mercoledì 2 luglio 2025

La cultura della destra al potere


Elio Cappuccio
Il cuore di tenebra della destra. Alle radici della democratura
Domani, 1 luglio 2025

In Nero indelebile. Le radici oscure della nuova destra italiana (Longanesi, 2025), Mirella Serri indaga intorno alla cultura politica che, sin dalle origini, ha ispirato Fratelli d’Italia. Nel novembre del 2011 Giorgia Meloni fu invitata a partecipare al secondo congresso del movimento fondato da Francesco Storace nel 2007, La Destra. La crisi del Governo Berlusconi e l’allontanamento di Gianfranco Fini da quell’area spinsero Meloni a recuperare, rileva Serri, il mondo di “destra-destra” che non si era riconosciuto nella svolta di Fiuggi del 1995.

Per recuperare il rapporto, Meloni dovette impegnarsi nel compito di delineare un comune terreno d’incontro, che si collocava, scrive Serri, «in quel brodo di cultura rautiano» diffuso nelle sedi romane del M.S.I., e particolarmente in quella di Colle Oppio, in cui lei stessa si era formata. In quel clima, fortemente segnato dal reducismo repubblichino, i militanti di Ordine Nuovo, come i seguaci di Julius Evola, costituivano una presenza significativa.

Insieme a Evola, il Marcuse della destra, come lo definiva Giorgio Almirante, altri maestri contribuivano nella formazione dei militanti, come Ernst Jünger, il cui Trattato del ribelle simboleggiava una alternativa alle democrazie “borghesi” o Pierre Drieu La Rochelle (autore di Socialisme fasciste), secondo il quale Hitler avrebbe fatto rinascere l’Europa sulle ceneri degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica. Nella biblioteca di Colle Oppio un posto di riguardo era riservato a Il Signore degli anelli di J.R.R. Tolkien e nel 1977, da un’idea di Pino Rauti, nacquero i Campi Hobbit, in cui il culto della “Tradizione” incontrava i miti pop e rock, attirando giovani affiliati. Le manifestazioni di Atreju, promosse da Meloni a partire dal 1998, hanno poi raccolto questa eredità.

Nell’edizione di Atreju del 2018, dal titolo emblematico “Europa contro Europa”, apparve con chiarezza l’intenzione di mettere a confronto due visioni alternative del mondo. Nel logo, infatti, all’immagine di architetture antiche si contrapponevano le sagome delle sedi istituzionali dell’Unione Europea, per indicare come il grigiore tecnocratico gettasse un’ombra sui simboli della storia europea.

Nel 2019, Victor Orban, il teorico della democrazia illiberale, è stato fra gli ospiti più applauditi di Atreju, soprattutto quando, nel descrivere il rapporto della destra con gli avversari, ha citato un adagio popolare, che consiglia di confidare in Dio, tenendo però asciutta la polvere da sparo. Nell’edizione del 2024, a Roma, al Circo Massimo, è stato accolto con grandi ovazioni il filosofo Alexandr Dugin, molto apprezzato da Steve Bannon, da Matteo Salvini e da vari esponenti della destra internazionale. Dugin (ideologo di Vladimir Putin) fondò con Limonov, nel 1993, il partito Nazionalbolscevico, una formazione rosso-bruna in cui confluivano, in modo controverso, suggestioni provenienti da Antonio Gramsci, Carl Schmitt, Julius Evola, e altri pensatori, visti alla stregua di compagni di battaglia contro un Occidente giudicato decadente e corrotto. Si trattava di una guerra in cui anche la Chiesa ortodossa poteva rivelarsi un’alleata e lo stretto rapporto del Patriarca Kyrill con Putin lo ha testimoniato ampiamente.

L’apertura a un contesto internazionale, rileva Serri, non è nuova nella destra italiana, come dimostra il fatto che Rauti era vicino alla Nouvelle Droite, in cui convivevano esoterismo, antisemitismo e simpatie naziste.

Fra le figure più rilevanti in questo confronto spicca il filosofo Alain de Benoist, la cui presenza nella manifestazione di Atreju del 2023 è stata accolta con entusiasmo dall’allora ministro della cultura Gennaro Sangiuliano.

Meloni, insieme a Guido Crosetto e Ignazio La Russa, fondò Fratelli d’Italia nel 2012. Alle sue prime elezioni il partito ottenne meno del due per cento dei voti, che divennero circa il quattro nel 2022, per arrivare quasi al trenta nel 2022. Dopo essersi allontanata da Fini, che aveva favorito la sua ascesa politica, Meloni si allontanò anche da Silvio Berlusconi e dalla sua idea di una destra liberale ed europeista.

Nel programma di Fratelli d’Italia per le elezioni europee del 2014 si proclamava infatti la difesa dell’«Europa dei popoli», la netta opposizione all’Unione Europea e l’uscita dall’Euro. Sempre nel 2014, dopo l’invasione russa della Crimea, Meloni non ritenne opportuno incrinare le sue buone relazioni con Putin e criticò Paolo Gentiloni, che in Consiglio europeo aveva votato a favore delle sanzioni contro la Russia.

Dopo l’invasione dell’Ucraina del 2024, la sua posizione rispetto a Putin subisce però un mutamento e si assiste a un allineamento con l’Unione Europea, gli Stati Uniti e la Nato. Questa ambivalenza si manifesta anche di fronte alle vicende americane. La sintonia con Donald Trump, durante il suo primo mandato, è netta, a tal punto che nel gennaio del 2021 Fratelli d’Italia vota in Parlamento europeo contro la dichiarazione di condanna dell’assalto a Capitol Hill. Le critiche ai democratici americani vengono però messe in sordina quando Meloni, divenuta leader, si trova a confrontarsi con Joe Biden. Sarà poi pronta a riposizionarsi già in vista della seconda presidenza Trump.

Nell’“ideologia della superdonna”, incarnata da Meloni, fiera di essere la prima donna a guidare un governo italiano, è emerso, scrive Serri, un tratto decisionista in cui Berlusconi riconosceva quell’arroganza che si manifestò quando, contro le indicazioni di Forza Italia, Ignazio La Russa fu eletto Presidente del Senato. Serri identifica, in questa scelta, il secondo parricidio di Meloni, che dimostrava così, a sé stessa e al suo partito, di essersi liberata dai numi tutelari.

Nel prendere in esame i diversi aspetti della destra meloniana, Serri riserva una particolare attenzione alle posizioni di Fratelli d’Italia rispetto al fenomeno migratorio e coglie proprio qui un crudele “cuore di tenebra”. Il decreto legge varato a Cutro non sarebbe nato, a suo avviso, in seguito a quella tragedia, ma rifletterebbe le Tesi di Trieste del 2017, in cui si auspicava di affrontare la questione superando la «anomalia italiana della protezione umanitaria».

I centri di identificazione e di espulsione sarebbero stati così la risposta più adeguata. Nelle Tesi di Trieste, il documento valoriale di Fratelli d’Italia, si rifiutava il «mito dell’integrazione e del superamento della nazionalità», perché non avrebbe contribuito a realizzare un federalismo delle diversità, ma «un politburo di sapore sovietico».

Solo una «filosofia dell’identità» avrebbe allora consentito di recuperare le tradizioni culturali che l’universalismo e il multiculturalismo avrebbero cancellato.

Tutto ciò non implica certamente il progetto di un improbabile ritorno ai totalitarismi novecenteschi, sostiene Serri, ma alimenta una concezione autoritaria della democrazia, in cui il dissenso è mal tollerato da qualunque parte venga, dall’informazione, dalla stampa, dalle piazze o dalle aule universitarie. Appare paradossale che ciò accada con l’accondiscendenza dell’attuale leadership americana e che, come scrive Francis Fukuyama, le destre europee traggano ispirazione nel «vedere la più grande e antica democrazia che si muove verso il populismo».

ANSA


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