
Il vescovo latino di Kiev-Zhytomyr, Vitalii Kryvytskyi, con i bambini in una parrocchia

Ucraina. Cosa accadrà in 50 giorni? Attenti, anche la Russia ha truppe stanche
Quanto peseranno forniture di armi all’Ucraina, ultimatum perentori e mannaia sanzionatoria più volte brandita da un presidente statunitense distintosi finora per volatilità estrema nelle relazioni con la Russia di Vladimir Putin? Spingeranno a una pace negoziata e a trattative serie? A quali condizioni? O Mosca sfrutterà i 50 giorni di tempo per intensificare l’offensiva al fronte e contro le retrovie ucraine? La dinamica del teatro bellico lascia poco spazio all’ottimismo: nell’ultimo semestre i russi hanno rosicchiato all’avversario una media di 14-15 chilometri quadrati al giorno, lungo l’intera linea del fronte, in una guerra che in questi tre anni e 7 mesi ha mostrato cesure e più volti, ma che è stata caratterizzata più dalla staticità che dalla manovra e da scommesse di lungo periodo, che nella logica dell’Orso russo si sono declinate in tattiche di logoramento progressivo dell’avversario e in una distruzione crescente della sua integrità tattica, vincolata dal peso della demografia, della renitenza e delle diserzioni, limite sinergico alla riforma tardiva delle forze armate. La Russia ha perso copia immane di materiali e uomini, ma altrettanto può dirsi per l’Ucraina, che resiste coraggiosamente, con operazioni ritardatrici al fronte, lento ad evolvere perché interdetto dall’immanenza dei droni, dei campi minati e del fuoco di artiglieria. Un fronte spesso inchiodato, quasi fosse la Sarajevo delle guerre balcaniche, ma tutt’altro che immobile, specie negli ultimi mesi, come raccontano le fonti e il molto prudente Istituto per gli studi sulla guerra, che ha individuato otto punti salienti creati infine dai russi, soprattutto in direzione di Lyman, Kupyansk, Borova, Siversk, con un accerchiamento in itinere di più centri, fra cui si intravede Mynhorad, che, secondo il generale francese Kempf, comanda la logistica settentrionale di Pokrovsk, chiave di parte del Donetsk e, forse, della futura tenuta di Konstantinivka. C’è pure una pulsione verso le regioni di Dnipro e Zaporizhzhia, frutto di una dinamica generale delle operazioni non brillante, ma pendente a vantaggio dell’Armata Rossa da quasi un anno, tesa a colpire la logistica ucraina, gli snodi critici, la colonna vertebrale, alla maniera dell’Orso, per tagliare i supporti, costringere il nemico a indietreggiare, sfibrarlo nel morale anche nelle retrovie. Una guerra di fanti e di motociclette, di azioni tattiche condotte da piccole unità e di bombardamenti delle retrovie divenuti sempre più frequenti. Mancano, perché semi-impossibili, le grandi concentrazioni di mezzi corazzati, sopravvissuti alla distruzione, rigenerati o di nuova fattura, abilitanti lo schieramento di forze reattive, le più flessibili e intense nell’azione, foriere di manovre organiche e di percussioni più rapide. C’è un declino di abilità belliche di parte dei nuovi fanti e una funzionalità innegabile del fuoco difensivo al fronte, con zone d’interdizione profonde fino a venti chilometri, non tali da impressionare la dirigenza moscovita, capace di ripianare le perdite con flussi di volontari, incoraggiata dai guadagni territoriali, forte di un’economia in tensione ma protesa allo sforzo militare, con apporti nordcoreani elusivi di qualsivoglia sanzione secondaria. La situazione tattica, tutt’altro che rosea per Kiev, è a tratti indecifrabile: aumenterà la Russia l’intensità dei colpi e le conquiste territoriali, prima della scadenza dell’ultimatum trumpiano e dell’arrivo delle piogge, d’ostacolo a nuove offensive?
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