di pianto!”.
Così parlava e protese le braccia:
ma non riuscì a prenderlo. Come fumo, l’anima se ne andò 100
stridendo sotto terra. Achille si svegliò, stupito;
batté le mani l’una sull’altra e disse parole di lamento:
“Ahimé! Allora esiste anche nelle case di Ade
un’anima ed una parvenza, ma non ha più forza vitale!
Per tutta la notte l’ombra dell’infelice Patroclo 105
mi è stata accanto tra gemiti e lacrime
e mi ha fatto richieste ben precise: era in tutto simile a lui”.
Così diceva e in tutti risvegliò una gran voglia di pianto.
Iliade, XXIII, 57-108