Adriano Sofri
Andrea Papaleo è morto oggi nel suo piccolo paese in Calabria, che ha un nome lungo e discorsivo, Sant'Andrea Apostolo dello Jonio. Come altri più noti paesi vicini, da Riace a Badolato, ha una bella e lunga spiaggia con la montagna a ridosso. Quando, pochi anni fa, ha deciso di lasciare Torino e tornarci, Andrea pensava soprattutto al mare. In tutto questo tempo non ha mai smesso di invitarci ad andare a trovare lui e il suo mare, e ora è tardi. Era fra gli operai della Fiat coi quali ho tenuto, in gran parte per merito suo, rapporti più frequenti. Di parole poche e decisive com'era, aveva avuto cura di una rete di rapporti le cui maglie si allargavano col tempo, e a volte si strappavano. Nello scorso luglio, era stato lui ad avvisare della morte di un altro ammirevole militante operaio, Andrea Pupillo, anche lui tornato da Torino alla sua Calatafimi.
Papaleo era stato protagonista della stagione che trasformò Torino, nel '68 e soprattutto nella primavera e nell'autunno del '69, da capitale dell'auto a capitale della lotta operaia. Il suo posto erano le Carrozzerie di Mirafiori, la Verniciatura, le leggendarie Porte 1 e 2, e i suoi compagni erano giovani meridionali fieri, lucidi e coraggiosi come lui, e alcuni pochi veterani piemontesi, eredi di una storia di resistenza al fascismo prima e poi alla repressione gialla che aveva fatto della fabbrica una caserma, a lui carissimi, come Luciano Parlanti o Franco Platania. Non era mai successo che i luoghi severamente vietati agli estranei e guardati a vista da polizie pubbliche e private venissero aperti alla solidarietà fraterna e felice di lavoratori lavoratrici, studentesse e studenti, e tante altre persone che non mancarono l'occasione di riconoscere se stesse e riconoscersi le une nelle altre. Dieci anni dopo, la Fiat riuscì a vendicarsi di quella sfida, prima colpendo loro, le avanguardie, quelli che si erano fatti un nome buono da denunciare e calunniare, poi le migliaia.
Vieni a godere del mare d'inverno, diceva. Poco fa mi ha raccontato della sua malattia, dell'ospedale di Soverato, del proposito, suo e dei suoi, di venire forse a curarsi in Toscana. A distanza di giorni già faticava a parlare. Tre settimane fa era morto Franco Piperno. Anche lui, che di professione e vocazione era un fisico, era tornato da molto tempo in Calabria, e si era procurato una lunga parte della vita impegnata e generosa quanto era stata quella degli anni giovani. Non erano durati tanto gli anni giovani, la Lotta Continua di Andrea, il Potere Operaio di Franco. Non è solo in ricordo di quegli anni che ci siamo voluti bene da vivi, e che vogliamo tanto bene a quelle e quelli che per i capricci della sorte ci precedono.
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