La psicoanalisi a Torino: questo libro racconta chi ha introdotto Freud, Adler e Jung (la triade originaria, cui si sono poi aggiunti altri insigni personaggi, per esempio Lacan) in terra piemontese; quali gruppi si sono formati e quale ne è stata la storia; se ci sono state diaspore e formazioni eterodosse. Inoltre, Torino è stata la culla della editoria psicoanalitica, ed è parso opportuno ricostruirne le vicende, trasformandole in un blando romanzo giallo. Torino e la psicoanalisi: l’accostamento ha anche suggerito riflessioni sui possibili legami tra le due realtà, considerate come soggetti animati, portatori di qualità personali, di atteggiamenti, di simpatie e idiosincrasie. Una tentazione che molto deve a intuizioni e fantasie che, insieme alla vasta e inevitabile aneddotica, spesso conferiscono al libro un andamento narrativo. Tanto più che l’autore è egli stesso analista, non alieno da passioni letterarie. Si potrà allora dire che la elusività della città dai tanti volti sembra rispecchiare con segreta complicità il carattere tortuoso e molteplice delle dottrine analitiche e delle loro applicazioni cliniche. In definitiva, un frammento di storia della città, che coincide con un frammento di storia di un variegato movimento culturale che della scoperta dell’inconscio ha fatto il suo punto di partenza e il suo segno di riconoscimento. E come la città esibisce senza desiderarlo la sua eccentricità, allo stesso modo la psicoanalisi torinese si presenta come una vasta Wunderkammer, un teatro di prodigi e talvolta di malcelati misteri. (presentazione editoriale)
Bruno Quaranta, la Repubblica Torino, 24 luglio 2025
Augusto
Romano è morto: grande psicanalista, fu il primo junghiano a
Torino
È scomparso la scorsa notte a Cogne, dov’era solito villeggiare, Augusto Romano, analista junghiano fra i maggiori, il primo sotto la Mole, fondatore dell’Arpa (Associazione per la ricerca in psicologica analitica), già docente di Fondamenti di psicologia analitica nel nostro ateneo.
Nato a Bari nel 1934, viveva a Torino dagli anni universitari. Si era laureato in Diritto ecclesiastico con Arnaldo Bertola, amico di Jemolo, sui culti non cattolici dallo Statuto Albertino alla Costituzione. Venne quindi a contatto, lavorando presso l’ufficio personale di un’agenzia pubblicitaria, con la psicologia. Nel 1965 inaugurò il suo studio, dopo l’analisi a Milano con tre maestri quali Fabio Minozzi, allievo di Ernst Bernhard, Francesco Caracciolo di Forino e Dieter Baumann, nipote di Jung, raggiungendolo talvolta a Zurigo.
Alla domanda superiore che Jung suggeriva di formulare correttamente così: c’è qualche motivo per credere che via sia una vita dopo la morte?, Augusto Romano rispondeva: “La speranza che quanto abbiamo fatto o ciò che ci è capitato riveli un senso”.
La sua è stata una vita intellettualmente sempre all’erta, illustrata insegnando, ascoltando, scrivendo. Tra gli ultimi testi scientifici ad apparire, Scritture della cura (con Elena Gigante) per Bollati Boringhieri, una serie di riflessioni sul caso clinico, dove, a spiccare, sono le pagine dedicate a Bobi Bazlen, l’”anima” dell’Adelphi, il “viaggiatore incantato”, tra i flâneur così intonati al professore: presenze nostalgiche, insoddisfatte, irrequiete, notturne, che perennemente inseguono qualcosa che sta al di là dell’immediatamente sensibile.
Sono intense le orme che hanno via via contrassegnato il magistero di Augusto Romano: da Studi sull’Ombra (con Mario Trevi) a Viaggio attorno all’eterno fanciullo, da Il sogno del prigioniero a Musica e psiche, lui musicologo raffinatissimo, tra gli spartiti prediletti il Quartetto opera 59 n. 1 di Beethoven, nonché “alunno” del violoncello.
Spirito mitteleuropeo, quindi a suo agio a Torino (“sognata capitale di una Mitteleuropa dell’Occidente”, secondo Mario Soldati), Augusto Romano non poté non riconoscere tra i suoi pazienti la città d’adozione, a cui dedicò, per Aragno, L’inconscio a Torino. Evidenziandone le due facce: la razionalista, che rimanda a Freud (ovvero smascherarla equivale a guarirla) e quella bizzarra, barocca, doppia (Jung e i post freudiani, ovvero aprirsi al fantastico, ai simboli e alle immagini che produce).
Ma è stata la poesia l’ultima passione di Augusto Romano, con la raccolta La memoria interrotta (Manni), secondo premio della città di Moncalieri. Una lamentazione ironica (la nostra era del disincanto che forse riesce solo a vagheggiare l’armonia mundi), visitata da un soffio montaliano: “Indifferenza è la regina del mondo / quando improvvisa si spegne la voce / che modulava senza saperlo i tuoi passi”. Mai interrompendo la riflessione sulla frase latina all’ingresso della casa di Jung: “Vocatus, atque non vocatus, Deus aderit”. Non si deve, non si può sfuggire, al proprio demone.
Guido Vitiello, Il Foglio, 22 luglio 2025
Rimasi incantato da un suo libro di fine anni Ottanta, "Madre di morte", e da lì provai a estorcergli per via epistolare anche le pagine che ancora non aveva scritto. Da allora abbiamo dialogato su tantissime cose. Ci ha lasciati a pochi giorni dal centocinquantenario del suo maestro.
Da bambino sognavo di avere, come il mio amato Charlie Brown, un amico di matita (il timido eroe di Schulz non è in grado di maneggiare la penna senza impiastricciarsi d’inchiostro). Solo l’anno scorso ho coronato il mio sogno, inaugurando una corrispondenza con lo psicoanalista junghiano Augusto Romano. Incantato da un suo libro di fine anni Ottanta, Madre di morte, mi sono precipitato a leggere tutto ciò che aveva pubblicato, e non contento dell’opera omnia ho provato a estorcergli, per via epistolare, anche le pagine che non aveva scritto ancora. Da allora, con cadenza pigra e irregolare, abbiamo parlato – mi ha parlato – di tantissime cose: del suo Jung e del suo Schubert, della sua Torino e della sua Cogne, dei suoi scrittori più cari come Rezzori e Trollope, della misteriosa perennità degli archetipi e della moda cinematografica dei supereroi. Soprattutto, abbiamo dialogato su una categoria che intrigava entrambi, quella del kitsch.
Non esiste solo il kitsch nelle arti – questa la nostra idea comune, a cui eravamo giunti per vie diverse – ma anche il kitsch esistenziale, la contraffazione psicologica, il cattivo gusto nei modi dello stare al mondo (un suo libro prezioso, Il flâneur all’inferno, diceva l’essenziale sul princisbecco che viene smerciato impunemente in nome del mito aureo dell’eterno fanciullo). A un certo punto avevo pure pensato di lanciargli una proposta, un po’ immodesta in verità: scriviamo un libricino a quattro mani sul tema. Qualcosa mi ha trattenuto – sono un wishy-washy, un tira-e-molla come Charlie Brown – e sono andato avanti procrastinando (fretta non ce n’era, in quella corrispondenza senza tempo). “Mi ero dimenticato di avere novant’anni”, mi scrisse nel settembre scorso, quando si sentì improvvisamente stanchissimo. Me n’ero dimenticato anch’io, tanto giovane e mercuriale era la sua intelligenza. Così, questo lunedì 21 luglio, a pochi giorni dal centocinquantenario del suo Jung, Augusto Romano ci ha lasciati. Mi mancherai, caro amico di matita.
Musica e psiche
Claude Lévi-Strauss ha scritto che “fra tutti i linguaggi, solo la musica riunisce i caratteri contraddittori d’essere a un tempo intelligibile e intraducibile”. In Harmonices Mundi, Keplero descrive la consonanza tra musica e armonie planetarie, e gli Inni alla notte di Novalis sono metafora della magia musicale che pervade il cosmo.
Si potrebbe continuare indefinitamente. Da sempre l’esperienza musicale ha generato miti e utopie; è stata contestazione dello status quo, nostalgia delle origini e dell’Armonia Mundi, simbolo di ciò che mai potrà essere detto in parole.
Questo libro si propone di seguire alcuni percorsi che la musica ha tracciato nell’immaginazione umana. Nella prima parte vengono prese in esame le teorie psicoanalitiche della musica e i loro antecedenti nel pensiero del Romanticismo. Nella seconda sono evocati, anche attraverso l’analisi di alcuni testi letterari e musicali (Hoffmann, Bernhard, Rilke, Offenbach), i rapporti tra musica, inconscio, fantasie cosmogoniche, mitologie del femminile e pratica analitica.
A spasso con Jung
Carl Gustav Jung ha messo in luce, con grande anticipo, intoppi e derive dell’uomo alle prese con l’arte del prendere la vita per il verso giusto. Spesso le sue riflessioni sono compendiate in frasi che si rivelano battute fulminanti, capaci di aprire a pensieri paradossali sempre illuminanti. In questa nuova edizione, le frasi a cui affidare un breve commento sono aumentate di numero, da quaranta a cinquantadue. Inoltre, sono state riorganizzate in modo da ottenere una sorta di vademecum per orientarsi in questi tempi difficili. Rimane identica la tonalità dei commenti. Si sono privilegiate risonanze letterarie, poetiche, filosofiche, si è preferito indulgere alla divagazione in chiave narrativa. È certo così che anche il più frettoloso dei lettori, o la meno guardinga delle lettrici, non potrà mancare di sorprendersi per ciò che sentirà affiorare attraverso la sollecitazione di queste apparentemente innocue provocazioni junghiane.
A colazione da Jung
Com'è che “ognuno può essere felice solo a modo suo”? Perché “non tutto si può né si deve guarire”? E davvero “chi fa sempre tutto bene finisce con l'annoiarsi”?
Da questi e altri interrogativi, suscitati da esemplari citazioni junghiane, gli autori, come già nel precedente A spasso con Jung, prendono spunto per divagazioni non accademiche suggerite non solo dalla psicologia ma anche da filosofia, letteratura, poesia, nonché dalla quotidianità. Obiettivo: invogliare il lettore a contrastare la banalità e il chiacchiericcio del nostro tempo.
Nel giardino di Jung
È proprio vero che “l’amore è sempre un problema, in qualsiasi età della vita” e che “chiunque prende la strada sicura è come se fosse morto”?
Dopo i precedenti A spasso con Jung (2005) e A colazione da Jung (2006), sono qui raccolte nuove divagazioni intorno a fulminanti citazioni junghiane, che catturano e danno da pensare. I commenti proposti dagli autori invitano comunque il lettore a interrogarsi e a cercare altre possibili risposte.
Studi sull'ombra
Immagine oscura proiettata da un corpo opaco quando sia esposto alla luce, luogo delle tenebre, area in cui non è possibile gettare lo sguardo (le congiure si tramano nell’ombra): sono esempi dei molti significati cui si presta la metafora dell’Ombra. La psicologia di Jung ha fatto dell’Ombra una delle principali figure che abitano il nostro spazio interiore. In quella oscurità si nasconde ciò che non coincide con i valori cui la coscienza aderisce: ciò che è svalutato, negato, rimosso, o anche solo potenziale, non sviluppato. Non è possibile comprendere il pensiero junghiano senza affrontare il nodo centrale delle relazioni tra l’Io e l’Ombra e dunque il rapporto tra esistenza e negatività e tra esistenza e disvalore.
In questa edizione arricchita di nuovi contributi, gli autori descrivono le problematiche connesse al concetto di Ombra e ne illustrano le manifestazioni attraverso un vasto materiale clinico ed esempi letterari tratti da opere di Beckett, Brecht, Conrad, Hoffmann, Melville.


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