Mauro Calise, Dalla democrazia alla digicrazia
“Il Mattino”, 13 maggio 2024
Stiamo passando dal governo del popolo a quello degli algoritmi. Detta così, sembra quasi un’ovvietà. Peccato che nella girandola di convegni su dove l’Intelligenza artificiale ci stia portando, la grande assente sia proprio la politica. Siamo così impegnati a decifrare l’impatto sui posti di lavoro, sulla riorganizzazione delle fabbriche, su come l’Ia generativa si stia infilando in ogni ganglio della nostra vita associata che prestiamo poca attenzione a chi controlla questi processi, a quali saranno i protagonisti del sistema politico che – con un neologismo – si può chiamare digicrazia.
Abbiamo provato a chiederlo ai principali modelli linguistici che presidiano l’ecosistema culturale di questa nuova frontiera. Le risposte sono nel saggio di apertura della Rivista di Digital Politics, edita dal Mulino, ad accesso libero in rete. A primo acchito, colpisce la precisione dell’argomentazione, ma anche la superficialità. Rispetto alla democrazia, le tre sibille che abbiamo interrogato – ChatGpt 4, Gemini Ultra e Claude 3 – danno risposte che condividono un ottimismo di maniera: maggiore partecipazione e trasparenza, e soprattutto efficienza grazie all’utilizzo di una mole crescente e dettagliatissima di dati. Però, tra le righe si intravede qualche caveat. Claude 3 – la chatbot di Anthropic – segnala che «con il Governo algoritmico le decisioni politiche vengono prese da sistemi di Ia altamente avanzati e algoritmi decisionali, piuttosto che da esseri umani». Basterebbe questa notizia a seminare un bel po’ di panico.
Il quadro, infatti, si complica se si chiede di prendere in considerazione uno degli elementi che gli esperti già segnalano con crescente preoccupazione, il ruolo delle armi autonome sui teatri di guerra. Qui ChatGpt 4 cambia tono, e squilla subito l’allarme: «l’impiego di sistemi d’arma autonomi, come i droni di ultima generazione guidati da Ia, solleva preoccupazioni profonde riguardo alla sicurezza, al controllo e all’etica della guerra». E, a seguire, l’elenco puntuale dei rischi: Mancanza di controllo umano, Incertezza sulle responsabilità, Evoluzione incontrollata, Corsa agli armamenti, Uso improprio.
La situazione peggiora ulteriormente se si passa alla domanda chiave, quanto gli Stati siano davvero in grado di regolamentare il cyberspazio rispetto ai colossi aziendali che ne detengono il controllo tecnologico. Le risposte sciorinano la lista di ciò che sarebbe necessario – molti provvedimenti normativi e moltissimo coordinamento globale – ma lasciano inevasa la domanda chiave, e più inquietante: chi detiene, e come si forma, la volontà politica con cui si combatte questa battaglia?
Una parte della risposta, purtroppo, già la conosciamo. Riguarda la crisi profonda in cui versano oggi i partiti, l’architrave della democrazia novecentesca. Circuiti rappresentativi obsoleti, che non riescono a utilizzare il digitale come antenna dei bisogni sociali. E abbiamo assistito impotenti al declino dell’opinione pubblica, due secoli di storia per tracciare il confine tra società e politica bruciati dall’avvento repentino dei social, con la vita quotidiana che irrompe e colonizza ogni interstizio dell’informazione. Per cercare di tenere insieme quel che resta della rappresentanza partitica e l’informe agglomerato mediatico delle opinioni a mezzo social, la democrazia parlamentare si è trasformata in democrazia del leader, ultimo baluardo – o autodafé – del governo del e per il popolo.
Sarà questo lo scontro del futuro? I prìncipi in nome del popolo contro il governo delle macchine? Lasciamo stare le formule ad effetto, che popolano da vent’anni l’immaginario fantascientifico e consolatorio di cui si nutrono centinaia di milioni di utenti delle serie di maggior successo. L’evoluzione più probabile sarà quella che già si intravede in molte campagne elettorali, i leader che si digitalizzano attraverso il controllo delle piattaforme, sfruttando l’intelligenza artificiale per simulare la propria immagine – voce e messaggio – a uso e consumo dei singoli votanti. Lo si è visto con Milei e con Modi, lo vedremo presto con Trump.
Come esordio della digicrazia, non promette niente di buono.
Quando l’algoritmo comanda in politica (e imperversa ovunque)
LA DIGICRAZIA Massimiliano Panarari ne discute con Mauro Calise, Professore di Scienza Politica Università di Napoli Federico II, Direttore Rivista Digital Politics
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