venerdì 6 dicembre 2024

Bianca Garufi

 

Cesare Pavese e Bianca Garufi, Fuoco grande, a cura di Maria Rosa Masoero, Einaudi, Torino 2003 (1959)

Maria Rosa Masoero, Introduzione

Questa giovane donna siciliana, umile e superba", "fatta d'energia", capace di procurare "pura gioia" (21 ottobre 1945), e di fargli guardare in faccia la sua anima", presenza tranquillamente familiare e insieme mitologica", "rusticamente rituale" e nel contempo molto esotica" (3 settembre 1945), "fiamma che scalda ma bisogna proteggere dal vento" (21 ottobre 1945), entra nella vita e nella scrittura di Pavese ("farò con te grandi sciocchezze. Oltre ai romanzi", 7 marzo) sotto sembianze mitiche ("Astarte - Afrodite - Mèlita", "Bianca - Circe - Leucò"), con il suo intrigante "caos vitale" ("Non riordinarlo troppo perché allora ti sparirà anche l'interesse alla vita. Tienilo giudiziosamente a mezz'acqua", 3 settembre 1945), in una Roma "bellissima e dannata".  


Ludovica Micalizzi, Bianca Garufi (Roma 1918 - Roma 2006)
Enciclopedia delle donne 

 Il taglio che C.G. Jung aveva conferito allo studio della psiche affascina immediatamente Bianca che rintraccia nei testi dello psichiatra echi di una certa grecità classica a lei assai familiare. In sintesi, si potrebbe affermare che la psicanalisi junghiana conferisce il giusto statuto epistemologico a quelle intuizioni che la giovane Bianca aveva colto durante i soggiorni in Sicilia. L’interesse per la psicologia non rimane relegato al puro piano dilettantistico, al contrario la Garufi si dedicherà assiduamente allo studio della psicanalisi e incentrerà la propria dissertazione di laurea sulla metodologia junghiana. È il 1951, infatti, quando Bianca si laurea in Lettere e Filosofia all’Università di Messina, seguita dal professore Galvano Della Volpe, con una tesi (la prima discussa in Italia su Jung) dal titolo Struttura e dinamica della personalità nella psicologia di C.G. Jung.


Il libro perduto
Giovanni Carpinelli, La compagnia del libro, capitolo 13 

Che Valentina fosse amante dei libri in quanto oggetti preziosi nessuno se lo sarebbe aspettato. E invece lo era, ma in un modo assai particolare che merita di essere considerato a parte. È rimasta una donna tormentata, Valentina. Attraversata da segrete passioni, alle quali lei dà voce solo di rado e in circostanze speciali, con persone amiche. Ama tuttora i libri della casa editrice Iperborea, letteratura dei paesi nordici, dalla Scandinavia all’Islanda, ai paesi baltici, all’Olanda. Nostalgia di un altrove che non ha mai conosciuto dall’interno. Qualche giro estivo in Svezia, tra città e campagna, niente di più.

Con i libri che ama, Valentina intrattiene un rapporto fisico di possesso. Un certo volume rappresenta un’esperienza che lei stessa avrebbe voluto vivere e dalla quale non intende staccarsi. L’autore o l’autrice è spesso una persona che è passata dalla fama letteraria alla leggenda, suscitando una sorta di culto fra i suoi seguaci. Sylvia Plath, per esempio. Altro esempio, Cesare Pavese, con una vita costellata di amori infelici, Tina Pizzardo, Fernanda Pivano, Constance Dowling. Con Bianca Garufi invece l’amore c’era stato e aveva lasciato una traccia tangibile: il romanzo Fuoco grande, scritto a quattro mani, un capitolo a testa, e rimasto incompiuto. Ripensai che ero stato felice e forse ero felice anche stanotte. Forse era questa la felicità, questa triste speranza. Questo aveva scritto lui nel romanzo, ricordando il loro incontro.

Valentina aveva comprato “Fuoco grande” a una bancarella di via Po, sotto i portici del Rettorato. Pavese era morto nel 1950, il libro era stato pubblicato nel 1959 da Calvino. Valentina, dopo l’acquisto, aveva divorato in poche ore quel volume di cento pagine circa. Ogni tanto lo rileggeva. Quello era per lei un libro di culto. Se ne staccò una volta, volle prestarlo a Marco. Errore fatale. Il libro finì in uno scatolone che sembrava introvabile.

Marco viveva allora anche più di adesso in un vortice, vedeva sfilare tanta roba sotto i suoi occhi, un posto valeva l’altro. A volte qualcuno gli diceva di cercare un libro e lui quasi mai ci riusciva. Con il libro di Valentina fu più fortunato.

Mesi dopo lo smarrimento, in un giorno di pioggia, eccolo che entra tutto trafelato in magazzino, barcolla, e barcollando urta con la spalla una cassa che sta lì, in bilico, sopra una pila di cartoni ammucchiati. La cassa si apre e “Fuoco grande” subito emerge con la sua copertina disegnata da Guttuso. In casi del genere, l’oggetto del culto è ciò che il libro rappresenta, in verità. Una sorta di venerazione indiretta. Più rispettabile del culto praticato dai bibliofili, feticisti indegni eredi di Restif de la Bretonne, che adorava i piedi delle donne, lui.

La nota finale di questa disavventura finita bene spetta a una poesia di Pavese. Guardiamo al versante felice del repertorio, lasciando stare le composizioni a sfondo tragico che certo non mancano. Passerò per Piazza di Spagna:

Sarà un cielo chiaro.
S'apriranno le strade
sul colle di pini e di pietra.
Il tumulto delle strade
non muterà quell'aria ferma.
I fiori, spruzzati
di colori alle fontane,
occhieggeranno come donne
divertite. Le scale
le terrazze le rondini
 canteranno nel sole.
S'aprirà quella strada,
le pietre canteranno,
il cuore batterà sussultando
come l'acqua nelle fontane
-
sarà questa la
voce
che salirà le tue scale.
Le finestre sapranno
l'odore della pietra e dell'aria
 mattutina. S'aprirà una porta.
Il tumulto delle strade
sarà il tumulto del cuore
nella luce smarrita.

Sarai tu - ferma e chiara.

Se non ci fosse il rischio di insultare la memoria del poeta, diremmo che siamo tra Un bel dì vedremo e Un dì, felice, eterea.





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