Mauro Ravarino, Torino, Salvini scatena i social contro la consigliera di sinistra
il manifesto, 4 dicembre 2024
L’uso disinvolto e strumentale dei social da parte del ministro Salvini non è una novità. Bastano una foto, la riduzione della complessità in slogan vuoti, un attacco personale e via alla pubblicazione. A essere finita sotto offensiva mediatica, questa volta, è una giovane consigliera di circoscrizione di Torino, Ilaria Genovese, 25 anni, rappresentate di Sinistra ecologista. La sua colpa? Sfidare apertamente la narrazione semplificata della destra che riduce i problemi delle periferie al concetto di «degrado», dimenticando spesso le persone.
A fine ottobre durante il consiglio della circoscrizione 7, Genovese interviene a proposito della situazione sul ponte Carpanini, nel quartiere Aurora, e – sottolineando le condizioni di ricattabilità e marginalità in cui troppe persone, per lo più straniere, sono costrette a vivere – dice: «Per me non è un problema di sicurezza una persona che spaccia, ma è un problema per quella persona il dover ricorrere allo spaccio per sopravvivere». Una frase che innesca tre mozioni ad personam firmate dai partiti dell’opposizione di centrodestra proprio contro la consigliera di Se: tutte bocciate. Lunedì Salvini ha esposto in pubblico il suo volto con la scritta «Una persona che spaccia non rappresenta un problema di sicurezza», nel testo del post parla di «uno schiaffo agli italiani perbene», a difesa di «un venditore di morte». Sotto all’immagine compaiono presto centinaia di commenti offensivi: «Questa è socialmente pericolosa», «Si vede che la usa pure lei». Il Secolo d’Italia titola «Piccole Salis crescono».
Un triste déjà-vu, una semplificazione utile solo a generare indignazione e consenso facile. «Non ho mai detto che lo spaccio non rappresenti un problema ma – spiega la consigliera di Se – che trattarlo esclusivamente come una questione di sicurezza è miope e inefficace. Affrontare il fenomeno senza considerare le cause profonde significa continuare a perpetuare un ciclo di marginalità e illegalità. Parlare di chi spaccia come un “venditore di morte” e ignorare il contesto in cui molte di queste persone vivono, spesso in condizioni di ricattabilità estrema, è un insulto alla complessità del problema. È facile puntare il dito e seminare paura, ma molto più difficile lavorare per soluzioni vere che mettano fine a questa spirale». Genovese racconta di aver collaborato con diverse associazioni di volontariato che operano nel quartiere: «Da loro ho imparato moltissimo. Queste realtà sono in prima linea nel supportare chi vive situazioni di difficoltà, offrendo non solo aiuto materiale ma anche percorsi di inclusione, solidarietà e mutuo aiuto».
E conclude: «Questo attacco mediatico non ha fatto altro che confermare quanto sia arduo, ma necessario, parlare di soluzioni complesse in un contesto dove prevalgono la semplificazione e il sensazionalismo. Nonostante gli attacchi e le critiche, sono convinta che il dibattito vada affrontato con coraggio, anche e soprattutto da giovani donne come me, orgogliose delle proprie scelte».
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