mercoledì 23 luglio 2025

Il disagio dei preti


Marco Marzano
La svolta necessaria. La chiesa risponda al grido di dolore dei preti
Domani, 22 luglio 2025

l 5 luglio scorso, don Matteo Balzano, prete 35enne della diocesi di Novara, si è tolto la vita. Delle ragioni di questo gesto non è possibile parlare, dato che nessuno di noi le conosce davvero. Gli unici atteggiamenti accettabili al riguardo sono la pietà umana e il rispetto che si deve a chi ha compiuto una scelta così radicale.

Quello di cui voglio parlare è invece l’ampia reazione che questa tragedia ha prodotto nell’ambiente ecclesiale. Molti articoli sono stati pubblicati e una marea di commenti e di riflessioni, soprattutto da parte di tanti sacerdoti, hanno invaso i social.

LA CHiesa e il suicidio

Nel profluvio di parole io ho intravisto due elementi di fondo. Il primo di questi è pienamente positivo ed è rappresentato dal fatto che la decisione di don Matteo di levarsi la vita non è stata da nessuno giudicata e tantomeno condannata.

Sembrano passati cento anni, non diciotto, da quando a Piergiorgio Welby venne negato un funerale religioso. Le cause della morte del giovane sacerdote non sono state occultate e per il giovane suicida sono state spese da quasi tutti i commentatori parole affettuose e comprensive.

Sono stati invocati il pianto, il silenzio e la preghiera, ignorando di fatto quell’articolo del catechismo (il 2281) che afferma che «il suicidio contraddice la naturale inclinazione dell'essere umano a conservare e a perpetuare la propria vita. Esso è gravemente contrario al giusto amore di sé. Al tempo stesso è un’offesa all'amore del prossimo, perché spezza ingiustamente i legami di solidarietà con la società familiare, nazionale e umana, nei confronti delle quali abbiamo degli obblighi. Il suicidio è contrario all’amore del Dio vivente».

Fin qui benissimo. Prendiamo atto del superamento nei fatti della condanna morale dei suicidi da parte del clero cattolico. La chiesa della misericordia e del rispetto si mostra tale non più solo nella prassi delle omelie dei funerali (quello di don Matteo l’ha celebrato in tono accorato e partecipe il suo vescovo, monsignor Franco Giulio Brambilla), ma anche sui giornali e sui social. Speriamo che sia finalmente, per il cattolicesimo, la premessa per una svolta liberale e civile sul fine vita.

La FATica di essere preti

Il secondo elemento è più intricato e controverso. Iniziamo col dire che tutti, ma proprio tutti i commenti danno per scontato che il suicidio di don Matteo sia legato alla sua professione. Questo dato di partenza è divenuta la premessa per compiere lunghe riflessioni sulla fatica di essere prete, sulla solitudine dei sacerdoti, sui tanti dolori della condizione clericale.

Da questo punto di vista, la morte di don Matteo è parsa quasi costituire un mero pretesto per mostrare lamentazioni ed esibire maldipancia squisitamente “professionali”. Come se don Matteo fosse morto in un cantiere per la mancata applicazione di norme di sicurezza o in trincea difendendo la patria.

In tantissimi commenti si coglie un tono vittimistico e autocelebrativo del genere: «La vita per noi preti è faticosissima e uccide. Siamo dei veri e propri eroi chiamati a sacrificarci per la salvezza delle nostre comunità, a privarci di tutto, del denaro, degli affetti, della comprensione da parte dei fedeli. Siamo costretti ad apparire sempre perfetti e a donarci agli altri senza ricevere nulla in cambio, anzi dovendo affrontare ogni giorno la secolarizzazione e la fuga dei giovani dalle chiese. Don Matteo è uno di noi che non ce l’ha fatta, che non ha retto il carico, che è scoppiato cedendo alla tentazione di ammazzarsi».

Desiderio di “normalità”

Sarebbe sbagliato e semplicistico rispondere a questi preti che forse ci sono posizioni sociali ben più faticose della loro, che per un padre di famiglia che guadagna troppo poco per sfamare i suoi figli la vita è un tantino più complicata, che i drammi del clero sono assai più contenuti di quelli di tantissimi altri esseri umani anche nel ricco Occidente.

No, il grido di dolore che si leva dalle file del clero richiede di essere ascoltato. Lo devono ascoltare gli stessi preti e soprattutto i vertici dell’istituzione mettendo mano a un radicale ripensamento della vita dei sacerdoti nel nostro tempo. Papa Francesco aveva ventilato l’eventualità di un sinodo sul ministero che non si è mai fatto. Speriamo che il suo successore riprenda quell’idea.

Da parte mia, penso che sia molto giusto quello che ha scritto la psicologa Chiara D’Urbano su Avvenire riferendo le parole dei preti che incontra in terapia. Costoro hanno desiderio di «normalità», «di essere visti e amati a pacchetto completo, il bello e il brutto di sé». Il punto è che l’unica via per diventare normali è quella di scendere dall’altare, di gettar via i paramenti, le ordinazioni, i misteri, le emulazioni di Cristo. Di rinunciare al celibato e alla pretesa di valere di più degli altri, di essere “speciali” perché più vicini a Dio. E infine di accettare la presenza nel gruppo delle grandi escluse, le donne. È pronta la chiesa per questa svolta?


Antonio Sanfrancesco, Il suicidio di don Matteo Balzano. Enzo Bianchi: "Mi inchino davanti al mistero", Famiglia Cristiana, 6 luglio 2025 

Una comunità sotto choc quella di Cannobio, nel Verbano-Cusio-Ossola, per il suicidio di don Matteo Balzano, 35 anni, vice parroco del paese.

Il giovane sacerdote è stato trovato senza vita sabato mattina nell'appartamento dove viveva, annesso all'oratorio di cui era responsabile. La notizia è stata confermata dalla diocesi di Novara. Il giovane sacerdote non si era presentato a celebrare la messa del mattino ed era scattato l'allarme, anche perché don Matteo non rispondeva al telefono. Poi la scoperta.

Originario di Grignasco, nel Novarese, classe 1990, perito aeronautico, don Matteo era entrato in seminario nel 2010 prestando servizio nelle parrocchie di Borgosesia, Trecate e al Centro diocesano vocazioni. Ordinato sacerdote nel giugno 2017 era stato poi vicario parrocchiale a Castelletto Ticino. Dopo un periodo vissuto presso il Santuario di Re, in Val Vigezzo, era arrivato a Cannobio.

«Proprio ieri sera aveva organizzato una tombola in paese», ha spiegato il sindaco di Cannobio, Gian Maria Minazzi, «quella della morte di Don Matteo è una notizia che lascia tutta la comunità senza parole e nel dolore. Nulla però ha mai fatto presagire che stesse vivendo una situazione di disagio. Aveva creato un bel rapporto con i giovani e aveva appena organizzato il Grest. Era benvoluto da tutti, anche in oratorio era ben visto. Siamo tutti sconvolti, non abbiamo mai colto segnali di nessun tipo di disagio - continua il primo cittadino -. Non sappiamo davvero che cosa sia accaduto».

Il commento della diocesi è affidato a una nota ufficiale firmata da don Franco Giudice, vicario del vescovo Franco Giulio Brambilla per il clero: «Dopo un periodo vissuto presso il Santuario di Re, aveva ripreso con entusiasmo la propria missione tra i giovani dell’oratorio della parrocchia di Cannobio, offrendo il suo servizio anche per la Valle Cannobina», si legge nella nota che ricostruisce il percorso di don Matteo, «Solo il Signore, Colui che “scruta e conosce” ciascuno di noi, sa comprendere i misteri più impenetrabili dell’animo umano. Eleviamo al Dio della misericordia la preghiera per don Matteo, nostro confratello nel sacerdozio, esprimendo un’umana vicinanza, in questo drammatico momento, ai suoi famigliari e a tutta la Comunità parrocchiale di Cannobio».

Lunedì 7 luglio si terrà, presso la Collegiata San Vittore di Cannobio, la veglia di preghiera. Martedì 8 luglio alle 10.30, sempre in Collegiata, il vescovo Franco Giulio Brambilla presiederà i funerali. La salma verrà poi tumulata nel cimitero di Grignasco dove vivono i genitori che, ora, stanno cercando di capire che cosa abbia spinto il sacerdote a un passo così estremo.

Sulla vicenda è intervenuto, con un post su Facebook (in basso), anche Enzo Bianchi: «Caro don Matteo, troppe parole per il tuo esodo da noi», scrive, «tu meriti solo silenzio e rispetto. La tua decisione è un mistero che appartiene a te e a Dio. Nessuno ha diritto di interrogarti, nessuno ha diritto di fare omelie. Io mi inchino a te e adoro il tuo mistero mentre ti vedo tra le braccia di Cristo che accoglie e ama soprattutto quelli che preferiscono un’altra terra è un altro cielo in certe situazioni. Vorrei abbracciarti e dirti solo: Amen!».

https://www.difesapopolo.it/quale-speranza-dopo-la-morte-di-due-giovani-preti/

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