mercoledì 4 dicembre 2024

Giovanni Sabbatucci, storico


Ѐ
 morto lo storico Giovanni Sabbatucci
Il Foglio, 2 dicembre 2024

E' morto a Roma, all'età di 80 anni, lo storico Giovanni Sabbatucci, docente universitario, tra i massimi esperti del fascismo. E' stato autore di numerosi manuali di storia per la scuola superiore e l'università, scritti in collaborazione con Vittorio Vidotto e Andrea Giardina, tutti pubblicati da Laterza.

Nato nel 1944, Sabbatucci si è laureato in Lettere all’Università di Roma nel 1968 con una tesi su Il problema dell’irredentismo e le origini del nazionalismo italiano (relatore Renzo De Felice, correlatore Rosario Romeo). Dal ’71 al ’74 ha svolto attività didattica e di ricerca nelle università di Salerno e Roma. Dal ‘74- 75 al ‘96-97 ha insegnato all’Università di Macerata, prima come professore incaricato, poi, dal 1980, come titolare di cattedra di prima fascia. Dal ‘97-98 ha insegnato Storia contemporanea alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma.

Dopo aver pubblicato la sua tesi di laurea (in “Storia contemporanea” 1970-71), ha studiato il movimento combattentistico nell’Italia del primo dopoguerra – a questo tema ha dedicato due libri (I combattenti nel primo dopoguerra, Laterza 1974 e La stampa del combattentismo, Cappelli 1979) – e, più in generale, la crisi dello Stato liberale dopo il primo conflitto mondiale (La crisi italiana del primo dopoguerra, Laterza 1976). Si è quindi occupato di storia del socialismo italiano, con particolare riferimento al periodo fra le due guerre. Ha curato la pubblicazione di una Storia del socialismo italiano in sei volumi (Il Poligono, 1980-81) e, nell’ambito di quest’opera, ha scritto un saggio su I socialisti nella crisi dello Stato liberale. Sempre in tema di socialismo, ha pubblicato nel 1991 il volume Il riformismo impossibile (Laterza).

Successivamente ha scritto diversi saggi apparsi su riviste (“Italia contemporanea” 1989, “Il Mulino” 1990) in tema di leggi elettorali e di storia del sistema politico italiano e ha curato il volume antologico Le riforme elettorali nella storia d’Italia (Unicopli 1995). A partire dal 1980 ha lavorato, assieme ad Andrea Giardina e a Vittorio Vidotto, alla stesura di un Manuale di storia per le scuole medie superiori, curandone in particolare la parte relativa all’età contemporanea. La prima edizione del Manuale è uscita per le edizioni Laterza nel 1987. Sono seguite nuove edizioni aggiornate e nuove versioni per i diversi ordini di scuole.


Bruno Gravagnuolo 

Spiace molto. Giovanni Sabbatucci era una persona mite e per bene. Un grande studioso del primo novecento. Del fascismo e del nazionalismo. Nonché del trasformismo come forma tipica della politica italiana. Allievo di De Felice e Romeo era un revisionista onesto e non strumentale. Nel solco di Renzo De Felice. Socialista come collocazione ideale e autore con Vidotto e Giardina di un manuale scolastico molto aggiornato. Con me era molto disponibile nelle inchieste e nelle interviste. Stima reciproca. L'ultima garbata polemica una ventina di anni fa. A margine di un suo libro Laterza sul trasformismo. Eccepimmo che il suo auspicio di bipolarismo bipartitico con conservatori e sinistra moderata contro, avrebbe peggiorato il trasformismo. E con trasmigrazioni e partitoni di centro. Senza ideologia e valori. Del resto già il maggioritario aveva prodotto questi effetti. Moltiplicando i partiti. Insomma ci divideva la cosiddetta "vocazione maggioritaria" che poi fu la bandiera del Pd di Veltroni. Lo salutiamo commossi e con rispetto e rimpianto. Aveva 80 anni.


Giuliano Ferrara Il Foglio, 3 dicembre 2024

Un corpo esile, un’espressione sorridente e sincera, un senso dell’umorismo sicuro e moderato, il lavoro ben fatto come una fissazione, il giudizio su di sé e sugli altri filtrato da un’immensa eroica modestia, persona di sentimenti amabili e misteriosi, di strenua e sorvegliata amicizia, Giovanni Sabbatucci è stato per tutti l’incarnazione della delicatezza. Per delicatezza, invece di perderla alla Rimbaud, si è guadagnato una bella vita in prosa, di ottanta anni compiuti lo scorso mese di agosto. Storico della migliore scuola di equanimità e sapienza (Renzo De Felice), manualista eccellente per una o più generazioni di scolari (con Andrea Giardina e Vittorio Vidotto) ha fatto ricerca, didattica e saggistica memorabile (aggettivo che non avrebbe mai adoperato né per sé né per altri) intorno al fascismo al trasformismo al socialismo a ogni risvolto del Novecento italiano, concedendosi al giornalismo come editorialista e rubrichista e analista politico non imbrancato e indipendente per principio. Si è ritirato per malattia da qualche anno, ed è morto ieri nella sua casa in Prati, a Roma. Il tratto incantevole del suo modo di vivere, di passeggiare in montagna, di stare presso il mare, di lavorare ai suoi studi, di frequentare l’orizzonte romano di una comunità coesa, è stato il senso dell’equilibrio, l’idea che una proporzione esatta sia l’idolo unico a cui sacrificare il gioco dell’intelletto, senza eccezioni comunque motivate.

Studiando l’Italia contemporanea e l’Europa, il movimento una volta detto operaio, le ramificazioni culturali del regime fascista, aveva imparato la crisi delle ideologie prima del loro tramonto, per disciplina morale, per così dire, per stile spassionato, per ironia personale. Era uno studioso e un uomo di sinistra, immerso nel suo mondo sociale e nelle sue allergie psicologiche, un tipico intellettuale iperurbano nel senso anche di Woody Allen, ed era aperto a tutto con la misura della curiosità e dell’interesse, spostandosi in treno per i luoghi di lavoro e in motorino per le vie di Roma. Le sue osservazioni, spesso precise, nette, non ambiziose ma sicurissime di sé in una sospensione di giudizio benevola, comprensiva di tutto, sopravanzavano di gran lunga le sue passioni, che erano riservate e forti, ma inespresse per scelta scettica e razionale, uno di quei trucchi che le filosofie ellenistiche suggerivano per dare un senso piano alla vita e alla storia come passaggio dell’essere, non come parabola epica.

Giovanni Sabbatucci era considerato una riserva umanistica delle scienze storiche, un amatore di panchine e banchi universitari che faceva squadra ma fino a un certo punto, conversatore e conferenziere di talento ma anche parco di sentenziosità e di conclusioni adamantine dalla tribuna, una posizione ponderata e saggia di sapienza repubblicana, era il professore buono, come con lui un Luciano Cafagna, suo amico e omologo, quello che sa perché capisce e capisce perché sapeva già. L’Italia di persone così aveva e ha bisogno, che lo sappia o no, che lo accetti o no, perché l’equilibrio e la delicatezza di tratto, lo scrupolo nel racconto dei fatti così come sono realmente accaduti, ecco cose anacronistiche senza le quali il tempo delle generazioni si svuota di significato mentre, perduto e un po’ infame, luccica del suo nulla.


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