sabato 17 maggio 2025

Suona, ragazzo, suona! Herman Melville



Herman Melville
Redburn (1849)

A bordo della nostra nave, tra i passeggeri emigranti, c'era un ragazzo italiano dalle guance ricche e dai capelli castani, vestito con una giacca di velluto color oliva sbiadito e pantaloni stracciati arrotolati fino al ginocchio. Non aveva più di quindici anni; ma nella crepuscolare tristezza dei suoi giovanissimi occhi, sembravano rivivere esperienze così tristi e variegate, che i giorni dovevano essergli sembrati anni. I suoi occhi non erano come quelli di Harry, larghi e femminei, ma brillavano di una luce tenera e spirituale, come la luna in un cielo tropicale e parlavano  di umiltà, di profondità pensosa, ma anche di una serena accettazione di tutti i mali della vita.

Aveva una testa piccolissima; e ricoperta di folti grappoli di riccioli, ricadenti in parte sulla fronte e sugli orecchi delicati, faceva pensare qualche volta a un classico vaso, colmo di fogliame, di Falerno.

Dal ginocchio in giù, la gamba nuda era bella da vedere come le braccia di una donna, morbide e rotonde, piene di grazia infantile. Tutta la sua persona era disinvolta, bella e indolente; era un fanciullo come quelli che fioriscono alla vita in una vigna napoletana; un ragazzo come quelli che le zingare rubano bambini; oppure un ragazzo come Murillo dipingeva spesso, quando andava tra i poveri e gli emarginati, per soggetti con cui catturare gli occhi dei nobili e dei ricchi; un ragazzo come solo i mendicanti andalusi sono, pieno di poesia, che sgorga da ogni fessura.

Il suo nome era Carlo ed era un povero e solitario figlio della terra, che non aveva padroni ed era trascinato nell'oceano della vita, come uno spruzzo di mare in una tempesta.

Qualche mese prima, era sbarcato a Prince's Dock con il suo organetto in mano, da una nave di Messina; e aveva girato per le strade di Liverpool, suonando le arie allegre dei paesi meridionali, tra la nebbia e il nevischio del nord. E ora, avendo accumulato abbastanza soldi per pagarsi il viaggio sull'Atlantico, si era imbarcato di nuovo per cercare fortuna in America.

Fin dal primo momento, Harry si affezionò al ragazzo.

"Carlo," gli aveva chiesto, "come te la sei cavata in Inghilterra?"

Era sdraiato su una vecchia vela stesa sulla scialuppa grande; e, gettando indietro il berretto, sporco ma ornato di un fiocco, e accarezzandosi una gamba come un bimbo, aveva alzato lo sguardo e detto nel suo inglese approssimativo, che sembrava come mescolare il potente vino di Porto con uno sciroppo delizioso: "Ah! Ci riesco benissimo! Perché ho melodie per i giovani e gli anziani, per i gai e i tristi. Ho marce per i giovani militari, arie d'amore per le dame e musiche serie per gli anziani. Non attiro mai una folla senza sapere dai loro volti le canzoni più adatte; non mi fermo mai davanti a una casa senza giudicare dal suo portico per quale melodia mi getteranno più volentieri un poco d'argento. E suono sempre arie tristi per chi è i allegro, e arie allegre per chi è triste e quasi sempre sono i ricchi che preferiscono le canzoni malinconiche e i poveri che amano quelle allegre."

"Ma non ti capita mai di incontrare dei vecchi stizzosi e bisbetici che, invece di ascoltare la tua musica, vorrebbero che tu te ne andassi?

"Sì, qualche volta," disse Carlo giocherellando con un piede, "qualche volta mi capita."

"E allora, conoscendo il valore della quiete per un uomo agitato, immagino che non te ne andrai mai via per meno di uno scellino."

"No", continuò il ragazzo, "amo il mio organetto come me stesso, perché è il mio unico amico, povero organetto! Canta per me quando sono triste e mi conforta; e non suono mai davanti a una casa allo scopo di essere pagato per andarmene, no davvero. Come potrei, mio povero organetto?" E guardò giù dal boccaporto dove si trovava lo strumento.
"No, non ho mai fatto niente del genere e non lo farò mai, nemmeno se dovessi morire di fame; perché quando la gente mi caccia via, non credo che la colpa sia del mio organo, ma loro; perché le canne musicali di questa gente sono crepate e arrugginite, e nessuna musica può più penetrare nelle loro anime."

"No, Carlo, forse non esiste musica come la tua", disse Harry con una risata.

"Ah! Ecco l'errore. Sebbene il mio organetto è pieno di melodia come un alveare di api, nessuno strumento  può produrre musica in un cuore privo di armonia; non più di quanto possano fare i venti della mia patria, quando soffiano su un'arpa senza corde."

Il giorno seguente c'era un tempo sereno e delizioso e la sera, quando la nave procedeva increspando appena le onde, spinta da una brezza leggera e costante e i poveri emigranti, sollevati dalle loro ultime sofferenze, si erano radunati sul ponte, Carlo si riscosse improvvisamente dalla sua pigra distensione, scese sottocoperta e, con l'aiuto degli emigranti, tornò con l'organo.

Ora, la musica è una cosa sacra, e i suoi strumenti, per quanto umili, devono essere amati e venerati. E non c'è umile strumento musicale, non un piffero o un violino negro che non debba essere rispettato come il più grandioso organo che mai abbia rovesciato la sua marea di armonie sulla navata di una cattedrale.

Persino una zampogna può essere suonata in modo da risvegliare tutte le fate che sono in noi e farle danzare sulla nostra anima, come su un tappeto di violette illuminate dalla luna. Ma che cos'è questo sottile potere in un pezzetto d'acciaio che avrebbe potuto formare un chiodo da due soldi, che penetra senza avvertire nel nostro essere più profondo e ci rivela un mondo di ansie segrete? 

Ma guardate! Ecco l'organo del povero Carlo; e mentre una folla silenziosa lo circonda, lui se ne sta lì, guardandosi intorno con aria pacata ma interrogativa; la sua mano destra tira e contorce le manopole  d'avorio a un'estremità dello strumento.

Guardate l'organo!

Certo, se tanta virtù si cela negli antichi violini di Cremona, e se la loro emissione melodica è proporzionata alla loro antichità, quale meravigliosa delizia non dovremmo noi trarre da questo venerabile, antico organo brunito, che potrebbe quasi aver suonato la marcia funebre di Saul, quando lo stesso re Saul fu sepolto.

Un magnifico organo antico! Scolpito a immaginarie antiche torri, torrette e campanili: la sua architettura ricorda un po' l'ordine gotico monastico. Di fronte sembra la facciata ovest della cattedrale di York.

Quali archi scolpiti, che conducono entro misteriosi labirinti! Quelle finestre a bifora, che sembrano affacciarsi su cappelle inondate di tramonti devozionali! Quei contrafforti, quei frontoni, e quelle nicchie coi santi!... Ma un momento! È un'iniquità moresca; perché qui, ne sono certo, c'è un arco saraceno che, per quanto ne so, potrebbe condurre nell'interno di qualche Alhambra.

Sì, è così; perché quando Carlo ora cambia mano, sento lo zampillo della Fontana dei Leoni, mentre suona una popolare aria italiana, un mare di suoni misti e liquidi che mi spruzzano il viso.

Suona ragazzo italiano, suona! Perché se anche qualche nota è stonata, c'è qualcosa dentro di me che la corregge. Volgi verso di me quei tuoi occhi giovani e pensosi e mentre ascolto i due organi, il tuo e il mio,  lascia che guardi nella profondità dei tuoi occhi senza fondo. E' bello come guardare in fondo al grande Mare del Sud e vedere i raggi balenanti dei delfini.

Ora dimmi, Carlo, se, per un solo penny, all'angolo di una strada, io posso lasciarmi rapire in questi paradisiaci sogni, chi è più ricco di me? Non certo un milionario.

E Carlo? Male incolga alla voce che non ti saluta, ragazzo italiano, e sia maledetto lo schiavo che scaccia
dalla porta di un nobilastro la tua meravigliosa scatola di immagini e suoni!

https://machiave.blogspot.com/2024/10/chiamatemi-ismaele_23.html

2 commenti:

  1. Mi piace! Mimmo Giordano

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  2. Melville nel 1857 aveva visitato l'Italia. Era sbarcato a Messina. Era passato pure per Torino: 10 aprile, venerdì … La città sembra tutta costruita da un solo imprenditore e pagata da un solo capitalista. Singolare effetto di starsene sotto gli archi del Castello osservando all’ingiù la vista di Via di Grossa fino al Monte Rosa e alle sue nevi.– Son riuscito a coglierlo non oscurato dalle nubi la mattina presto quando lasciai Torino. I viali che girano intorno alla città. Molti caffè, alcuni belli. Lavoratori e donne di modesta condizione che prendono la loro frugale colazione nei bei caffè. Loro decoro, così differente dalla classe corrispondente di casa nostra. A sera è venuto sereno. Sono andato di nuovo giù al Po. Me ne sono stato sui gradini della chiesa. A letto presto.

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