lunedì 26 maggio 2025

L’annientamento della parola

 


Pensiamo al potente discorso con cui si apre il Vangelo secondo Giovanni: “Nel principio era la Parola (il Logos) e la Parola era presso Dio, e la Parola era Dio”. Che cosa potremmo dire noi oggi: “Alla fine ci fu la parola e la parola era Nulla, e la parola cadeva nel Nulla”. Terribile segno dei tempi. La parola pronunciata dai grandi della Terra ha perso valore. Il presidente Trump ha sortito affermazioni che si è poi rimangiato un gran numero di volte. E così l’autocrate Putin. La parola dei nostri politici italiani non sembra avere un particolare peso, se è vero che viene rilanciata all’infinito dai mezzi di comunicazione e non produce nessun effetto. La partecipazione al voto continua a calare nell’indifferenza generale. Marek Halter ha appena fatto notare l’assenza di grandi voci autorevoli tra gli intellettuali dei nostri giorni. Ha nominato Albert Camus e Primo Levi. Grandi figure del passato. Di un passato recente, ma pur sempre passato.
Come si esce da questo tunnel del discorso che si converte in rumore e assenza di significato? Qualcuno forse in un futuro non troppo lontano prenderà il posto delle attuali comparse sulla scena del mondo. E tuttavia sarebbe ingiusto credere che siamo condannati a una solitudine impotente. Intanto c’è la parola quotidiana, che non ha perso significato. “Buongiorno” vuole ancora dire buongiorno sulla bocca di molti tra noi comuni mortali. E poi si tratta di tendere l’orecchio e di aprire gli occhi.
Tendere l’orecchio. Altri messaggi continuano ad essere trasmessi nella valanga delle informazioni comunicate al pubblico. Il nuovo papa, per esempio, sembra pesare le parole e rimette in circuito nozioni preziose, la speranza, la fraternità, lo spirito. La Cina non è più quella luce che veniva dall’Oriente e indicava la strada del futuro a una umanità smarrita. Si esprime in un linguaggio sommesso, niente tigre di carta, come usava il Grande Timoniere, ma riesce ad allineare considerazioni di buon senso, lasciando trasparire soprattutto una grande calma, virtù rara in questi tempi di furori recitati e poco convinti.
Aprire gli occhi. La nostra è una civiltà dell’immagine, si dice. Trump e Putin e Netanyahu, le star mediatiche del momento non hanno parole per esprimere l’orrore che si consuma a Gaza, giorno dopo giorno. Eppure, basta accendere il televisore o aprire il computer, o il telefonino. Lo scandalo del martirio inflitto ai civili sulle sponde del Mediterraneo in un angolo della terra contesa tra israeliani e palestinesi si ripropone di continuo. La ressa degli affamati. Il paesaggio devastato. Le rovine a cielo aperto. La vergogna delle armi dispiegate per il contrasto ai civili inermi. Altro che pace disarmata e disarmante, come ha detto Leone XIV inaugurando la sua prelatura. Guerra armata e disperante. Guerra che uccide la speranza in un futuro umano. Guerra che prelude a un futuro di immemore sopraffazione. Il resort, la costa azzurra del Medio Oriente. Anche questo è stato detto dal principale attore della attuale tragedia. L’angelo della storia in Klee procedeva con le spalle volte al futuro e contemplava una sorta di inferno sulla terra. Walter Benjamin che amava quella immagine aveva un legame certo con la tradizione ebraica e con il misticismo da essa veicolato. Per una volta, sarebbe invece giusto voltare le spalle alla tradizione per affermare che solo il ritorno del Logos, della parola vera, può aprire le porte del futuro a una umanità decisa a vivere in pace. Lo Spirito positivo del mondo non chiede altro. Ognuno faccia la propria parte. Là dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva, secondo la Parola e l’auspicio sacrosanto del poeta.





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