martedì 18 febbraio 2025

Calvino e la resistenza armata


Ivar Oddone (Kim) è il primo a sinistra

Un certo numero di persone in Italia, dopo l'8 settembre 1943, nelle regioni occupate dalle truppe tedesche, decisero di darsi alla macchia e di animare la resistenza. Forse il più celebre dei testi che trattano del tema è stato scritto da Beppe Fenoglio e si trova nel romanzo Il partigiano Johnny. Sono le parole poste in apertura: «Johnny stava osservando la sua città dalla finestra della villetta collinare che la sua famiglia s’era precipitata ad affittargli per imboscarlo dopo il suo imprevisto, insperato rientro dalla lontana, tragica Roma fra le settemplici maglie tedesche. Lo spettacolo dell’8 settembre locale, la resa di una caserma con dentro un intero reggimento davanti a due autoblindo tedesche not entirely manned, la deportazione in Germania in vagoni piombati avevano tutti convinto, familiari ed hangers-on, che Johnny non sarebbe mai tornato». Lo spettacolo è ributtante, il personaggio contrariamente alle apparenze non si è volatilizzato, torna a casa dai genitori, di primissima mattina, prende la sua roba e poi torna di nuovo  «sulla collina, in imboscamento». Johnny non sarebbe mai tornato e tuttavia, nel romanzo come nella realtà, passano alcuni mesi prima che scatti il passaggio all'azione. Già in dicembre Beppe partecipa con il fratello Walter all'assalto alla caserma dei carabinieri di Alba, con il risultato di liberare i padri dei renitenti di leva trattenuti in ostaggio. Il mese dopo, il passaggio all'azione è ancora più netto:  "Voglio entrare nei partigiani, con voi". Dopo qualche tentennamento degli interlocutori la saldatura si compie e il coinvolgimento nella guerra partigiana può avere inizio. 
Anche Calvino dopo l'8 settembre in un primo tempo si nasconde. Quando, il 9 novembre 1923, esce il bando del generale Graziani per la chiamata alle armi delle classi 1923, 1924 e 1925, Italo che è nato il 15 ottobre 1943 non si presenta e passa ancora alcuni mesi nascosto nella campagna paterna di San Giovanni.
Nella zona di Sanremo la presenza dei partigiani comunisti in armi sul territorio si fa sentire, il 27 gennaio 1944 il medico Felice Cascione, comunista, viene ucciso in combattimento a Monte Alto, in provincia di Savona. Quando in febbraio si sparge la notizia, il giovane renitente alla leva entra in rapporto con dei compagni operai e decide di aderire al PCI. Cura allora la propaganda comunista tra gli studenti. In marzo lo troviamo ricoverato all'ospedale militare di Genova, dove cerca di farsi riformare. Qualcosa ottiene, perché non parte soldato ma tra maggio e giugno presta servizio sedentario come scritturale presso il tribunale militare di Sanremo. Solo a metà giugno si dà di nuovo alla fuga e si arruola con il nome di Santiago nel XVI distaccamento della IX Brigata Garibaldi. Non per nulla era nato a Cuba in un villaggio nei pressi dell'Avana, Santiago de las Vegas.

Qui comincia per Italo Calvino una esperienza partigiana che procede a sbalzi, tra fasi di impegno e interruzioni ripetute. Il XVI  distaccamento va in pezzi alla fine di giugno dopo una sconfitta sul campo. Di nuovo si impone un soggiorno a San Giovanni. Dopo alcune settimane, il 15 agosto c'è un nuovo arruolamento con l'aggiunta del diciassettenne fratello Floriano. Si uniscono a una banda badogliana che, dopo aver fronteggiato per due volte il nemico,  il 20 settembre si dissolve.  Trascorse in estate alcune settimane al riparo nei poderi di famiglia, si arruola di nuovo, sempre col fratello Floriano, stavolta in una banda 'azzurra', cioè badogliana, che dopo due scontri con i nazifascisti (Coldirodi e Baiardo) si scioglie il 20 settembre. Tra ottobre e novembre 1944 fa parte, ancora con Floriano, della brigata garibaldina sanremese Giacomo Matteotti. I tedeschi prendono in ostaggio entrambi i loro genitori, simulando per tre volte la fucilazione di Mario Calvino sotto gli occhi della moglie. Catturato in un rastrellamento, Italo evita la fucilazione immediata grazie a un foglio di licenza militare contraffatto. Messo in carcere, è costretto a integrare i ranghi dei soldati fedeli alla Repubblica sociale italiana (RSI) ma riesce a fuggire dopo tre settimane e si rifugia nella tenuta familiare di San Giovanni, in collina, restandovi fino al febbraio successivo. A quel punto, Italo e Floriano si uniscono alla II divisione d'assalto garibaldina Felice Cascione e non escono più dalle file partigiane fino alla liberazione.  
Lungo tutto questo percorso i reparti ai quali appartengono i due fratelli si trovano più volte impegnati in scontri con le truppe nemiche, nel giugno del 1944, a Carpenosa e Sella Carpe, nel settembre di quell'anno a Coldirodi, nel marzo 1945 a Baiardo. Ricordiamo solo quelli che ci sono sembrati più importanti. La resistenza forma poi l'oggetto di alcune tra le opere narrative dello scrittore Calvino. Ci sono i tre racconti che figurano nella raccolta Ultimo viene il corvo del 1949: La stessa cosa del sangueAttesa della morte in un albergo Angoscia in caserma. Racconti nei quali la narrazione era troppo diretta, non mediata come sarebbe stata poi in tutta l'opera successiva dello scrittore e segnatamente nel Sentiero dei nidi di ragno, il romanzo che più a lungo tratta dell'esperienza partigiana.  
Cerchiamo ora di capire in che modo lo scrittore si accosta agli avvenimenti di quel periodo  storico. La guerra partigiana è collocata sullo sfondo. Gli accenni agli scontri in armi sono quanto mai rari, una buona quindicina di righe in tutto tra i tre racconti e il romanzo. Colpisce la differenza con Fenoglio che con grande naturalezza e in modo esteso presenta gli sviluppi effettivi della guerriglia. Già solo l'assalto alla caserma - il fatto di forza, lo chiama - del dicembre 1943 occupa diverse pagine del 
Partigiano Johnny. Nel quinto capitolo troviamo l'adesione alla lotta partigiana. Due capitoli dopo (i capitoli sono trentasei in tutto), si arriva a uno scontro militare in piena regola. All'inizio si parte da un segnale acustico: tre raffiche di mitragliatrice a valle. I fascisti in perlustrazione avanzano senza farsi vedere. I partigiani si stendono di nascosto a scacchiera per poi sparare "quasi alla cieca, senza volontà di colpire, solo come per squarciare quella sospesa atmosfera di miraggio. Le pattuglie ruzzola[ro]no indenni nel boschivo, e il grande fuoco comincia". Johnny si sistema per poter tirare sugli scoperti, sui balzanti: "Il ragazzo danzava a trenta metri, accecato dal suo stesso coraggio [...] Johnny gli sparò senza affanno, senza ferocia, ed il ragazzo cadde, lentamente, così come Johnny lentamente si aderse sui gomiti, nell'ascensionale sospensione davanti al suo primo morto". 
Per Calvino il 
Ricordo di una battaglia diventa oggetto di un articolo che esce sul Corriere della Sera il 25 aprile 1974. Il riferimento storico è a un episodio che si è verificato il 17 marzo 1945 in un paese a nord di Sanremo, Baiardo. Di fatto sembra essere questo l'unico caso in cui Italo Calvino da partigiano ha preso parte a uno scontro armato. Aveva a quanto risulta il ruolo di portamunizioni. In quella circostanza, i partigiani si proponevano di cacciare da Baiardo i bersaglieri della Repubblica sociale.
Lo scrittore che si era illuso di poter attingere ai suoi ricordi in qualsiasi momento senza problemi scopre invece che il passato ormai ha assunto per lui la forma di frammenti sparsi in un mare di impressioni varie sopraggiunte in tempi successivi. Certe sensazioni fisiche si sono depositate con certezza nella memoria: il dolore ai piedi chiusi nei pesanti scarponi, il sollievo provato quando, per non farsi sentire dai nemici, viene dato l'ordine di procedere scalzi. Della battaglia, invece, al reduce, dopo tanti anni, sfugge l'andamento esatto. Questo perché a suo tempo, dopo la fase dell'avvicinamento all'obiettivo dell'attacco, egli aveva avuto l'ordine di spostarsi con la sua squadra fuori del paese per tagliare i fili del telefono e per sbarrare una possibile via di fuga per il nemico. Da quel momento in poi per via degli alberi che fanno da schermo non vede più nulla, si era limitato ad ascoltare. Al silenzio che di norma precedeva l'attacco erano seguiti spari, esplosioni, raffiche di mitra, rumori che piano piano si erano affievoliti per dare luogo a un canto di gioia. Poteva essere il segno di una vittoria che premiasse gli assalitori, ma non era così, i partigiani rimasti fuori avvicinandosi al paese non tardano a scoprire che sono i fascisti a festeggiare cantando Giovinezza. E allora Calvino e i suoi si danno precipitosamente alla fuga. Si ripete il cosiddetto paradosso di Stendhal. Nella 
Certosa di Parma Fabrizio Del Dongo si viene a trovare sul campo di battaglia a Waterloo, ma stando in un angolo privo di visuale non capisce nulla di ciò che accade. Calvino se non altro ha potuto interpretare i segnali che coglieva attraverso l'ascolto, ma sul momento non avrebbe saputo dire altro. Poi parlando con gli amici che avevano preso parte allo scontro ha capito qualcosa di più. Gli attaccanti hanno provato a battersi: Gino è entrato in paese sparando, Tritolo ha gettato le sue bombe contro i bersaglieri e Cardù, di fronte all’assoluta disparità di forze in campo, ha protetto con il suo corpo la ritirata degli altri, restando colpito a morte. Cardù col segreto della sua forza nel sorriso spavaldo e tranquillo. Cardù è morto. Il tempo che è passato da allora ha consentito di elaborare il lutto per l’amico ucciso. Quello stesso tempo ha reso più pallida la memoria di ciò in quella giornata particolare era accaduto, rendendo meno lineare del solito l'esercizio della scrittura. Perché non si tratta solo di richiamare una testimonianza diretta, occorre riattivare una memoria basata su una serie di aggiunte. Solo in questo modo l'evento riacquista una sua fisionomia significativa. 

https://machiave.blogspot.com/2024/10/fabrizio-del-dongo-waterloo.html





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