domenica 20 luglio 2025

Antisionismo e antisemitismo


Simona Forti
L'antisemitismo e noi. Dove si annida l'odio
La Stampa, 20 luglio 2025

L' antisemitismo, come è ovvio, esiste da secoli, e dal 7 ottobre 2023 le sue manifestazioni sono in significativo aumento. Tuttavia, a partire da quella data è sempre più difficile fissarne il significato, tracciare il profilo di chi lo pratica e, ahimè, in generale, discuterne senza azzuffarsi. Tra le esperienze più inquietanti di oggi è ascoltare politici provenienti da culture profondamente imbevute di odio antiebraico parlare in nome degli ebrei e della loro difesa. Purtroppo, però, si scopre presto che non hanno abbandonato le loro attitudini mentali, ma soltanto hanno spostato la macchina concettuale, razzista e discriminatoria, che i loro mentori – o loro stessi – utilizzavano contro gli ebrei, per prendere di mira altre categorie di persone. Ad esempio i musulmani. Che cosa è allora l’antisemitismo? È soltanto una differenza specifica del razzismo? O il razzismo è inseparabile, alla sua origine, dall’antisemitismo? E poi, chi è davvero l’ebreo vittima dell’odio? Quali sono i tratti di una supposta identità ebraica che vengono minacciati, diffamati e vituperati?

Queste domande assillano la coscienza europea almeno dalla cosiddetta “pace di Costantino”, nel 313 d.C., e cercano risposte che in realtà non possono essere che mutevoli, a seconda di quale sia la cultura egemonica del momento. C’è stato, e c’è ancora, un antisemitismo cristiano, è esistito tra Otto e Novecento un antisemitismo “scientifico” – o meglio che avrebbe voluto essere tale; c’è un antisemitismo islamico; ed esiste un antisemitismo politico che nega a Israele il diritto di esistere. Come orientarci, allora, nei discorsi contemporanei, i cui fili sono così intricati da non riuscire quasi mai a venirne a capo?

Con lo sguardo rivolto all’orrore nazista, la ricerca contemporanea di una definizione ufficiale a cui attenersi è stata costante. È interessante ricordare, come sua tappa cruciale, la dichiarazione messa a punto nel 2016 dalla International Holocaust Remembrance Alliance (Ihra), un’organizzazione intergovernativa composta da 35 Paesi, e aperta a 8 Paesi osservatori, fondata nel 1998 dall’ex primo ministro svedese Göran Persson. Adottata da 43 Stati, Italia compresa, la definizione recita: «L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei. Manifestazioni di antisemitismo verbali e fisiche sono dirette verso gli ebrei o i non ebrei e/o le loro proprietà, verso istituzioni comunitarie ebraiche e edifici utilizzati per il culto». Per specificarne il senso, è stata accompagnata da un allegato guida, articolato in 11 «esempi contemporanei». Tra questi, ben sette si concentrano sul legame tra gli ebrei e lo Stato d’Israele. Leggiamo, ad esempio: sono comportamenti antisemiti: A) «Sostenere che l'esistenza di uno Stato di Israele sia un’impresa razzista»; B) «Applicare due pesi e due misure richiedendo un comportamento che non ci si aspetta o non si richiede a nessun’altra nazione democratica». Nel 2021, un folto numero di docenti universitari per lo più israeliani e statunitensi, studiosi di genocidio, Shoah, razzismo e colonialismo, propone quella che ora viene chiamata “Dichiarazione di Gerusalemme”, una definizione che si presenta come completamento di quella del 2016. In effetti essa sembra riprenderla: «Antisemitismo – leggiamo - è discriminazione, pregiudizio, ostilità e violenza contro gli ebrei in quanto ebrei (o le istituzioni ebraiche in quanto ebraiche)». Tuttavia, anche in questo caso, le linee guida orientano assai di più della dichiarazione stessa. Rilanciata qualche mese fa da altri importanti storici, molti dei quali di origine ebraica, essa mostra chiaramente la sua natura polemica. Se nel 2016 al centro stava un’idea di antisemitismo radicata nel legame tra mondo ebraico e Israele, nel 2021 e nel 2024 il fuoco si concentra invece sulla distinzione tra mondo ebraico, sionismo, Israele. E non c’è dubbio che in questi ultimi anni il tragico sterminio che si consuma a Gaza stia complicando i termini della lotta ermeneutica sul senso del termine. Così, oltre che sulle identificazioni classiche che inchiodano l’ebreo al regno del male, manovratore occulto per brama di un potere infinito e distruttore, l’allerta nei confronti dell’antisemitismo deve oggi vigilare su una pericolosa mancanza di distinzioni. Intrisi di antisemitismo sono insomma tutti quei discorsi e quei comportamenti che invece di esercitarsi nell’arte della distinzione, procedono a formulare equazioni di pietra. Non solo quelle millenarie appena ricordate, ma anche quelle che stabiliscono che non ci sia separazione tra sionisti, nazionalisti e israeliani, tra israeliani ed ebrei, tra governo e società civile perché tutti in Israele, o, peggio ancora, tutti gli ebrei, come afferma Hamas, direttamente o indirettamente, appoggiano la distruzione dei Gazawi, l’occupazione della Cisgiordania, e da ultimo la distruzione dei musulmani. In altre parole, non sempre pronunciate ad alta voce, che tutti gli ebrei fuori e dentro la Palestina sono portatori di una colpa che devono espiare.

Va allora ribadito che per quanto semplificatorio sia identificare il sionismo con il sionismo teologico-politico che domina negli ultimi lustri in Israele, definirsi antisionisti non vuol dire macchiarsi di antisemitismo: un gran numero degli ebrei della diaspora non è sionista. Non è antisemita la critica della politica interna ed estera israeliana, i suoi presupposti e le sue istituzioni. Non è antisemita accusare di sterminio di civili il governo d’Israele, comparandolo ad esperienze politiche e storiche che si sono basate su pratiche di discriminazione e di apartheid. Non è antisemita, tutto questo, perché l’ebraismo, con buona pace di alcuni devoti cristiani e dei falchi sionisti, è anch’esso una religione e una cultura della pace, dell’eguaglianza e della giustizia, ed è in nome di questi ideali che moltissimi ebrei oggi hanno l’anima straziata.

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