domenica 20 luglio 2025

Rousseau e Zulieta a Venezia


Les Confessions, Livre VII

Chiunque siate, voi che volete conoscere un uomo, osate leggere le due o tre pagine che seguono: vi conoscerete a fondo J.-J. Rousseau.
Entrai nella camera di una cortigiana come nel santuario dell'amore e della bellezza; credetti di scorgere la divinità nella sua persona. Non avrei mai creduto che, senza rispetto e senza stima, si potesse provare nulla di simile a quanto ella mi fece sentire. Appena ebbi conosciuto, nelle prime confidenze, il pregio dei suoi incanti e delle sue carezze, per paura di perderne in anticipo il frutto, volli affrettarmi a coglierlo. Di colpo, anziché fiamme che mi divorassero, avvertii un gelo mortale serpeggiare nelle mie vene, le gambe mi tremano, e sul punto di sentirmi male, mi siedo e piango come un bambino.
Chi potrebbe indovinare il motivo delle mie lagrime, e quanto mi passava per la testa in quel momento? Mi dicevo: «Questo oggetto di cui dispongo è il capolavoro della natura e dell'amore; lo spirito, il corpo, tutto vi è perfetto; ella è buona e generosa quanto è amabile e bella. I grandi, i principi, dovrebbero essere suoi schiavi; gli scettri dovrebbero essere ai suoi piedi. Eppure eccola qui, miserabile meretrice, alla mercé di chiunque; il capitano di una nave mercantile ne dispone a suo capriccio; lei corre a gettarsi nelle mie braccia, da me che sa privo di tutto, da me il cui solo merito, che lei non può conoscere, deve essere zero ai suoi occhi. Vi è qualcosa d'inconcepibile. O il mio cuore m'inganna, affascina i miei sensi e mi rende lo zimbello di un'indegna sgualdrina, oppure bisogna che qualche segreta mancanza a me ignota distrugga l'effetto dei suoi incanti e la renda odiosa a chi dovrebbe contendersela.» Mi misi a cercare il difetto con un singolare accanimento, e non mi passò neppure per la mente che un male venereo potesse averne parte. La freschezza delle sue carni, lo splendore dell'incarnato, il candore dei suoi denti, la dolcezza del suo alito, l'aria di nitore soffusa in tutta la sua persona, allontanava così perfettamente da me quel sospetto, che in dubbio ancora sul mio stato dopo la Padoana, mi facevo piuttosto scrupolo di non essere sano abbastanza per lei, e sono convintissimo che in questo la mia fiducia non mi ingannava.
Queste riflessioni, così appropriate, mi agitarono al punto da piangerne. Zulieta, per la quale tutto ciò rappresentava certamente uno spettacolo del tutto nuovo, rimase un momento interdetta. Ma compiuto un giro della stanza e passata dinanzi al suo specchio, ella capì, e i miei occhi le confermarono, che il disgusto non aveva parte in quella crisi. Non le fu difficile guarirmi e cancellare quella piccola vergogna. Ma, nell'istante in cui ero alla soglia dell'estasi su di un seno che sembrava subire per la prima volta la bocca e la mano di un uomo, mi avvedo che una sua mammella è cieca del capezzolo. Mi turbo, guardo meglio, credo di vedere che quella mammella non è uguale all'altra. Eccomi almanaccare nella mia testa come si possa avere una mammella cieca; e persuaso che la cosa si dovesse a qualche rilevante vizio di natura, a forza di girare e rigirare quell'idea, vidi chiaro come il giorno che nella più incantevole persona di cui potessi sognare l'immagine, non tenevo tra le mie braccia che una specie di mostro, il rifiuto della natura, degli uomini e dell'amore. Spinsi la stupidità fino a parlarle di quella mammella monca. Sulle prime prese la cosa sullo scherzo, e nel suo umore pazzerello, disse e fece cose da farmi morire d'amore. Ma serbando un fondo d'inquietudine che non riuscii a nasconderle, la vidi infine arrossire, ricomporsi, alzarsi, e senza una parola rifugiarsi alla finestra. Volli mettermi al suo fianco; lei mi evitò, andò a sedersi su un divano, un momento dopo si alzò, e passeggiando per la stanza e sventagliandosi, con tono freddo e sdegnoso mi disse: «Zanetto, lascia le donne, e studia la matematica.»
Prima di lasciarla, le chiesi un nuovo appuntamento per l'indomani, che lei rimandò al terzo giorno, aggiungendo, con un sorriso ironico, che dovevo aver bisogno di riposo. Trascorsi quel tempo con malessere, il cuore colmo dei suoi incanti e delle sue grazie, avvertendo la mia stravaganza, rimproverandomela, rimpiangendo i momenti così mal vissuti, che sarebbe dipeso solo da me rendere i più dolci della mia vita, attendendo con la più viva impazienza quello di ripararne la perdita, e nondimeno ancora inquieto, malgrado tutto, di conciliare le perfezioni di quell'adorabile fanciulla con l'indegnità del suo stato. Corsi, volai da lei all'ora fissata. Non so se il suo temperamento ardente sarebbe stato più contento di quella visita. Il suo orgoglio almeno sì, e già pregustavo la gioia deliziosa di mostrarle in ogni maniera come sapevo riparare i miei torti. Mi risparmiò tale prova. Il gondoliere che sbarcando inviai da lei mi riferì che era partita il giorno prima per Firenze. Se non avevo sentito tutto il mio amore nel possederla, lo sentii nella sua piena crudeltà perdendola. Il mio insensato rimpianto non mi ha più abbandonato. Per quanto amabile, per quanto incantevole fosse stata ai miei occhi, potevo consolarmi di perderla; ma la cosa di cui, lo confesso, non riuscii mai più a consolarmi è che essa non abbia serbato di me null'altro che un ricordo sprezzante.

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Qui que vous soyez, qui voulez connaître un homme, osez lire les deux ou trois pages suivantes : vous allez connaître à plein Jean-Jacques Rousseau.
J’entrai dans la chambre d’une courtisane comme dans le sanctuaire de l’amour et de la beauté ; j’en crus voir la divinité dans sa personne. Je n’aurais jamais cru que, sans respect et sans estime, on pût rien sentir de pareil à ce qu’elle me fit éprouver. A peine eus-je connu, dans les premières familiarités, le prix de ses charmes et de ses caresses, que, de peur d’en perdre le fruit d’avance, je voulus me hâter de le cueillir. Tout à coup, au lieu des flammes qui me dévoraient, je sens un froid mortel couler dans mes veines ; les jambes me flageolent, et, prêt à me trouver mal, je m’assieds, et je pleure comme un enfant.
Qui pourrait deviner la cause de mes larmes, et ce qui me passait par la tête en ce moment ? Je me disais : Cet objet dont je dispose est le chef-d’œuvre de la nature et de l’amour ; l’esprit, le corps, tout en est parfait ; elle est aussi bonne et généreuse qu’elle est aimable et belle ; les grands, les princes devraient être ses esclaves ; les sceptres devraient être à ses pieds. Cependant la voilà, misérable coureuse, livrée au public ; un capitaine de vaisseau marchand dispose d’elle ; elle vient se jeter à ma tête, à moi qu’elle sait qui n’ai rien, à moi dont le mérite, qu’elle ne peut connaître, est nul à ses yeux. Il y a là quelque chose d’inconcevable. Ou mon cœur me trompe, fascine mes sens et me rend la dupe d’une indigne salope, ou il faut que quelque défaut secret que j’ignore détruise l’effet de ses charmes, et la rende odieuse à ceux qui devraient se la disputer. Je me mis à chercher ce défaut avec une contention d’esprit singulière, et il ne me vint pas même à l’esprit que la v… pût y avoir part. La fraîcheur de ses chairs, l’éclat de son coloris, la blancheur de ses dents, la douceur de son haleine, l’air de propreté répandu sur toute sa personne éloignaient de moi si parfaitement cette idée, qu’en doute encore sur mon état depuis la Padoana, je me faisais plutôt un scrupule de n’être pas assez sain pour elle ; et je suis très persuadé qu’en cela ma confiance ne me trompait pas.
Ces réflexions, si bien placées, m’agitèrent au point d’en pleurer. Zulietta, pour qui cela faisait sûrement un spectacle tout nouveau dans la circonstance, fut un moment interdite ; mais, ayant fait un tour de chambre et passé devant son miroir, elle comprit et mes yeux lui confirmèrent que le dégoût n’avait pas de part à ce rat. Il ne lui fut pas difficile de m’en guérir et d’effacer cette petite honte ; mais au moment que j’étais prêt à me pâmer sur une gorge qui semblait pour la première fois souffrir la bouche et la main d’un homme, je m’aperçus qu’elle avait un téton borgne. Je me frappe, j’examine, je crois voir que ce téton n’est pas conformé comme l’autre. Me voilà cherchant dans ma tête comment on peut avoir un téton borgne ; et, persuadé que cela tenait à quelque notable vice naturel, à force de tourner et retourner cette idée, je vis clair comme le jour que dans la plus charmante personne dont je pusse me former l’image, je ne tenais dans mes bras qu’une espèce de monstre, le rebut de la nature, des hommes et de l’amour. Je poussai la stupidité jusqu’à lui parler de ce téton borgne. Elle prit d’abord la chose en plaisantant, et, dans son humeur folâtre, dit et fit des choses à me faire mourir d’amour ; mais, gardant un fonds d’inquiétude que je ne pus lui cacher, je la vis enfin rougir, se rajuster, se redresser, et, sans dire un seul mot, s’aller mettre à sa fenêtre. Je voulus m’y mettre à côté d’elle ; elle s’en ôta, fut s’asseoir sur un lit de repos, se leva le moment d’après ; et, se promenant par la chambre en s’éventant, me dit d’un ton froid et dédaigneux : Zanetto, lascia le donne, e studia la matematica.
Avant de la quitter, je lui demandai pour le lendemain un autre rendez-vous, qu’elle remit au troisième jour, en ajoutant, avec un sourire ironique, que je devais avoir besoin de repos. Je passai ce temps mal à mon aise, le cœur plein de ses charmes et de ses grâces, sentant mon extravagance, me la reprochant, regrettant les moments si mal employés, qu’il n’avait tenu qu’à moi de rendre les plus doux de ma vie, attendant avec la plus vive impatience celui d’en réparer la perte, et néanmoins inquiet encore, malgré que j’en eusse, de concilier les perfections de cette adorable fille avec l’indignité de son état. Je courus, je volai chez elle à l’heure dite. Je ne sais si son tempérament ardent eût été plus content de cette visite ; son orgueil l’eût été du moins, et je me faisais d’avance une jouissance délicieuse de lui montrer de toutes manières comment je savais réparer mes torts. Elle m’épargna cette épreuve. Le gondolier, qu’en abordant j’envoyai chez elle, me rapporta qu’elle était partie la veille pour Florence. Si je n’avais pas senti tout mon amour en la possédant, je le sentis bien cruellement en la perdant. Mon regret insensé ne m’a point quitté. Tout aimable, toute charmante qu’elle était à mes yeux, je pouvais me consoler de la perdre ; mais de quoi je n’ai pu me consoler, je l’avoue, c’est qu’elle n’ait emporté de moi qu’un souvenir méprisant.

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Palazzo Surian Bellotto 

Rousseau a Venezia

Maria Luisa Colledani, Sesso e spudoratezza attraverso l'Europa
Il Sole 24 ore, 20 luglio 2025

Quanto poco sappiamo del Grand Tour, che non era solo meraviglia e sublime. Lo scopre anche Jean-Jacques Rousseau, che nel 1743 è a Venezia per sostituire (*) l’ambasciatore. Durante un pranzo si avvicina un’imbarcazione e sale sul naviglio una fanciulla deliziosa: «Incolla le sue labbra alle mie e mi stringe fino a soffocarmi, mentre i suoi grandi occhi neri, orientaleggianti, mi trafiggono il cuore con dardi di fuoco». La giovane confessa di averlo scambiato per un ex spasimante e «prese possesso di me come se fossi stato il suo uomo, mi affidava i guanti, il ventaglio, la cintura, la cuffietta e mi ordinava di andare di qua o di là e di fare questo o quello, e io non potevo far altro che obbedire». Donne belle, donne di ventura, donne maliarde da svenire. Rousseau si innamora anche dell’incantevole Zulietta ma il desiderio lo paralizza: «la natura non mi ha fatto per godere. Ha messo nella mia testa balzana il veleno di quella felicità ineffabile di cui ha messo la brama nel mio cuore». Forse troppa sensibilità o forse anche la severa mentalità ginevrina e Zulietta, abituata ad altri incontri focosi, lo congeda con disprezzo: «Zanetto, lascia stare le donne e studia la matematica».

Attilio Brilli, Storie segrete del viaggio in Italia, il Mulino (*) affiancare, in realtà, assumendo la funzione di segretario: si doveva occupare di cifrature, dispacci e attività diplomatiche che l'ambasciatore non gestiva direttamente.



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