Pensiamo
al potente discorso con cui si apre il Vangelo secondo Giovanni: “Nel
principio era la Parola (il Logos) e la Parola era presso Dio, e la
Parola era Dio”. Che cosa potremmo dire noi oggi: “Alla fine ci
fu la parola e la parola era Nulla, e la parola cadeva nel Nulla”.
Terribile segno dei tempi. La parola pronunciata dai grandi della
Terra ha perso valore. Il presidente Trump ha sortito affermazioni che si è
poi rimangiato un gran numero di volte. E così l’autocrate Putin.
La parola dei nostri politici italiani non sembra avere un
particolare peso, se è vero che viene rilanciata all’infinito dai
mezzi di comunicazione e non produce nessun effetto. La
partecipazione al voto continua a calare nell’indifferenza
generale. Marek Halter ha appena fatto notare l’assenza di grandi
voci autorevoli tra gli intellettuali dei nostri giorni. Ha nominato
Albert Camus e Primo Levi. Grandi figure del passato. Di un passato
recente, ma pur sempre passato.
Come si esce da questo tunnel
del discorso che si converte in rumore e assenza di significato? Qualcuno
forse in un futuro non troppo lontano prenderà il posto delle
attuali comparse sulla scena del mondo. E tuttavia sarebbe ingiusto
credere che siamo condannati a una solitudine impotente. Intanto c’è
la parola quotidiana, che non ha perso significato. “Buongiorno”
vuole ancora dire buongiorno sulla bocca di molti tra noi comuni
mortali. E poi si tratta di tendere l’orecchio e di aprire gli
occhi.
Tendere l’orecchio. Altri messaggi continuano ad essere
trasmessi nella valanga delle informazioni comunicate al pubblico. Il
nuovo papa, per esempio, sembra pesare le parole e rimette in
circuito nozioni preziose, la speranza, la fraternità, lo spirito.
La Cina non è più quella luce che veniva dall’Oriente e indicava
la strada del futuro a una umanità smarrita. Si esprime in un
linguaggio sommesso, niente tigre di carta, come usava il Grande
Timoniere, ma riesce ad allineare considerazioni di buon senso,
lasciando trasparire soprattutto una grande calma, virtù rara in
questi tempi di furori recitati e poco convinti.
Aprire gli
occhi. La nostra è una civiltà dell’immagine, si dice. Trump e
Putin e Netanyahu, le star mediatiche del momento non hanno parole
per esprimere l’orrore che si consuma a Gaza, giorno dopo giorno.
Eppure, basta accendere il televisore o aprire il computer, o il
telefonino. Lo scandalo del martirio inflitto ai civili sulle sponde
del Mediterraneo in un angolo della terra contesa tra israeliani e
palestinesi si ripropone di continuo. La ressa degli affamati. Il
paesaggio devastato. Le rovine a cielo aperto. La vergogna delle armi
dispiegate per il contrasto ai civili inermi. Altro che pace
disarmata e disarmante, come ha detto Leone XIV inaugurando la sua
prelatura. Guerra armata e disperante. Guerra che uccide la speranza
in un futuro umano. Guerra che prelude a un futuro di immemore
sopraffazione. Il resort, la costa azzurra del Medio Oriente. Anche
questo è stato detto dal principale attore della attuale tragedia.
L’angelo della storia in Klee procedeva con le spalle volte al
futuro e contemplava una sorta di inferno sulla terra. Walter
Benjamin che amava quella immagine aveva un legame certo con la
tradizione ebraica e con il misticismo da essa veicolato. Per una
volta, sarebbe invece giusto voltare le spalle alla tradizione per
affermare che solo il ritorno del Logos, della parola vera, può
aprire le porte del futuro a una umanità decisa a vivere in pace. Lo
Spirito positivo del mondo non chiede altro. Ognuno faccia la propria
parte. Là dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva, secondo la
Parola e l’auspicio sacrosanto del poeta.
👍👏
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