Giovanni
Carpinelli
Daniel Cohn Bendit
Thomas Legrand
La
situazione francese sembra stazionaria e stagnante, ma così non è.
Proviamo a capire come e perché. Tutto comincia con le elezioni
europee che si tengono l’8 e il 9 giugno e rivelano la debolezza
grave dello schieramento governativo. Per il presidente Macron la
disfatta è pesante. L’area di governo ha ottenuto solo 19 seggi su
81. La maggioranza presidenziale non c’è più:
Partito
del presidente 13 seggi
Gaullisti (alleati) 6
area di
governo 19
Le
Pen (30) + Zemmour (5)
estrema destra 35
Nuovo
Fronte Popolare 27 di cui socialisti 13, Mélenchon 9, verdi 5
Il
presidente Macron decide allora di sciogliere l’Assemblea
nazionale. Le elezioni si tengono il 29 e il 30 giugno e danno
questo risultato:
Fronte
repubblicano 182 (142 per la Nupes nel 2022
Le Pen 143 (89
uscenti)
Macron (Attal) 168 (246 uscenti)
Qui
cominciano i dolori. Normalmente, stando alla prassi della Quinta
repubblica, si dovrebbe arrivare a una coabitazione. Il Presidente
dovrebbe nominare un primo ministro espresso dallo schieramento
vincitore. È successo con il socialista Mitterrand che ha avuto come
primo ministro il gaullista Chirac. È successo con il gaullista
Chirac che ha nominato a quel posto il socialista Jospin. Dopo alcune
tergiversazioni il Nuovo Fronte Popolare esprime una sua candidata
per la carica, Lucie Castets. La propone senza poterla imporre, non
avendo i numeri. Di questo approfitta Macron che nomina un primo
ministro gaullista, Michel Barnier. Al primo serio ostacolo il nuovo
governo decide di ricorrere all’articolo 49, terzo comma, che
consente di approvare una legge ponendo la questione di fiducia
all’Assemblea Nazionale. In genere la mossa è risolutiva, perché
chi segue questa strada sa di avere la maggioranza. Stavolta Barnier
in partenza ha solo 168 voti su 577. Succede quel che doveva
accadere. Il Nuovo Fronte Popolare presenta una mozione di censura
(sfiducia) che viene votata anche dal Rassemblement National di
Marine Le Pen. Il governo è battuto. Barnier si deve dimettere.
Questi
i fatti, in estrema sintesi. Veniamo ora alle motivazioni e alla
logica dei diversi attori in campo. Solo in questo modo è possibile
capire meglio ciò che è accaduto. Se passiamo dagli avvenimenti
alle percezioni un dato appare preponderante. L’intera sequenza è
dominata dalla prospettiva delle elezioni presidenziali che a
scadenza si dovrebbero svolgere nel 2027. Macron si dice sicuro di
poter restare al suo posto fino a quella data. La cosa tuttavia non è
tanto pacifica. Se i governi da lui promossi dovessero cadere l’uno
dopo l’altro lo scenario di una paralisi istituzionale si
staglierebbe all’orizzonte come una eventualità niente affatto
peregrina (si
veda per questo Eric Jozsef, La
sfida è attrarre la sinistra moderata,
La Stampa, 14 dicembre 2024). E allora che cosa potrebbe fare il
presidente della Repubblica se non dimettersi?
Nel
suo discorso alla nazione del
5 dicembre, Macron
ha
fatto notare come, unendo i suoi voti a quelli della sinistra per la
mozione di censura il Rassemblement National
abbia approvato
un testo contrario al suo programma e offensivo per i suoi elettori.
Il presidente ha offerto una spiegazione per il fenomeno: “Non
pensano a voi, alle vostre vite, alle vostre difficoltà, ai vostri
fine mese, ai votri progetti. Siamo onesti, pensano a una cosa sola,
all’elezione presidenziale, per prepararla, per provocarla, per
precipitarla”. Marine
Le Pen ha, in realtà, un preciso e personale interesse a una
competizione ravvicinata per l’investitura suprema. Il 13 novembre
in un processo a carico suo e di altri per il dirottamento di fondi
europei la pubblica accusa ha richiesto per lei cinque anni di
prigione e cinque di ineleggibilità a cariche pubbliche. La sentenza
dovrebbe sopraggiungere nei prossimi mesi. Chiaramente
l’imputata ha interesse ad assicurarsi l’impunità presidenziale
prima che sia pronunciato il verdetto. Da sempre Mélenchon che ora è
a capo della France insoumise (indomita) si considera il candidato
naturale della sinistra nella medesima competizione per il Quirinale
dei francesi, l’Eliseo. Entrambi puntano a fare in fretta. Altri
invece sono interessati a prendere tempo, i socialisti in
particolare. Essi temono di trovarsi schiacciati in una competizione
tra le due estreme, sinistra e destra, Mélenchon e Le Pen. Ritengono
inoltre probabile in una ipotesi del genere una vittoria della
destra. E
Macron in tutto questo? Il presidente in carica vuole soprattutto
salvare la sua eredità politica, ma non ha visibilmente una
strategia chiara da perseguire sul terreno istituzionale. Per questo
nella partita in corso è destinato a perdere terreno ad ogni
ulteriore passaggio.
Adesso
possiamo riprendere la narrazione dei fatti. Dovendo nominare il
successore di Barnier, Macron esclude di fare appello a un socialista
e ragiona su una serie di ipotesi tutte situate all’interno
dell’area (minoritaria) di governo: Vautrin (una donna), Lecornu,
Roland Lescure. C’è poi una possibilità che esiste ma che il
presidente preferirebbe escludere, quella di nominare François
Bayrou, che pure appartiene all’area di governo, ma non è, non può
essere considerato un suo uomo. È
stato definito “leale, ma libero”. Con lui si arriverebbe a una
coabitazione anomala, ma pur sempre a una specie di coabitazione.
Scenario
favorevole. Afferma
Daniel Cohn-Bendit: "Una
delle prime iniziative del nuovo capo del governo in Parlamento
riguarderà la proporzionale, che vede favorevole il Rassemblement
National, ma anche La France Insoumise ed altri partiti di sinistra.
Il testo potrebbe essere promulgato tra aprile e maggio. Ma poi, per
legge, bisognerà aspettare un anno prima di avere nuove elezioni.
Quindi avremo Bayrou primo ministro almeno per i prossimi 30 mesi,
praticamente fino alle prossime elezioni presidenziali del 2027.
[Sulla riforma delle pensioni] verrà
organizzata una grande conferenza nazionale, con sei mesi di
discussioni e grandi conferenze per vedere quali parti del testo
bisognerà cambiare".
Scenario
sfavorevole. Le
billet de Thomas
Legrand, Depuis
Matignon, Bayrou veut piquer la place de Macron, Libération,
13 dicembre 2024 L'ambizione
di François Bayrou è grande e alta, ma non c'è nessun editto di
Nantes [1598] possibile per riconciliare socialisti e LR [gaullisti]
e se Bercy [ministero dell'economia e delle finanze] vale una messa,
non si vede chi potrebbe celebrarla per ridurre i deficit. E come
fare, con il Mercosur, affinché la gallina agli ormoni* non sia importata dall'Argentina? I Ravaillac [assassino di Enrico
IV**, 1610] che guardano su 2027 stanno già affilando i loro grandi
coltelli.
*La gallina agli ormoni sembra essere una leggenda metropolitana. Qui è usata per aggiungere difficoltà a difficoltà, suscitando allarme intorno al recente accordo dell'Europa con il mercato comune del Sud America.
**È
nota la passione di François
Bayrou per la figura di questo re. "La
riconciliazione è necessaria",
ha dichiarato il neo premier parlando ai giornalisti, citando appunto Enrico IV, il sovrano pacificatore a cui ha consacrato una biografia.
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Ancora Daniel Cohn-Bendit sulla dissoluzione, su Barnier e su Marine Le Pen
Ma
perché il nuovo capo del governo dovrebbe riuscire lì dove Barnier
ha fallito?
«La sfiducia è stata uno choc. Formazioni come quella dei socialisti ed altri partiti hanno capito che la Francia non può continuare per sempre a far cadere un governo ogni due o tre mesi. Proprio da questo è nata l'idea di un patto di "non censura*" (il governo non ricorre all'articolo 49.3 della Costituzione che permette di far passare una legge in Parlamento mettendo la fiducia e i partiti non appoggiano mozioni di sfiducia, ndr). Sarà questo accordo a ridare stabilità alla Francia».
Lei sembra ridimensionare molto l'influenza della leader di estrema destra. Eppure i suoi voti sono stati decisivi per far cadere la mozione presentata dalla sinistra che ha fatto cadere il governo.
«Lei ha un peso fino a quando gli altri giocano a questo gioco stupido della censura».
Intanto, i sondaggi la danno come grande vincitrice alle presidenziali.
«Non ci credo. In caso di sfida contro Edouard Philippe (ex premier di Macron, ndr), sarebbe quest'ultimo a vincere».
Il nome Le Pen fa ancora paura?
«Non è quello. Per lei c'è un limite insuperabile, perché la maggior parte dei francesi non vuole veder vincere l'estrema destra».
Questa situazione è la conseguenza dello scioglimento dell'Assemblea nazionale deciso dal presidente dopo le ultime europee stravinte dal Rassemblement National. A posteriori, come giudica quella mossa?
«Macron ha perso tutto il suo potere con la dissoluzione. Ha gettato nel caos la politica francese».
Ma ha dimostrato che in Francia c'è ancora uno sbarramento repubblicano, visto che la sinistra si è unita ed è arrivata in testa alle legislative.
«Non lo ha mostrato il presidente, ma gli altri partiti. Oggi Macron parla di compromessi, ma avrebbe potuto farli anche prima».
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Emmanuel Macron a fini par se résigner à nommer premier ministre son allié du MoDem, auquel il doit sans doute son élection en 2017. Mais si François Bayrou s’inscrit bien dans la matrice macroniste, les circonstances de sa nomination ouvrent un espace, analyse Solenn de Royer dans sa chronique. Le Monde, 14 dicembre 2024
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Pascal Riché, Gilles Richard, storico: François Bayrou ha dei punti di forza nel suo gioco
Le Monde, 16 dicembre 2024
https://www.lemonde.fr/idees/article/2024/12/16/gilles-richard-historien-francois-bayrou-a-des-atouts-dans-son-jeu_6452083_3232.htmlIntervista Il nuovo primo ministro, un democristiano di lunga esperienza, è sufficientemente armato per resistere a Emmanuel Macron e per destreggiarsi tra le forze parlamentari, ritiene lo storico della destra in un'intervista a “Le Monde”.
Gilles Richard è presidente della Società francese di storia politica e professore emerito di storia contemporanea all'Università di Rennes-II. Ha scritto Storia dell'UDF (con Jean-François Sirinelli e Sylvie Guillaume, Presses universitaires de Rennes, 2013) e Storia dei diritti in Francia. Dal 1815 ad oggi (Perrin, 2017).
Ha qualche possibilità François Bayrou di porre fine all'attuale stallo politico e di trovare maggioranze in Parlamento che gli consentano di agire?
Nessuno può dirlo, ma ha degli assi in mano. È in grado di resistere a Emmanuel Macron perché ha una lunga esperienza politica e ha l’immenso vantaggio, rispetto al presidente, di avere una perfetta conoscenza delle forze politiche, della mappa elettorale e della politica elettorale e anche della società.
Ha costruito la sua posizione “centrista” molto tempo fa. Ha stabilito rapporti con la destra nel quadro dell'UDF e con la sinistra, almeno nelle sue versioni socialista ed ecologista. Infine, ha preso posizioni originali: non ha approvato la legge sulle pensioni nel 2023; ha portato la sua firma a Marine Le Pen, durante le elezioni presidenziali del 2022, per “salvare la democrazia”, ha detto; lui è per il proporzionale... Tutti questi elementi lo rendono un personaggio complesso.
Ha una cultura politica democristiana forgiata durante tutta la sua carriera politica nei gruppi nati dal Movimento Repubblicano Popolare [Jean Lecanuet, Bernard Stasi], di cui suo padre era un funzionario locale. I democristiani sono sempre stati i più coerenti nel rivendicare di essere al “centro”, retaggio della dottrina sociale di una Chiesa preoccupata di conciliare padroni e lavoratori. Imbevuto di questa tradizione, Bayrou è capace di scendere a compromessi con l'uno o l'altro campo. Ma come utilizzerà queste prerogative , nessuno lo sa ancora.
Lei dice che è capace di resistere a Emmanuel Macron, ma è anche un suo alleato di lunga data. Sognava addirittura il macronismo prima che esistesse, cercando di trascendere la divisione tra sinistra e destra...
La loro alleanza non implica alcun rapporto di lealtà. Nel 2016, François Bayrou si rifiutò inizialmente di sostenere Emmanuel Macron, nel quale vedeva il candidato delle “forze del denaro”. Si è avvicinato di più quando si è reso conto che non poteva candidarsi alla presidenza una quarta volta: l'obiettivo della sua vita. Facendo buon viso a cattivo gioco, ha cercato di ritagliarsi un posto tutto speciale nel macronismo. Emmanuel Macron ha accettato di allearsi con lui perché, da parte sua, disponeva solo di una forza politica alle prime armi. La loro alleanza, fin dall’inizio, è stata quindi tattica.
È vero che c’erano somiglianze nel macronismo del 2017 con la posizione di François Bayrou del 2007, quando ottenne il suo miglior punteggio alle elezioni presidenziali, il 18,5% al primo turno. Ha poi spiegato che è necessario rifiutare il confronto tra UMP [Unione per la Maggioranza Presidenziale, gaullisti] e PS per prendere il “meglio” da entrambi. Quando Emmanuel Macron si è presentato, PS e LR (ex-UMP), che un tempo speravano di instaurare il bipartitismo in Francia, erano in profonda crisi. Era giunto il momento di raccogliere i cocci e di fondare una nuova forza che riunisse gli europeisti neoliberisti di entrambe le parti: i Juppeisti e gli Strauss-Kahniani. Su questa base è entrato all’Eliseo nel 2017. Ma poiché non sa cosa sia un partito politico, non è riuscito a trasformare questa nuova alleanza elettorale in una forza politica strutturata e coerente su scala nazionale, capace di ricostruire il sistema dei partiti. Da qui il suo totale isolamento oggi.
C’è spazio nella Quinta Repubblica , caratterizzata dal voto a maggioranza e dall’elezione di un presidente a doppio turno, per un centrismo strutturato e potente?
È possibile fondare una forza che si posizioni al “centro”, Emmanuel Macron lo ha fatto nel 2017. Ma il macronismo non è centrismo nel senso in cui veniva dato nel XIX o XX secolo. La questione del centrismo non si pone più come nei due secoli in cui la vita politica funzionava attorno alla divisione tra destra e sinistra. Dalla fine del Novecento, questo concetto è diventato assai sfumato e si è creata una nuova divisione tra nazionalisti identitari e neoliberisti europeisti, emarginando la sinistra. François Bayrou, nato nel 1951, si è trovato a vivere entrambe le configurazioni.
Emmanuel Macron avrebbe potuto creare un grande partito liberando LR e PS dalle loro ali “estreme” (Benoît Hamon da una parte, Eric Ciotti dall’altra) e fondendole. Non è stato in grado di farlo, ma ciò non significa che fosse impossibile. François Bayrou sarebbe forse riuscito a guidare questa ricomposizione (coinvolgendo il MoDem), ma Emmanuel Macron si è guardato bene dal dargli le chiavi di casa. Perché non dà le chiavi a nessuno.
Lei pensa che François Bayrou possa ancora farcela?
Sta diventando sempre più difficile!
E ha un concorrente, Gabriel Attal...
Gabriel Attal non pesa molto, è una nave da corsa senza chiglia. Come tanti politici di oggi non ha una cultura storica, né una conoscenza approfondita della società. Non è il caso di François Bayrou, che ha puntato sul braccio di ferro per imporsi come primo ministro, minacciando di ritirare il sostegno del MoDem [all'area di governo].
Ci riuscirà? Impossibile dirlo, ma non possiamo escluderlo. Perché, dopo tutto, i neoliberisti europeisti sono stati la forza politica dominante in Francia fin dall’era Giscardiana. Sono al timone da cinquant’anni, fatta eccezione per il breve intermezzo del 1981-1983, in cui si tentò un’altra politica: nazionalizzazione, espansione dei servizi pubblici, aumento dei salari, riduzione dell’orario di lavoro, ecc. Per il resto del tempo, il paese ha vissuto politiche pubbliche che, al di là di certe sfumature, sono servite principalmente agli interessi delle classi dominanti.
Queste tuttavia oggi sono molto preoccupate. Scommettono sul cavallo sbagliato, se posso usare l'espressione. Emmanuel Macron li ha messi in una situazione difficile perché molto incerta, se non caotica. Con il rischio, nel 2027, di un secondo turno Mélenchon-Le Pen. Per il momento non hanno un candidato credibile e lo cercano. François Bayrou, se dimostrerà la sua abilità a Matignon, potrebbe essere la prossima incarnazione di questa forza politica, ciò che lui stesso ha in mente, credo, per imporre il suo progetto a lungo termine.
Avrà 76 anni nel 2027…
Sembra in gran forma. E non sono sicuro che, per gli elettori, l'età sia oggi il problema maggiore. Hanno testato un giovane presidente: non è stato molto probante.
François Bayrou potrebbe quindi collocarsi in una posizione “centrista” tra la sinistra, la cui alleanza è molto fragile, e l'estrema destra nazionalista. Ma niente a che vedere con il centrismo di una volta. Non siamo nella stessa situazione della Quarta Repubblica, quando la “terza forza” governava contro i comunisti e i gollisti, o tra le due guerre, quando i radicali governavano contro i partiti operai e clerico-reazionari. La divisione che ha segnato il Novecento tra i sostenitori della Repubblica liberale e quelli della Repubblica sociale non è più dominante. Non esiste più un partito rivoluzionario a sinistra - LFI è un partito gassoso il cui programma non è centrato sul superamento del capitalismo, come voleva Jaurès o come prevedeva il programma comune PCF-PS -, e l’identità nazionalista di estrema destra non è mai stata così potente.
Non possiamo collegare ciò che accadde proprio alla fine dell'Ottocento, quando la destra nazionalista e anti-dreyfusarda era molto potente? Il presidente Emile Loubet, avendo difficoltà a ottenere la maggioranza nell’Assemblea, affidò il potere a un repubblicano moderato, Pierre Waldeck-Rousseau, che costruì un governo di “difesa repubblicana” e mantenne il potere per tre anni…
Sì, solo che Waldeck-Rousseau non governava al “centro”. Liberale, era intrappolato in un sistema partitico molto polarizzato. Si alleò con i radicali, portò al governo un socialista [Alexandre Millerand] e ottenne l'appoggio di Jaurès come membro del blocco di sinistra.
Ha anche portato al governo il generale de Galliffet, il “massacratore della Comune”...
Sì, ma Galliffet occupava un posto di secondo piano in questo governo. Non è stato lui a dare l'impronta. Di fronte a Waldeck-Rousseau, il blocco di destra era estremamente unito e la destra clericale minacciava di tornare al potere. Il paragone con la situazione odierna varrebbe – a parità di condizioni – se Bayrou, di fronte al pericolo della RN, si alleasse con il NFP. Non ci siamo ancora!
L’attuale tripartizione (NFP, blocco centrale, RN) potrà durare? Non è questo un equilibrio instabile?
È stabilito, anche nella società. I macronisti si definiscono centristi opposti agli estremi. La verità è che le tre forze politiche non appartengono alla “sinistra”, al “centro” e alla “destra” come nel Novecento . Dei tre blocchi, due sono a destra secondo la vecchia divisione – da qui la sensazione, a sinistra, di una “destra” del paese. I neoliberisti europeisti sono gli eredi (lontani) degli orleanisti, di Poincaré, Pinay e Giscard d'Estaing. Emmanuel Macron porta avanti le politiche di Raymond Barre e dei suoi successori neoliberisti: privatizzazioni, smantellamento dei servizi pubblici, disfacimento delle leggi sociali, ecc.
I centristi “non sono né di sinistra né di sinistra”, diceva François Mitterrand…
Sì, Jean Lecanuet, centrista, sostenne Giscard d'Estaing nel 1974... Nei momenti di forte bipolarizzazione, come avvenne allora, bisogna scegliere tra destra e sinistra. E i centristi spesso pendono a destra. Ma non è sempre così. Quindi oggi ci troviamo in un’altra situazione, poiché non esiste la bipolarizzazione. C’è una tripartizione solidamente consolidata, in Parlamento e nella società.
Questa tripartizione è compatibile con la cultura politica francese, legata all’istituzione presidenziale o addirittura alla maggioranza? Pensi che possiamo tornare ad essere una classica democrazia parlamentare con coalizioni?
Possiamo, sì. Era conosciuto anche durante la Terza e la Quarta Repubblica, vale a dire per quasi un secolo. Sento sempre questo ritornello: “In Francia non abbiamo la cultura del compromesso. » Non ne sono convinto. Ci sono state spesso coalizioni, anche sotto la Quinta Repubblica. Sono molto rari i periodi in cui un unico partito ha avuto la maggioranza assoluta.
Per quanto riguarda il presunto attaccamento dei francesi al potere del presidente, non ci credo. Al contrario, tutto dimostra che l’iperpresidenza sta diventando per loro insopportabile.
Il generale de Gaulle non governava così. C'è stata una vera e propria suddivisione dei compiti: Georges Pompidou, primo ministro, guidava la politica interna della nazione. A mio avviso è indubbiamente necessario modificare la Costituzione, ma per il momento ritornare al suo spirito iniziale – un presidente arbitro, un primo ministro che governa con il Parlamento – sarebbe già un vero progresso.
* https://machiave.blogspot.com/2024/12/francia-la-non-censura.html
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