«Sono convinto che, se saremo concordi e liberi da condizionamenti ideologici e politici, potremo essere efficaci nel dire no alla guerra e sì alla pace, no alla corsa agli armamenti e sì al disarmo, no a un’economia che impoverisce i popoli e la Terra e sì allo sviluppo integrale».

È questo l’appello conclusivo rivolto da papa Leone XIV ai rappresentanti delle altre chiese cristiane e delle altre religioni ricevute in udienza all’indomani della cerimonia d’inizio pontificato celebrata domenica 18 maggio. Quello del pontefice è stato un forte richiamo alle tradizioni religiose diverse dalla cattolica, affinché prosegua il cammino comune già iniziato con i vari predecessori di Prevost e coltivato in modo specifico da papa Francesco.

Sempre nella mattinata di lunedì 19 maggio, il papa aveva ricevuto il patriarca ortodosso di Costantinopoli, Bartolomeo, con il quale dovrebbe raggiungere, per il primo viaggio del pontificato, Nicea, in Turchia, per celebrare i 1.700 anni del concilio di Nicea. La questione è stata affrontata anche durante l’incontro con i leader delle altre religioni, nel corso del quale un passaggio specifico è stato poi dedicato ai rapporti con l’ebraismo resi più difficili dal conflitto in corso a Gaza.

«Il dialogo teologico tra cristiani ed ebrei rimane sempre importante e mi sta molto a cuore. Anche in questi tempi difficili, segnati da conflitti e malintesi, è necessario continuare con slancio questo nostro dialogo così prezioso», ha detto Leone XIV, manifestando buona volontà senza però cancellare le proprie recenti valutazioni su quanto sta avvenendo a Gaza.

Il ritorno di JD


La giornata di Leone XIV, però, era iniziata con una serie di incontri diplomatici di alto livello, fra i quali spiccava l’udienza concessa al vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance. È la seconda volta in poche settimane che Vance viene ricevuto in Vaticano: il vice di Trump, infatti, aveva incontrato privatamente, lo scorso 20 aprile nella residenza di Santa Marta, Papa Francesco, con il quale aveva scambiato gli auguri nel giorno di Pasqua.

Il colloquio con Leone XIV aveva un duplice scopo: da una parte l’obiettivo era quello di stemperare le tensioni che avevano accompagnato l’inizio del mandato presidenziale di Donald Trump nelle relazioni con la Santa sede e la Chiesa americana, dall’altra cercare di stabilire una collaborazione su diversi fronti di crisi internazionale, a cominciare dal conflitto in Ucraina. Vance, che è cattolico, ha anche consegnato una lettera del presidente americano al papa con la quale Leone XIV, primo papa originario degli Usa, veniva invitato a visitare gli Stati Uniti.

All’incontro con il pontefice, durato circa 45 minuti, secondo quanto ha fatto sapere un portavoce di Vance, ha preso parte anche il segretario di Stato Marco Rubio, anch’egli cattolico. Successivamente, il vicepresidente ha avuto un colloquio pure con monsignor Paul Richard Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati della Santa sede. Secondo una nota diffusa dal Vaticano, «nel corso dei cordiali colloqui si è rinnovato il compiacimento per le buone relazioni bilaterali e ci si è soffermati sulla collaborazione tra la Chiesa e lo Stato, come pure su alcune questioni di speciale rilevanza per la vita ecclesiale e la libertà religiosa». «Infine – sottolinea la nota – si è avuto uno scambio di vedute su alcuni temi attinenti all’attualità internazionale, auspicando per le aree di conflitto il rispetto del diritto umanitario e del diritto internazionale e una soluzione negoziale tra le parti coinvolte».

Il rispetto del diritto umanitario, per il Vaticano, è questione particolarmente importante perché attiene soprattutto alla tutela delle popolazioni civili in caso di guerra. Va detto che Rubio, anch’egli a Roma per prendere parte alla cerimonia d’insediamento di Leone XIV, sabato scorso aveva visto anche il cardinale Matteo Zuppi, presso l’ambasciata americana a Roma, e nell’occasione aveva ringraziato la Santa sede per l’impegno svolto in favore della liberazione di bambini e prigionieri di guerra. Rispondendo poi a chi gli chiedeva se il Vaticano potesse svolgere una funzione di mediazione fra Russia e Ucraina, aveva detto: «Non lo definirei un mediatore, ma è certamente un luogo in cui entrambe le parti si sentirebbero a proprio agio». «Ovviamente saremo sempre grati – aveva aggiunto – per la disponibilità del Vaticano a svolgere questo ruolo costruttivo e positivo».

La via del dialogo


Sembra insomma che, da parte della Casa Bianca, si sia cercata la strada della ricucitura con la Santa sede dopo la conflittualità accesa dei mesi passati in cui, per la verità, anche il cardinale Prevost aveva criticato con una certa asprezza le politiche anti immigrati dell’amministrazione Trump. Ora, non è che il tema sia passato d’attualità, ma certo è nell’interesse sia del Vaticano che della Casa Bianca cercare temi comuni di collaborazione, a partire dal tentativo di far cessare quei conflitti che, dall’Europa al Medio Oriente, stanno scuotendo il mondo. In quanto all’ipotetico viaggio di Prevost negli Usa, molto dipenderà dall’itinerario che il papa intenderà percorrere, per esempio toccando o meno la zona di confine col Messico. Infine, da rilevare, che subito dopo la cerimonia di domenica il papa aveva visto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, accompagnato da sua moglie, Olena Zelenska, e dal ministro degli Esteri dell’Ucraina, Andrij Sybiha.