Claude Lanzmann Regista francese (Parigi 1925- ivi 2018). Partigiano, ha ricevuto una medaglia della Resistenza. Docente all'Università di Berlino durante il blocco, amico di J.-P. Sartre e S. de Beauvoir, anticolonialista, fedele a Israele, ha per decenni collaborato alla rivista Les Temps Modernes. Dal 1970 si è dedicato al cinema e nel 1973 ha realizzato il documentario Pourquoi Israël, che ha ottenuto un notevole successo di pubblico. L. è celebre sopratutto per il film documentario su cui ha lavorato per oltre un decennio Shoah (1985), sullo sterminio degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale della durata di nove ore e mezza, opera monumentale importante sia dal punto di vista storico che cinematografico, che ha ricevuto diversi riconoscimenti. Del 1994 è Tsahal che chiude la trilogia. Nel 2009 ha pubblicato il libro di memorie Le lièvre de Patagonie ed è del 2013 Le Dernier des Injustes, documentario sul rabbino di Vienna B. Murmelstein. Cavaliere della Legion d'Onore e Cavaliere dell'Ordine Nazionale del Merito, nel 2013 il Festival di Berlino gli ha conferito l'Orso d'Oro alla carriera. (Treccani)
Simone de Beauvoir, La forza delle cose, traduzione di Bianca Garufi, Einaudi, Torino 1966 [1963]
Era la fine di luglio. Dovevo partire in macchina per Milano, dove Sartre mi avrebbe raggiunta in treno; avremmo proseguito insieme e viaggiato per due mesi attraverso l'Italia. Nel frattempo Bost e Camus, che avevano l'incarico di preparare una Guida per l'editore Nagel, si preparavano allegramente a spiccare il volo per il Brasile. Si erano comprati lo smoking bianco e Bost ci invitò a festeggiare la loro partenza attorno a un aïoli. Gli suggerii di invitare anche Claude Lanzmann. La serata si protrasse fino a tardi, bevemmo. Al mattino squillò il telefono: "Vorrei portarla al cinema", mi disse Lanzmann. "Al cinema? A vedere?" "Non ha importanza..." Esitai: avevo un mucchio di cose da fare, ma sapevo che non dovevo rifiutare. Prendemmo un appuntamento. Con mia grande sorpresa, quando riattaccai il ricevitore scoppiai a piangere.
Cinque giorni dopo lasciai Parigi; dritto sul bordo del marciapiede Lanzmann agitava la mano mentre la macchina si metteva in moto. Era successo qualcosa; qualcosa, ne ero certa, cominciava. Avevo ritrovato un corpo. Turbata dall'emozione dell'addio, uscendo di città mi perdetti in periferia, poi imboccai la Nazionale 7, felice di avere davanti a me quel lungo nastro di chilometri per ricordare e fantasticare.
Sognavo ancora quando, due giorni dopo di mattina uscii da Domodossola dove mi ero fermata per dormire; adesso avevo preso in macchina due ragazze inglesi che andavano da Calais a Venezia in autostop con in tasca un biglietto d'aereo Monaco-Londra per il ritorno.
Durante queste vacanze, Lanzmann aveva fatto un viaggio in Israele; ci eravamo scritti. Tornò a Parigi due settimane dopo di me e i nostri corpi si ritrovarono nella gioia.
Ebreo e primogenito, le responsabilità di cui era stato investito fin dall'infanzia l'avevano precocemente maturato; a volte sembrava persino che portasse sulle spalle il peso di una esperienza ancestrale: non pensavo mai, parlandogli, che era più giovane di me. Eppure sapevamo che fra noi c'erano diciassette anni di differenza: questi anni non ci spaventavano. Quanto a me, avevo bisogno di distanza per impegnare il mio cuore dato che non intendevo minimamente venir meno alla mia intesa con Sartre. Algren apparteneva a un altro continente, Lanzmann a un'altra generazione: era anche questo un disorientamento che equilibrava i nostri rapporti. La sua età mi destinava a essere solo un momento della sua vita; e questo giustificava ai miei occhi il fatto di non dargli nulla della mia. Del resto non me lo chiedeva: mi accettava in blocco, con il mio passato e con il mio presente. Tuttavia il nostro accordo non si cocluse in un istante. In dicembre passammo alcuni giorni in Olanda; lungo i canali gelati, nelle caverne dalle tende accuratamente tirate, parlammo a lungo di noi. Le vacanze che ogni anno passavo con Sartre ci ponevano un problema: non volevo rinunziarvi, ma una separazione di due mesi sarebbe stata penosa per tutti e due. Decidemmo che ogni estate Lanzmann avrebbe passato una decina di giorni con Sartre e con me. Nel corso delle conversazioni successive altre inquietudini e gli ultimi dubbi si dissiparono. Al ritorno a Parigi decidemmo di vivere insieme. Avevo amato la mia solitudine, ma non la rimpiangevo.

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