sabato 26 luglio 2025

L'America corrotta di Epstein


Mario Del Pero
L'America, non Trump, paga i costi della vicenda Epstein

Domani, 26 luglio 2025

Attaccare Obama, accusandolo addirittura di alto tradimento; giocare, nel farlo, quella carta razziale che tanto lo ha aiutato nella sua ascesa politica; minimizzare l’importanza dei segreti custoditi al dipartimento di Giustizia, così come della lunga amicizia con Jeffrey Epstein; presentarsi come vittima di teorie della cospirazione di cui, in passato, è stato il primo promotore.

Donald Trump sta usando tutti gli strumenti possibili per evitare che il dossier Epstein possa metterlo in difficoltà, incrinando il controllo ferreo di una base Maga il cui fideismo nei confronti del capo è stato fino a oggi assoluto e a prova di qualsiasi incoerenza. Un dossier, quello del sedicente finanziere e acclarato pedofilo morto in carcere sei anni fa, che sta creando non pochi problemi all’interno di un’amministrazione popolata, soprattutto all’Fbi, di persone che a lungo hanno alimentato letture cospirative tutte tese a dimostrare il legame tra Epstein e le élite globaliste, liberal e democratiche.

Che indicazioni possiamo trarre da questa vicenda e dalla storiaccia da cui prende le mosse? E può davvero mettere in difficoltà un presidente dai tassi di popolarità tanto bassi quanto immutabili, con una soglia di resistenza verso l’alto che difficilmente supera il 45 per cento e una di supporto verso il basso che non scende quasi mai sotto il 40-42?

Per quanto riguarda la seconda domanda, è difficile credere che il dossier Epstein possa indebolire in modo significativo Trump, ovvero portare a defezioni in una base definita primariamente dalla lealtà inscalfibile e dogmatica al proprio capo: ciò è immaginabile solo se quei dossier contengono rivelazioni di gravità inaudita sul presidente, la cui quasi ventennale amicizia e frequentazione con Epstein è nota; come nota – e documentata in video che circolano da tempo online – è la sua partecipazione a feste organizzate da Epstein popolate di giovani donne oggetto dei commenti talora grevi di Trump.

Video, questi, a cui si aggiungono ora i documenti che col contagocce filtrano sui media, soprattutto quel Wall Street Journal a lungo non ostile nei confronti di Trump, ma oggi critico verso la politica economica dell’amministrazione.

Trump è però sopravvissuto a scandali ben peggiori. Non pagò pegno elettorale nel 2016, quando uscì la famosa registrazione in cui si vantava, grazie alla sua fama e ricchezza, di poter impunemente «afferrare» le donne per le parti intime.

Il processo per cui è stato condannato, relativo ai pagamenti illeciti all’ex pornostar Stormy Daniels per comprarne il silenzio, ha esibito la natura di quel mondo newyorchese di soldi, corruzione, donne, media e politica entro cui Trump ha sempre operato con spregiudicatezza.

Se è vero – come sottolinea il bravo columnist conservatore del New York Times Ross Douthat – che l’insorgenza populista di una parte d’America precede l’entrata in campo di Trump, è altresì vero che è stato l’attuale presidente a darle incarnazione e sfruttarla elettoralmente, trasformando rabbia e malessere indistinti in movimento, Maga.

Al netto del danno che il dossier Epstein può causare o meno a Trump, la vicenda è rilevante: mostra quanto ampio, per il populismo attuale, possa essere lo scarto tra la demagogia dispiegata con cinismo per costruire consenso e ottenere voti e le responsabilità che conseguono quando si è chiamati a governare.

Avvelenare i pozzi del confronto democratico è facile, come abbiamo visto coi tanti deliri cospirativi alla base del trumpismo, inclusi quelli per i quali Epstein era esempio e simbolo dell’asserita corruzione di élite cosmopolite, a partire dai coniugi Clinton, sublimata da un crimine – la pedofilia – osceno nel suo simboleggiare la violazione dell’innocenza ultima intoccabile, quella dei bambini.

Iniettare tossicità in un corpo di suo già malato, come quello dell’anziana democrazia americana, è però irresponsabile e grave. Difficilmente si trasformerà in un boomerang per Trump; ma molto ci dice di quel che lui e il suo successo politico rappresentano.

Nessun commento:

Posta un commento