Virgilio, Eneide, V, 827-861
Traduzione di Luca Canali
Qui carezzevoli gioie pervadono a vicenda l'animo
sospeso del padre Enea; comanda di alzare all'istante
tutta l'alberatura e di tendere i pennoni alle vele.
Tirarono tutti insieme le scotte, e ugualmente a sinistra,
poi sciolsero le vele a destra; insieme volgono e rivolgono
le erte antenne; favorevoli brezze sospingono le navi.
Primo fra tutti Palinuro guidava la folta
squadra; gli altri dovevano seguire la sua prora.
E già l'umida Nyx aveva quasi toccata la meta
intermedia del cielo; i marinai rilassavano le membra
nella placida quiete, sotto i remi, sparsi per i duri banchi:
quando, disceso lieve dagli astri eterei,
il Sonno fendette l'aria tenebrosa e scosse le ombre
te, o Palinuro, cercando, a te incolpevole recando
funesti sogni; il dio si asside sull'alta
poppa, simile a Forbante, e dice queste parole:
«laside Palinuro, le acque portano spontanee la flotta;
le brezze spirano equilibrate: un'ora propizia al riposo;
adagia il capo, sottrai alla fatica gli occhi stanchi.
Per un poco posso subentrarti nel compito.
A stento sollevando gli occhi a lui Palinuro dice:
«Vuoi che ignori il volto del placido mare
e i flutti quieti? che confidi in questo mostro?
Affiderei - come sarebbe possibile? - Enea alle brezze
fallaci, sorpreso più volte dall'inganno del cielo sereno?.
Rispondeva tali parole, e fisso e stretto alla barra
non si scostava d'un pollice, e teneva gli occhi alle stelle.
Ed ecco il dio gli scuote un ramo stillante rugiada
letea e imbevuto del potere soporifero stigio su entrambe
le tempie, e a lui che già vacillava rilassa le pupille oscillanti.
La quiete inattesa gli aveva appena allentato le membra;
e sopra incombendo, con una parte divelta della poppa
e con tutto il timone lo rovesciò a capofitto nelle onde
mentre invano chiamava più volte i compagni;
quello, alato, si levò leggero a volo nell'aria.
La flotta corre ugualmente un cammino sicuro sul mare
e va imperterrita per le promesse del padre Nettuno.
Già navigando si avvicinava agli scogli delle Sirene,
difficili un tempo e bianchi delle ossa di molti;
allora le rocce risonavano rauche lontano per l'assidua
risacca: quando il padre Enea s'avvide che la nave, perduto il
nocchiero, errava fluttuando; ed egli la pilotò nelle onde notturne.
O troppo fiducioso nel cielo e nel mare tranquillo,
nudo, o Palinuro, giacerai su un'ignota spiaggia.
che poc'anzi nella libica rotta, mentre osservava la stelle,
era precipitato da poppa riverso in mezzo alle onde.
Come lo riconobbe a stento, mesto nella grande ombra,
così gli si rivolge per primo: "quale degli dei, o Palinuro,
ti strappò a noi e ti sommerse in mezzo al mare?
Dimmi. Infatti Apollo, che mai in precedenza ho trovato
fallace, con questo solo responso mi deluse l'animo,
quando presagiva che saresti scampato ai flutti
e giunto alle terre ausonie. Questa è la fede promessa?"
Ed egli: "il tripode Apollo non ingannò te,
condottiero anchisiade, né il dio sommerse me in mare.
Così aveva parlato, quando così la veggente cominciò:
L’episodio di Palinuro nell’Eneide (libro V-VI) può essere interpretato in base alle teorie di René Girard come un esempio letterario del meccanismo sacrificale e della funzione mitica della vittima, soprattutto se si considera il ruolo che la morte del timoniere ha nel ristabilire un ordine necessario per il passaggio dell’eroe verso il destino finale.
Ecco come applicare la visione di René Girard a questo episodio:
🧭 1. Il contesto: la morte di Palinuro
Palinuro cade in mare per volere del dio Sonno (inviato da Nettuno) e muore tragicamente, pur innocente. La sua morte è ingiustificata dal punto di vista umano: non ha colpe, non è punito per un errore, e chiede persino sepoltura invano.
🔍 2. Il sacrificio come passaggio necessario
Stando alla visione propria di René Girard, la morte di Palinuro può essere letta come un sacrificio fondativo:
-
Enea può finalmente scendere agli Inferi nel libro VI solo dopo che per Palinuro si è aperta la prospettiva della sepoltura.
-
Palinuro è una vittima sacrificale che permette alla missione collettiva (la fondazione di Roma) di proseguire.
-
La sua morte placa, simbolicamente, le forze caotiche del mare e della natura, e consente il passaggio verso il mondo dei morti, che rappresenta anche un passaggio interiore e spirituale per Enea.
🌀 3. Palinuro come capro espiatorio
Pur non essendo esplicitamente scelto come colpevole, Palinuro è rimosso dal gruppo (muore solo, gettato fuori bordo, e il suo corpo resta insepolto), come accade alle vittime espiatorie nel modello di Girard:
-
Non viene celebrato in vita;
-
Viene dimenticato rapidamente;
-
Solo nei Campi dell’Acheronte viene "riabilitato", quando la Sibilla gli promette un sepolcro e un culto.
Questo riflette la dinamica sacrificale mitica descritta da Girard: la vittima è necessaria, ma solo dopo viene mitizzata o riconosciuta come figura sacra o eroica.
⛪ 4. Il riconoscimento postumo e la fondazione
Girard sottolinea che molte culture divinizzano o sacralizzano la vittima dopo la morte, trasformandola in fondatrice. Così accade anche con Palinuro:
-
Il luogo della sua morte prende il suo nome (il promontorio di Palinuro);
-
Gli viene promesso un culto eterno, che lo collega al mito fondativo di Roma;
-
Viene, in un certo senso, “canonizzato” come martire del destino romano.
✝️ 5. Confronto con il cristianesimo di Girard
Girard sostiene che i testi mitici nascondono l’innocenza della vittima, mentre il Vangelo la rivela. Nell’Eneide, la morte di Palinuro rimane avvolta nel mistero e funzionale al destino collettivo: non c’è ancora la piena rivelazione dell’innocenza della vittima come avverrà nel cristianesimo. L’Eneide si colloca dunque a metà strada tra il mito (che giustifica il sacrificio) e la visione cristiana (che lo mette in crisi).
✅ In sintesi:
L’episodio di Palinuro può essere letto alla maniera di Girard come:
-
Un sacrificio rituale che consente il progresso della missione collettiva;
-
Un’esemplificazione del meccanismo del capro espiatorio, anche se in forma attenuata;
-
Una figura mitizzata post mortem, che richiama la funzione fondativa della vittima sacrificale;
-
Un esempio di come la letteratura classica tragga forza dal sacrificio, senza ancora metterlo apertamente in discussione, come farà invece la narrativa evangelica secondo Girard.
Armi canto e l'uomo che primo dai lidi di Troia
venne fuggiasco per fato e alle spiagge
lavinie, e molto in terra e sul mare fu preda
L'incontro tra Ulisse e Elpènore nella traduzione di Rosa Calzecchi Onesti
“Venne per prima l’anima del mio compagno Elpènore, / perché non era sepolto sotto la terra ampie vie; / il corpo in casa di Circe l’avevamo lasciato, / incompianto e insepolto: altro bisogno premeva! / Io piansi a vederlo, provai pena in cuore / e a lui rivolto parole fugaci dicevo: / “Elpènore, come scendesti, sotto l’ombra nebbiosa? / Tu a piedi hai fatto più presto di me su nave nera”. / Così dissi e piangendo mi ricambiava parole: / “Divino Laerzíade, accorto Odisseo, / la mala sorte d’un nume m’ha perso e il vino infinito. / Di Circe sul tetto dormendo, scordai / di tornare all’alta scala per scendere: / a capofitto caddi dal tetto e l’osso del collo / mi ruppi, l’anima scese giù all’Ade” (vv. 51-65).
«Ora in nome dei vivi ti prego, che non sono qui, / della sposa, del padre che ti nutri bambino, / di Telemaco, l’unico figlio che in casa hai lasciato. / So che partendo di qui, dalla casa dell’Ade, / all’isola Eèa fermerai la solida nave. / Là, signore, ti prego di ricordarti di me; / oh, incompianto, insepolto (ἄκλαυτον καὶ ἄθαπτον) non lasciarmi laggiù, / partendo, ch’io non sia causa dell’ira divina per te, / ma bruciami con le mie armi, tutte quelle che ho, / e un tumulo alzami in riva al mare schiumoso: / ricordo di un uomo infelice, che anche i futuri lo vedano. / Fammi questo, e pianta sul tumulo il remo, / con cui da vivo remavo in mezzo ai compagni» (vv. 66-78).
Achille e Patroclo
Dopo che si furono tolta la voglia di mangiare e di bere,
se ne andarono a dormire, ciascuno nella propria tenda.
Il Pelide invece si stendeva sulla riva del mare rumoreggiante
e sospirava forte in mezzo ai molti suoi Mirmidoni: 60
se ne stava in un luogo sgombro, dove le onde spazzavano il lido.
Allora il sonno lo colse e gli scioglieva le pene del cuore:
lo avvolse dolcemente (l’eroe si era stancato molto
nell’inseguire Ettore verso Ilio battuta dal venti).
Ed ecco che gli apparve l’ombra dell’infelice Patroclo; 65
gli rassomigliava in tutto: nella statura, negli occhi belli
e nella voce; indossava le stesse vesti.
Si fermò in alto, sopra la testa, e gli rivolgeva queste parole:
“Tu dormi e intanto ti dimentichi di me, Achille.
Quando ero vivo, non mi trascuravi: dopo morto sì, invece. 70
Seppelliscimi al più presto! Voglio varcare la porta dell’Ade.
Mi respingono lontano le altre anime, le ombre dei defunti,
non mi consentono ancora di unirmi a loro di là del fiume;
così vado errando intorno alla casa di Ade dalle ampie porte.
Dammi una mano, te ne prego! Non tornerò 75
più un’altra volta dall’Ade, dopo il rogo funebre.
Non staremo più insieme da vivi, in disparte dai nostri
compagni, a discutere piani: ormai mi ha ghermito
l’odioso destino di morte che mi toccò nascendo.
Però anche per te la sorte è segnata, Achille simile agli Dei: 80
devi cadere sotto le mura dei ricchissimi Troiani.
Ecco, ho un’altra cosa da dirti e da chiederti, se vuoi darmi retta:
non mettere le mie ossa, Achille, lontano dalle tue;
mettile insieme, come insieme crescemmo nel tuo palazzo.
Ancora piccolo, mi portò alla vostra casa 85
Menezio di Opunte, per un disgraziato omicidio,
quel giorno che uccisi da sconsiderato il figlio di Anfidamante,
senza volerlo, per una lite al gioco degli astragali.
Allora mi accolse in casa Peleo, guidatore di carri:
mi allevò con ogni cura e mi nominò tuo aiutante in campo. 90
Così vorrei che le nostre ossa le racchiudesse una stessa urna:
l’anfora d’oro che ti donò l’augusta madre”.
A lui rispondeva Achille dal piede veloce:
“Come mai, mio caro, sei venuto qui, e mi fai
queste richieste così precise? Stai pur certo che tutto 95
io farò per te: mi comporterò come vuoi tu.
Ma tu avvicinati a me! Abbracciamoci, anche se per poco,
a consolarci di tristezza e di pianto!”.
Così parlava e protese le braccia:
ma non riuscì a prenderlo. Come fumo, l’anima se ne andò 100
stridendo sotto terra. Achille si svegliò, stupito;
batté le mani l’una sull’altra e disse parole di lamento:
“Ahimé! Allora esiste anche nelle case di Ade
un’anima ed una parvenza, ma non ha più forza vitale!
Per tutta la notte l’ombra dell’infelice Patroclo 105
mi è stata accanto tra gemiti e lacrime
e mi ha fatto richieste ben precise: era in tutto simile a lui”.
Così diceva e in tutti risvegliò una gran voglia di pianto.
Iliade, XXIII, 57-108
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