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Netanyahu e l’uso politico dell’orrore antisemita
Domani, 22 maggio 2025
I due morti di Washington danno al presidente israeliano la possibilità di denunciare l'antisemitismo. E sia: ovviamente è uno dei mali della modernità. A patto che qualcuno di buona volontà gli spieghi che è lui a fare confusione voluta tra antisemitismo e critica legittima al suo operato. Che è lui il moltiplicatore di un atteggiamento ostile verso lo Stato di Israele con i crimini commessi a Gaza
Ci sono i cadaveri di due diplomatici israeliani sull’asfalto di Washington. I corpi sono ancora caldi quando diventano politica feroce, motivi di divisione, scontro. Nessuno spazio per la pietas, solo pretesti per la furibonda polemica che subito esplode e lascia intendere che anche loro come centinaia di migliaia di predecessori siano morti invano. Il governo d’Israele accusa i governanti europei di essere praticamente i mandanti degli omicidi perché seminerebbero l’antisemitismo. L’ovvia reazione dei nemici di Benjamin Netanyahu è di accreditarli sul conto delle sue decisioni sciagurate che generano antisemitismo.
Dimentiche, l’una e l’altra parte, che l’antisemitismo c’è sempre stato. Variamente declinato nei secoli, nei luoghi e nelle circostanze in antigiudaismo di matrice religiosa, antisemitismo propriamente detto di origine etnica e antisionismo dalla valenza politica (e dunque niente affatto assimilabile all’antisemitismo). Con ovvi sconfinamenti tra le varie posture e dunque una Babele di commistioni indistinguibili. Però almeno con una conclusione certa: c’era antisemitismo anche prima di Netanyahu.
Allo stesso tempo, se Netanyahu non è il generatore dell’antisemitismo, è impossibile non identificarlo come il catalizzatore di questa orrenda pulsione a causa di quanto sta combinando a Gaza e in Cisgiordania. È poco appassionante la discussione se si tratti di genocidio o meno, lasciamola agli storici.
Però siamo, al minimo, alla pulizia etnica, agli efferati crimini di guerra, spinti fino all’abominio delle morti dei bambini per fame in spregio a qualunque convenzione internazionale, qualunque valore e diritto umano e civile. E, se davvero non regge il paragone con la Shoah (non regge infatti, non ancora...), il riferimento è l’Holodomor degli anni trenta in Ucraina, la carestia indotta da Stalin per sterminare i contadini e con essi il nazionalismo ucraino: le due guerre attive ai nostri confini hanno qualche punto in comune persino diacronico.
Ora la pretesa di Israele di essere emendato da qualunque critica non si capisce per quale diritto derivato da precedenti sofferenze è appunto tale: una pretesa irricevibile. Semmai l’accusa che si può lanciare contro molti dei leader planetari è quella di aver tergiversato troppo a lungo, di aver sopportato ormai per quasi venti mesi una reazione smodata al 7 ottobre (quello sì un grumo di Shoah) permettendo che l’esercito dello Stato ebraico varcasse qualunque linea rossa, rendendo usuale il bollettino quotidiano di massacri di bambini, donne, vecchi, oltre che dei miliziani di Hamas. Catalogando come normale il perpetuo spostamento della popolazione a seconda delle esigenze militari.
Dando a Netanyahu la sensazione dell’impunità che lo ha indotto a proclamare il progetto di occupazione totale della Striscia, l’adesione al progetto trumpiano della Riviera di Gaza, dunque l’espulsione dei palestinesi traduzione pratica dell’obiettivo dichiarato di annientare Hamas. Per non dire della sostanziale annessione della Cisgiordania, pardon della Giudea-Samaria, grazie a norme burocratico amministrative decise alla Knesset: ne ha parlato Guido Rampoldi su queste pagine.
C’è stato, c’è, un malinteso senso di risarcimento che impedisce di considerare Israele un paese come tutti gli altri, secondo quei criteri di normalità che Ben Gurion auspicò come fondamentali per la crescita dello Stato. Netanyahu ha approfittato di questa debolezza per diventare l’Erode dei giorni nostri (28mila bambini uccisi e 14mila a rischio giustificano il parallelismo).
Eppure, se c’è stata una resipiscenza nell’atteggiamento di gran parte della leadership europea, questo non è incredibilmente valso per l’Italia, se Giorgia Meloni non ha ancora pronunciato una parola di condanna contro la politica criminale e razzista del governo israeliano.Evidentemente la memoria della lunga corsa della destra ad accreditarsi presso lo Stato ebraico per far dimenticare certi imbarazzanti legami storici, e culminata con la visita di Gianfranco Fini a Gerusalemme nel 2003, lascia ancora uno strascico di ricordi che invitano la premier alla prudenza (eufemismo).
Ora questi due morti danno a Netanyahu la possibilità di denunciare l’antisemitismo. E sia, ovviamente, l’antisemitismo è uno dei mali della modernità. A patto che qualcuno di buona volontà gli spieghi che è lui a fare confusione voluta tra antisemitismo e critica legittima al suo operato. Che è lui il moltiplicatore di un atteggiamento ostile verso lo Stato di Israele. Soprattutto da parte delle giovani generazioni, che guardano a ciò che succede con occhi dilavati dalle ideologie.
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