L’OPPOSITORE NON FANTASMA
Renzi sul “cambio epocale” per il posizionamento dell’Italia: “Non siamo più nel gruppo di testa europeo. Eppure non se ne parla, si racconta solo che Meloni ha un buon rapporto con Trump”
- Maurizio Crippa
- Il Foglio Quotidiano
Quindi ora, mentre Giorgia Meloni è solida nei consensi, ottiene buoni risultati alla guida del paese che le vengono riconosciuti anche all’estero, l’idea di Matteo Renzi è che invece non sia così, che il declino del governo e il relativo collasso dei consensi sono vicini, se non dietro l’angolo. Non è un po’ troppo?
“I dubbi su questo governo li avevo già, oggi mi pare una situazione simile a quando avvisavo che il governo Conte era da mandare a casa. Tutti dicono che Giorgia è bravissima, io affermo che non lo è per quanto riguarda la politica interna – qualcuno sa dire quali riforme ha fatto? – ma se possibile a livello di politica estera è peggio, basta guardare gli ultimi fatti”.
Ci esponga la sua analisi.
“Una posizione diametralmente opposta ad altri. Il mio ex ministro Carlo Calenda fa addirittura un congresso per dire che Meloni è molto brava, che a livello di politica estera è anzi straordinariamente brava. Non la penso così. Penso che lei abbia capacità di creare consenso: riesce a far passare l’idea ci sia un governo stabile, e invece abbiamo un governo immobile, che è diverso. La stabilità è un concetto positivo, l’immobilismo negativo. Nessuna vera riforma fatta in tre anni”.
Ma intanto è un esecutivo tra i più longevi e ci sono indicatori economici che vanno bene, come il lavoro.
“Ma quali indicatori economici? Quelli dell’ufficio stampa di Palazzo Chigi? Parliamo di produttività: è aumentata o è diminuita rispetto allo scorso anno? Il debito rispetto allo scorso anno? Il fatto che 191 mila ragazzi lascino l’Italia, record storico, ai miei tempi erano la metà? Il fatto che alla Caritas il 25 per cento di quelli che chiedono aiuto sono persone che hanno un lavoro, ma non basta? Le statistiche sul lavoro, che sono oggettivamente straordinarie, anche perché in tutto il mondo oggi chiunque trova lavoro? Il problema è che è lavoro pagato poco, e lì sbaglia anche l’opposizione, proprio non capiscono: il tema chiave non è il salario minimo ma il salario medio, sono le famiglie e le persone che non ce la fanno. E Meloni cosa fa? Continua a dare i numeri dell’occupazione e le statistiche dei mercati internazionali che sicuramente premiano la stabilità dell’esecutivo. Ma i numeri veri dicono che aumenta il costo della vita e non aumenta lo stipendio della gente”.
Si tratterebbe solo di una narrazione, come si dice. Possibile?
“E’ come se si sia ormai fissato un disegno, un quadro che abbiamo dipinto tutti insieme: l’opinione pubblica, la politica ormai hanno stabilito che non c’è alcun dubbio che Meloni sia brava. In economia e pure in politica internazionale. Il racconto: è andata da Trump e l’ha trattata bene, mentre il povero Zelensky l’ha preso a calci. Ma stiamo scherzano? Ci sono andati tutti, con Macron e Starmer parla molto di più e non sono stati trattati peggio di Meloni, anzi al contrario”.
Cosa c’è che non va, secondo Renzi, rispetto a una lettura dei fatti sufficientemente condivisa, se non dall’opposizione, quantomeno dagli osservatori più istituzionali?
“Vengo a un punto che mi sembra centrale, anche perché si collega ad altri aspetti gravi: siamo in presenza di una dittatura della narrazione rispetto al governo come mai si era vista prima, nemmeno ai famigerati tempi di Berlusconi. Oggi abbiamo uno storytelling univoco che arriva da Palazzo Chigi, sono bravissimi in questo: io ho scritto un libro proprio su questo, L’influencer, che parla dell’Italia del 2025, di un racconto politico fatto di ossessioni, complotti, vittimismi, ricerca del consenso. Mentre i progetti difficili, la pressione fiscale o le riforme, vengono nascosti, proprio non se ne parla. Hanno saputo imporre una narrazione. Siamo al punto che Meloni prima avrebbe impedito i dazi, poi Trump ha messo i dazi, ma lei sapeva che li avrebbero sospesi, eccetera. Ha detto ‘favorirò un incontro fra Trump e von der Leyen’, ma poi l’incontro Trump se l’è fatto da solo, senza bisogno di Meloni. Lei è molto più forte nelle redazioni – nella capacità di spin e controllo delle redazioni – che nelle cancellerie internazionali, dove i bluff li vedono”.
Quindi non siamo forti nemmeno in politica internazionale:
“Il punto chiave è il posizionamento internazionale, se siamo o non siamo nel gruppo di testa dell’Europa. L’Italia c’è sempre stata, con Berlusconi e con Prodi, con i governi tecnici e con i governi politici, con la Democrazia cristiana e con gli eredi del Pci. Berlusconi per avere la sua consacrazione fa un’operazione politica straordinaria con la Commissione europea; io, quando nel mio piccolo c’era la Brexit, organizzai un convegno a Ventotene con Merkel e Hollande. Ma alla narrazione collettiva è sfuggito, non casualmente, il disastro di Palazzo Chigi, fatto da lei, scendendo da quel benedetto treno per Kyiv. Al suo posto ci è andato Tusk, e non è un caso che Merz abbia visitato in primis la Polonia. Ha fatto un viaggio a Parigi ma poi, anziché andare a Roma, è andato a Varsavia. Questo è un cambio epocale e in negativo per il posizionamento dell’Italia: non siamo più nel gruppo di testa europeo. Eppure non ne parla nessuno, si racconta solo che lei ha un buon rapporto con Trump; anche se poi Trump parla costantemente con Macron e non con lei”. Anche l’opposizione però sta appesa a questa narrazione, seppure per criticarla: alla fine fa un favore al governo, no? “Non parlo di Schlein, che ad esempio nel premier time la settimana scorsa è stata efficace, e non è cosa consueta. Però è vero, penso che ci sia una parte dell’opposizione che inconsapevolmente svolge il ruolo di sostenitore della Meloni. Quando uno viene in Parlamento e si traveste da fantasma, e fa la pagliacciata, allora sono il primo a dire che facciamo il gioco della maggioranza. Così come altre volte la sinistra ha fatto il gioco di Meloni, e mi riferisco a Enrico Letta che scelse di dividere il centrosinistra, ottenendo che FDI col 26 percento ha guadagnato il governo del paese non avendo la maggioranza di questo paese: il 26 per cento è la stessa percentuale con cui Bersani ha perso”.
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