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Alexandria Ocasio-Cortez |
Carlo Trigilia, L'ostinato silenzio dei democratici Usa, incapaci di fare la loro rivoluzione, Domani, 23 aprile 2025
C'è un aspetto rimasto in ombra nei recenti strappi inferti agli equilibri economici e politici da Donald Trump: il silenzio dei democratici americani. Certo pesa il disorientamento dopo la sconfitta, ma soprattutto ci sono le divisioni interne al partito. Tacciono i padri nobili, tra cui Clinton e Obama, che avevano assecondato la globalizzazione reaganiana con l’impegno - non mantenuto - a regolarne gli effetti economici e sociali più critici.
Dall’altra parte, sembra crescere tra i democratici la condivisione di alcuni obiettivi di fondo dell’offensiva trumpiana, a livello economico (dazi) e politico (rapporti con l’Europa e la Cina). Con la motivazione che sono sì portati avanti in modo caotico e con strumenti sbagliati, ma sono da condividere se si vuole riconquistare il consenso della working class americana, largamente perduto a favore dei repubblicani di Trump.
Tra i pochi che parlano dichiarandosi favorevoli ai dazi ci sono sia esponenti delle seconde file dell’establishment partitico e sindacale che figure più conosciute della sinistra radicale come Bernie Sanders (la sua posizione è più articolata). Manca però Alexandria Ocasio-Cortez, contraria ai dazi, sui quali si salda una strana convergenza tra le componenti moderate e pezzi rilevanti della sinistra radicale.
Non a caso le manifestazioni promosse in molte città dal “vecchio” Sanders e dalla “giovane” Ocasio – l’unico segno di vita dei democratici - sono all’insegna della lotta all’“oligarchia” che ha preso il potere e non toccano i dazi.
Inversione di campo
Stiamo così assistendo a una clamorosa inversione di campo dei repubblicani guidati da Trump, alla quale si accodano, ancora una volt, i democratici. Il neoliberismo di Ronald Reagan ha aperto alla globalizzazione. Quello di Trump è un ossimoro: un liberismo all’interno con riduzione di tasse, regolamentazioni e ruolo dello stato, che si combina a un protezionismo verso l’esterno con i dazi. Non sappiamo fino a che punto il presidente percorrerà questa strada. Certo è che se dovesse andare avanti si aprirebbero delle conseguenze rilevanti. Ne segnalo alcune.
Anzitutto, gli effetti sull’economia americana sarebbero in contrasto con le attese. Non solo calo della borsa, la quale anche per i gruppi meno abbienti è qui importante (vedi alla voce fondi pensione). Poi ci sono l’alto rischio di inflazione e le difficoltà di finanziamento del debito pubblico, senza peraltro risultati significativi sul piano della re-industrializzazione e del miglioramento delle condizioni della classe operaia.
Questo obiettivo richiede infatti ben di più dei dazi protettivi. Ci vuole imprenditorialità, capacità innovativa e politiche di sostegno. In alcuni casi occorrerebbe ricostruire intere filiere produttive smantellate da tempo e sostituite dalle importazioni. In altri bisognerebbe ridisegnarle per ridurre la dipendenza dall’estero.
Temi identitari
Ma è sulle conseguenze politiche che vorrei qui soffermarmi. Esse sarebbero negative soprattutto per i democratici, che non avrebbero i capri espiatori per accrescere il consenso delle classi popolari, a fronte dei probabili risultati deludenti della re-industrializzazione. I seguaci del presidente potrebbero invece continuare a ricorrere, anche se con più difficoltà, a temi di identità come l’immigrazione e la sicurezza, e anche l’avversione delle classi popolari agli stili di vita dei gruppi sociali più istruiti.
Secondo questa lettura, la sinistra americana farebbe meglio a non affidarsi ai dazi ma a una «globalizzazione intelligente» (come l’aveva definita alcuni anni fa Dani Rodrick). Dunque, una globalizzazione basata sulla negoziazione e sull’adozione di regole eque, capaci di limitare le conseguenze negative per i diversi attori. E che tenga conto non solo dei costi in termini di maggiori disuguaglianze sociali nei paesi sviluppati, ma anche dei benefici per quelli meno avanzati, dove centinaia di milioni di persone sono uscite da condizioni di povertà estrema. Evidentemente, qualcosa di molto diverso dalle minacce, dalle ritorsioni e dalle imposizioni.
Una difficile rivoluzione
I democratici potrebbero inoltre investire con più convinzione su un welfare efficace anche come possibile alternativa occupazionale e fonte di crescita. È vero, sarebbe una rivoluzione difficile nella loro offerta politica. Ma se sono riusciti i repubblicani di Trump a rivoluzionare l’offerta politica della destra, perché non dovrebbero provarci i democratici con quella della sinistra? Il loro silenzio testimonia però la difficoltà di un’alternativa di questo tipo e l’assenza di una leadership che la promuova.
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