martedì 17 dicembre 2024

Il fantasma di Romano Prodi



L’idea del fondatore dell’Ulivo è che un Pd spostato a sinistra da solo non basti:  «Un mono partito capace di esprimere una maggioranza in grado di governare è un pio desiderio che, infatti, non esiste in nessuna parte d’Europa».

Fabrizio Roncone, L'eterno ritorno di Prodi che innervosisce la destra
Corriere della Sera, 17 dicembre 2024

Così pieno di saggezza antica e di misura, ma poi anche di battuta pronta, capace di diventare, se serve, e qualche volta in politica serve, ruvido o affilato, però sempre con quella sua meravigliosa voce soffiata, lo sguardo all’apparenza pacioso davanti a tutti quelli che, periodicamente, lo evocano e poi proprio lo aspettano, lo omaggiano, tra stima profonda ed efferata nostalgia per le sue storiche vittorie (fu presidente del Consiglio dal 1996 al 1998 e dal 2006 al 2008): e allora giù mezzi inchini e strette di mano, caro Professore, illustre Professore, perché alla fine il Professore — a 85 anni — è tornato anche stavolta.

Eccoli perciò tutti in fila ad ascoltare Romano Prodi, a farsi indicare di nuovo la strada, proprio come ai bei tempi andati del miglior centrosinistra, quando lui era seduto sul leggendario e sbrindellato pullman con il logo dell’ulivo sulla fiancata, seguito dalla Fiat Duna del settimanale Cuore, l’inserto satirico di «resistenza umana», e atteso nelle piazze da folle festanti che oggi nemmeno a pagarle, per dire.

Il suo avversario dell’epoca era Silvio Berlusconi, travolgente e spiazzante, uno sconquasso, un rivoluzionario della politica con le sue armate che ai comizi arrivavano dal cielo, elicotteri a volo radente come in Apocalypse now,e poi jet che ripartivano puntando le isole Bermuda, luoghi designati per studiare strategie elettorali e rilassarsi con memorabili sedute di jogging: il Cavaliere in testa e dietro — tutti di bianco vestiti: resta una foto storica che ferma un’epoca — la fila indiana di Confalonieri e Galliani, Bernasconi, Letta e Dell’Utri. Mentre lui, il Professore, in camicia, persino le maniche arrotolate, sobrio, con quel distacco idealistico, un docente sempre soltanto un po’ prestato alla politica, come ancora un paio di settimane fa, quando presenta il suo libro, «Il dovere della speranza», scritto per Rizzoli insieme a Massimo Giannini, e al secondo piano della libreria Spazio Sette, a Roma, c’è una folla di militanti e veri adepti, più cronisti e politici sparsi, compresa Elly Schlein (i rapporti del Professore con Elly sono, diciamo, formali: certo non è un segreto che, spesso, il padre nobile avrebbe voluto essere più ascoltato; poi, ma ci torneremo tra qualche capoverso, a numerosi osservatori è pure abbastanza chiaro che lui non approvi la deriva piuttosto movimentista del Pd). Comunque siamo andati tutti ad ascoltarlo perché s’intuisce che il Professore è di nuovo in campo. E per qualcosa di grosso.

Annusiamo atmosfere, seguiamo indizi. Bisogna tenere d’occhio Prodi. C’è Prodi che parla. A che ora? Dove? Nelle redazioni è un tuffo indietro di trent’anni esatti. Poi arriva una telefonata: va in Vaticano. Ma no? Ma sì. L’altro giorno viene segnalato a centro metri da Santa Marta, nell’aula Nuova del Sinodo, dov’è in corso l’ultima giornata di studio della fondazione «Fratelli tutti», perché questo, come dice il padrone di casa, il cardinale Mauro Gambetti, è «il tempo della nostalgia politica», e soprattutto perché, come sempre, da secoli, i preti stanno avanti, e vedono e sentono tutto prima di tutti.

Anche che c’è una forte e nuova voglia di fare politica al centro. Qualcuno, da tempo, e di nascosto, ha aperto un cantiere catto-moderato. Vogliono costruire un margheritone da affiancare al Pd, a questo Pd, così fortemente sinistrorso. Infatti, ecco: come ospite d’onore, in Santa Sede, hanno invitato lui, il Professore. Ma poi hanno invitato pure Ernesto Maria Ruffini. Che, però, non si presenta. Per prudenza e per stile: visto che, poche ore prima, sul Corriere, ha annunciato a Fiorenza Sarzanini di voler lasciare l’agenzia delle Entrate. Un colpo di scena, una direzione mollata di botto e negando pure di voler scendere in pista, sebbene fortissime siano le suggestioni da lui stesso alimentate in un altro convegno, organizzato all’università Lumsa: «Essere spettatori è un lusso che non ci possiamo permettere».

Prodi, in un pausa caffè, tra le mura vaticane, dice che di Ruffini non intende parlare, e i cronisti ovviamente stanno al gioco. Ma sull’enigma Ruffini, molto più di un banale predestinato — mister Fisco per quattro governi di seguito, figlio dell’ex ministro Attilio, fratello di Paolo, prefetto del dicastero per la comunicazione della Santa Sede, nipote del cardinale Ernesto e amico personale di Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei — Prodi si è già espresso. Da Corrado Formigli, a Piazza Pulita. Con parole di elogio, e dentro una sostanziale prudenza.

Dietrologie: il Professore ritiene che Ruffini abbia lo spessore umano e intellettuale giusto, ma nutre qualche perplessità sulla sua tenuta mediatica (saprebbe trascinare le piazze, l’ex grande capo degli esattori di un Paese dove l’evasione fiscale è praticata come forma di religione?). Rosy Bindi pensa di sì. Bruno Tabacci, pure. Dario Franceschini, muto. Gelido Beppe Sala: «Lo conoscono in pochissimi». Su Prodi pesa la prefazione che firmò a uno dei libri di Ruffini («L’evasione spiegata a un evasore»: inevitabilmente, non un bestseller), ma è uno stupido dettaglio.

Poi vedremo chi assumerà la guida della componente centrista: la notizia è che Prodi pensa sia ormai necessaria. S’è convinto che il Pd, quel partito che era stato immaginato a vocazione maggioritaria, non

funziona più. Troppo spostato a sinistra. Lo spiega con nettezza: «Un mono partito capace di esprimere una maggioranza in grado di governare è un pio desiderio che, infatti, non esiste in nessuna parte d’Europa».

È una vera benedizione al cantiere cattolico. È una novità. Che mette in allarme Giorgia Meloni. Dal palco di Atreju, domenica mattina, urla che «Prodi è isterico!».

Isterico? La premier è forse troppo giovane, per conoscerlo bene. Ma Prodi sarebbe capacissimo di mantenere la calma anche se lo chiudessero in una stanza con Milei (e la sua motosega).

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