Il Sole 24ore, 17 agosto 2025
Quanti libri su Dante possono uscire in un trimestre? Sembra ci siano periodi dell’anno in cui essi planano in libreria con la stessa frequenza delle stelle cadenti attorno al 10 di agosto. Donato Pirovano e Ambrogio Camozzi Pistoja hanno scritto due libri molto diversi, ma entrambi attraenti, l’uno forse più tradizionale, l’altro più innovativo.
Il primo offre una importante e leggibilissima analisi tematica di tutto Dante, da quello lirico a quello della Commedia, il tema essendo non solo le similitudini centrate sul mare (per le similitudini dantesche si vedrà il volume di Lewis, originariamente pubblicato nel 1966, con un saggio dei suoi che spazia dalle similitudini di Omero a quelle cdi Virgilio a quelle di Dante), ma il mare come uno dei centri dell’immaginazione di un poeta che, se senza dubbio ha visto il “tremolar de la marina”, non ha mai, probabilmente, navigato. Il secondo presenta una reinterpretazione totale, non facile ma originalissima, del poema dantesco a partire da, e per finire con, il concetto di “materia”.
Solo e pensoso, Pirovano misura a passi tardi e lenti i più deserti campi, e porta gli occhi per fuggire intenti ove vestigio uman l’arena stampi: il metodo gli permette di non perdere una sola immagine marina, sin dal “vasello” nel quale Dante dichiara in un celebre sonetto di voler esser “messo” per incantamento insieme a Guido Cavalcanti e Lapo Gianni, e fino all’acqua da nessuno prima mai percorsa del Paradiso, presentando anche un corredo iconografico breve ma di grande suggestione. Di ognuna di tali immagini ricerca le fonti, discute il significato nell’economia del poema, ricostruisce il contesto: compie insomma l’opera meritoria di trasformare Dante, già da qualcuno definito “poeta terragno e terrigno”, in cantore polivalente del mare: di Ulisse e degli Argonauti, del “gran mar de l’essere”, del “discorrer di Dio” sovra le acque celesti al momento della Creazione, del rinchiudersi dell’oceano sopra un vascello naufragante e del ritornare equale dell’acqua dietro la nave che “cantando varca”.
In un percorso, cioè, dall’abisso infernale, che inizia sulla “fiumana ove ’l mar non ha vanto”, alle “migliori acque” del Purgatorio, al pelago paradisiaco nel quale “nostro intelletto si profonda tanto che retro la memoria non può ire”, al tuffo di Glauco nel “trasumanar”, all’insondabile ponto della giustizia divina. Chiudendo il libro, ci si sente come dopo una lunga nuotata al largo, o come dev’essersi sentito Pigafetta dopo tre anni di circumnavigazione del globo: stanchi e rinfrescati, e pronti a rileggere i passi più coinvolgenti, molti e redatti a perfezione.
L’esperienza che si fa leggendo La materia di Dante è più accidentata, più complessa, ma anche, alla fine, premiante.
A chi gli domandava, qualche anno fa, su cosa stesse lavorando, Camozzi Pistoja avrebbe voluto rispondere: «Il fondamento materico del mondo, perché le cose sono invece di non essere, se questo mare in cui ci muoviamo ciascuno a suo porto abbia un ordine, se quest’ordine sia conoscibile, se sia effettivamente una proprietà del reale là fuori». Mi fermo, il paragrafo è troppo lungo per una recensione. Ma quella risposta che l’autore allora non dava, scegliendo la più banale (e del resto esatta) “Letteratura medievale e in particolare Dante”, è divenuta questo libro, un volume in undici sezioni che parte da un celebre articolo di Charles Singleton del 1965 nel quale veniva rivelata “una vasta sequenza simmetrica” al centro esatto della Commedia.
Dai canti centrali del Purgatorio tale simmetria si estendeva poi a macchia d’olio a coprire l’intero poema. Non è cosa da poco, e Camozzi ritrova una conformazione strutturale eptavalente nell’ “atto poietico” – “l’atto che trae in essere le cose” – in tutti gli scritti di Dante. C’è una ragione? Sì, è appunto la materia, l’ilemorfismo dantesco quale emerge, per esempio, in Paradiso XXIX: “Forma e materia, congiunte o purette”. La materia, la hyle dei greci, è come Proteo che vive in fondo al mare e a tutti sfugge, cangiando di forma. La materia, secondo Dante, è talvolta “sorda” all’“intenzion de l’arte”, cioè alle richieste della forma. Costanti quindi due effetti: la caducità e la metamorfosi, Malebolge e la bolgia dei ladri. Hével, perciò: soffio, vanitas vanitatum.
È chiaro che un percorso a spirale compiuto con inventività linguistica estrema, per così dire post-continiana, e con titolature immaginose sul piano metaforico, eppure sempre rilevanti – L’ultime fasce, I sacri arredi, Bugonia, Materiologia, Akedah, Pardès – non può essere riassunto in una recensione di giornale, ma quel che va sottolineato è che esso si fonda su un’attenzione paziente al testo, ai suoi particolari micro- e macroscopici, nonché su bibliografie ragionate capitolo per capitolo, sicché alla fine il lettore si forma un’idea completa della immensa materia di Dante, che è la stoffa stessa del mondo fisico e l’invenzione di un nuovo universo. Un libro così è di un’originalità dirompente, e a lungo rimarrà sule nostre scrivanie.
Donato Pirovano
Dante e il mare
Donzelli, pagg. 296, € 28
Ambrogio Camozzi Pistoja
La materia di Dante
Longo, Ravenna,
pagg. 292, € 24
Nel viaggio oltremondano raccontato nella Commedia, Dante rasenta una
volta sola il mare: sono le acque oceaniche che bagnano l’isola del
purgatorio nell’emisfero australe, che il poeta vede dopo essere uscito
dall’inferno. In quelle stesse acque, all’inizio della creazione è
precipitato Lucifero, e lì è naufragata la nave di Ulisse, dopo che l’eroe
greco aveva convinto i suoi compagni a lanciarsi oltre le Colonne d’Ercole.
Il Mar Mediterraneo è invece presente nei racconti di personaggi incontrati
lungo il cammino, da Francesca a Folchetto di Marsiglia, da Pier da Medicina
a Sapia. Il mare nostrum si intravede anche nei miti che interagiscono con la
poesia dantesca: Glauco, la Sirena, Ero e Leandro, gli Argonauti. Tuttavia, è
nel tessuto metaforico che il mare fa sentire maggiormente il rumore dei
suoi flutti, a partire dalla similitudine con cui si apre il poema, quella di un
naufrago che scruta le acque alle quali è sopravvissuto, fino all’immagine
del canto finale del Paradiso, in cui Nettuno guarda meravigliato l’ombra
di Argo, la prima nave che ha solcato il suo regno. C’è poi una metafora
antica che Dante rende sua e rinnova, quella della poesia come
navigazione, che apre mirabilmente le ultime due cantiche e innerva l’intera
struttura del poema. Quello del mare è un tema ricorrente nella
Commedia, ma è presente in quasi tutte le opere di Dante; dato
curioso, visto che molto probabilmente egli non ebbe mai occasione di
solcarlo. Si tratta di un argomento sterminato, ricco di sfaccettature,
oltre che di implicazioni letterarie e filosofiche, spesso toccato dalla critica,
ma fino a oggi mai affrontato compiutamente in una monografia. Il libro di
Pirovano colma questa lacuna offrendo un’analisi completa della
presenza del mare, fisico e metaforico, nel corpus dantesco.
Donato Pirovano
Donato Pirovano è professore ordinario di filologia e critica dantesca
all’Università di Milano. Socio dell’Accademia delle scienze di Torino,
ha tenuto pubbliche letture dantesche presso varie istituzioni culturali
e università in Italia e all’estero. Nel 2015 ha curato una nuova
edizione criticamente rivista e commentata della Vita nuova.
Per i tipi della Donzelli ha pubblicato Amore e colpa. Dante e
Francesca (2021) e La nudità di Beatrice. Dante, Giotto,
Ambrogio Lorenzetti e l’iconografia della Carità (2023).