venerdì 25 luglio 2025

Il rifiuto della guerra in Israele


Riccardo Michelucci
Suicidi e diserzioni: i soldati israeliani non vogliono più la guerra
Avvenire, 25 luglio 2025

L’ultimo in ordine di tempo è stato il giovane paracadutista Dan Mandel Phillipson, che si è sparato durante un periodo di addestramento in una base nel sud di Israele ed è morto in ospedale pochi giorni dopo. Prima di lui il riservista Daniel Edri si era dato fuoco in un bosco nei pressi della città di Safad dopo aver trascorso un lungo periodo di servizio a Gaza. «Dopo quello che aveva visto non riusciva a liberarsi da un terribile tormento interiore», ha spiegato sua madre alla tv israeliana. Dai primi di luglio, in appena due settimane, sono già quattro i soldati dell’Idf (le Forze di difesa israeliane) che si sono tolti la vita. Quello dei suicidi nell’esercito – ben diciannove dall’inizio di quest’anno, il numero più alto di sempre – è un fenomeno spesso taciuto o minimizzato che si unisce all’aumento allarmante delle diserzioni determinando una vera e propria emergenza. Non una falla tecnica o strategica ma una profonda perdita di fiducia negli apparati dello Stato. Le operazioni in corso a Gaza ormai da quasi due anni e la conseguente catastrofe umanitaria stanno facendo vacillare il morale dei soldati aggravando la grave spaccatura interna alla società israeliana.

Ma i numeri raccontano solo una parte della storia. Le testimonianze di chi ha vissuto l’esperienza diretta parlano di un impatto devastante. Soldati tornati a casa che non riescono a scrollarsi di dosso l’incubo delle operazioni, delle perdite, delle decisioni impossibili. E così, molti scelgono di non tornare più in servizio, non per diserzione ma per una forma di resistenza silenziosa alla guerra che li ha cambiati per sempre. A ben poco è servito il fatto che l’Idf abbia attivato una linea telefonica di supporto psicologico attiva 24 ore su 24 e aumentato il numero di specialisti in salute mentale disponibili.

Il team di ricercatori dell’Università di Tel Aviv che da anni monitora il disagio psicologico all’interno dell’esercito ha rilevato che oltre il 12 per cento dei riservisti che hanno partecipato a turni di combattimento a Gaza ha sviluppato sintomi di disturbo da stress post-traumatico. Non a caso, i media israeliani hanno riportato un calo significativo dei soldati che si presentano al servizio di riserva. Molti di loro, inizialmente motivati dalla solidarietà nazionale, adesso si rifiutano di partecipare alle operazioni militari citando motivi etici e morali. La crescente disillusione è alimentata dalla mancanza di obiettivi chiari e dalla frustrazione per la continua escalation degli attacchi senza un’apparente soluzione. Nessuno può fornire numeri precisi su queste defezioni – e d’altra parte nessun partito o leader politico li chiede esplicitamente – ma secondo le stime più attendibili la percentuale di risposta dei riservisti sarebbe ormai inferiore al 50 per cento. Secondo Restart Israel, un’associazione impegnata nel reinserimento dei soldati feriti o traumatizzati, sono già circa 12mila i riservisti che si sono rifiutati di prendere parte alle operazioni a Gaza.

Le diserzioni nei ranghi dell’esercito – ufficialmente non codificate – crescono in modo esponenziale sotto forma di assenze non giustificate o di atti di disobbedienza: soldati che rifiutano di presentarsi in servizio, che trovano il modo di sottrarsi a un ulteriore tour, che si sentono traditi da un sistema che non tutela chi ha già dato tutto. E si moltiplicano anche le petizioni che chiedono la fine dei combattimenti e dipingono la campagna di Gaza come priva di obiettivi chiaramente realizzabili, accusando il governo di aver fatto trapelare la promessa di un accordo sul rilascio degli ostaggi solo per giustificare un prolungamento del conflitto. L’ultima lettera, promossa dal gruppo pacifista Soldiers for the Hostages, è stata inviata qualche settimana fa a Netanyahu, al ministro della Difesa Katz e al capo delle forze armate con la firma di una quarantina di alti ufficiali dell’Unità 8200 dell’Idf, i quali hanno annunciato che non parteciperanno più a operazioni di combattimento «chiaramente illegali» spiegando che il governo sta conducendo a Gaza una guerra «infinita e ingiustificata».

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