Adriana Cerretelli, L'Unione europea riparte da Berlino, Il Sole 24ore, 25 febbraio 2025
Chi mai avrebbe potuto immaginare, in quell’alba tragica del 24 febbraio 2022, quando i carri armati russi aggredirono l’Ucraina, [...] che tre anni dopo quella stessa guerra avrebbe travolto l’intera l’Europa e insieme ad essa quasi 80 anni di Alleanza atlantica?
Che, all’improvviso, Ucraina ed Europa avrebbero dovuto ricominciare da zero, ricostruirsi su fondamenta pericolanti, strangolate dalla manovra di accerchiamento orchestrata dal violento imperialismo territoriale di Vladimir Putin e dalla conclamata complicità dell’America First di Donald Trump, lo spregiudicato rider di alleanze intercambiabili, fuori l’Europa, dentro la Russia sognando di sbaragliare insieme la Cina?
Per l’Europa tradita dal suo storico alleato, unica notizia positiva in coincidenza di un fosco anniversario e ore disgraziate, l’esito delle elezioni in Germania: la vittoria, non trionfale, della Cdu-Csu del futuro cancelliere Friedrich Merz e la rinascita della Grosse Koalition con i socialdemocratici sconfitti e allo sbando del cancelliere uscente Olaf Scholz.
In breve, la promessa del recupero di stabilità politica, capacità di azione, autoriforme e decisionismo da parte del suo Paese leader, reduce da un triennio trascorso in ibernazione tra liti politiche, una profonda crisi industrial-infrastrutturale, recessione economica. E, soprattutto, un modello di sviluppo coltivato da 15 anni di merkelismo - petrolio russo a buon mercato, stretto connubio economico con la Cina, sicurezza garantita dallo scudo americano - clamorosamente bocciato dalla nuova geopolitica mondiale.
Merz, l’arcinemico di Angela, sconfitto e risorto 20 anni dopo, dovrà ripartire da quelle macerie per rifare la Germania e l’Europa, che inevitabilmente ha introiettato negli anni virtù ma anche vizi tedeschi.
Non sarà facile. E non solo perché le urne, che hanno registrato un’affluenza dell’84% senza precedenti dal 1990, l’anno della riunificazione, hanno anche rafforzato gli estremismi di destra (raddoppiata) e sinistra e ribadito la palese spaccatura Est-Ovest del paese.
Ma anche perché, con una maggioranza di soli 12 voti, Merz dovrà riuscire a riformare, investire e far ripartire un modello di sviluppo ingolfato, diventare il regista di una nuova Europa quasi tutta da rifare, risolvere il rebus dei rapporti con la nuova America di Trump, l’Ucraina da sostenere e la Russia di Putin.
Tutti terreni minati.
Quello europeo sarà il test più decisivo. Saltate le garanzie atlantiche di sicurezza militare e anche economica, dazi docet, Germania ed Europa dovranno serrare i ranghi superando il vecchio dilemma, Germania europea o Europa tedesca: solo insieme potranno sopravvivere. Cooptando l’Ucraina, aiuti alla sua ricostruzione e sicurezza.
Impresa titanica: passa per una rivoluzione culturale, dal pacifismo al neo-militarismo, una istituzionale mirata a una nuova governabilità fatta di efficienza e tempestività decisionale oggi inesistenti, una rivoluzione deregolatoria e integrativa per rilanciare competitività, industria anche militare, high tech, transizioni verde e digitale più sensate, rivoluzione finanziaria per mobilitare gli enormi capitali necessari alla svolta.
«L’Europa deve essere in grado di difendere se stessa, non può più contare sul fatto che Trump onori le garanzie Nato»: l’ammissione di Merz abbatte con una frase il muro di incomunicabilità tra l’irriducibile atlantismo della Germania del dopoguerra e il solitario autonomismo della Francia e pone le basi di un’integrazione prima impossibile.
Punta al recupero dell’intesa franco-tedesca, il nuovo cancelliere, ma aggiornata alla nuova geopolitica dell’Unione a 27, il cui baricentro guarda sempre più a Est. Quindi governance formato Weimar, triumvirato tra Berlino, Parigi e Varsavia, senza ignorare Italia, Spagna. E nemmeno Baltici e Scandinavi. Magari una Nato europea da “riciclare” nel modello e strutture operative.
Come procedere e finanziare la rinascita dell’Europa e con quale consenso politico tra Governi deboli nazionalismi forti di estrema destra e sinistra, cioè margini di manovra ridotti?
Con il cemento della paura, la consapevolezza che il vecchio mondo è finito. Peccato che in giro non si vedano grandi leader per spiegarlo ai cittadini. No, uno c’è, Volodymyr Zelensky, il piccolo grande uomo che si batte e non molla, Davide contro i Golia russo e americano.
Un esempio.