Parliamo di un fenomeno preciso. Quello per cui un certo numero di persone in Italia, dopo l'8 settembre 1943, nelle regioni occupate dalle truppe tedesche, decisero di darsi alla macchia e di animare la resistenza. Forse il più celebre dei testi che trattano del tema è stato scritto da Beppe Fenoglio e si trova nel romanzo Il partigiano Johnny. Sono le parole poste in apertura: «Johnny stava osservando la sua città dalla finestra della villetta collinare che la sua famiglia s’era precipitata ad affittargli per imboscarlo dopo il suo imprevisto, insperato rientro dalla lontana, tragica Roma fra le settemplici maglie tedesche. Lo spettacolo dell’8 settembre locale, la resa di una caserma con dentro un intero reggimento davanti a due autoblindo tedesche not entirely manned, la deportazione in Germania in vagoni piombati avevano tutti convinto, familiari ed hangers-on, che Johnny non sarebbe mai tornato». Lo spettacolo è ributtante, il personaggio contrariamente alle apparenze non si è volatilizzato, torna a casa dai genitori, di primissima mattina, prende la sua roba e poi torna di nuovo «sulla collina, in imboscamento».
Tutto il resoconto poggia sull'evidenza dei fatti. La decisione irrompe subitanea, non è mai formulata a parole, si manifesta nel comportamento. Nel caso di Italo Calvino il passaggio dall'una all'altra condizione, dalla vita civile all'esistenza clandestina è molto più laborioso. Cambia la data, intanto. Il punto nodale della vicenda si colloca nell'autunno 1944, molto più in là. Il tema è svolto in tre racconti di forte impregnazione autobiografica: Angoscia in caserma, del 1945, Attesa della morte in un albergo, risalente alla fine di quell'anno, e La stessa cosa del sangue, del 1946. I tre racconti sono stati prima pubblicati in Ultimo viene il corvo del 1949, sono stati poi soppressi in due occasioni successive, per essere infine ripresi ancora in una terza edizione del Corvo nel 1976. L'andamento incerto ha una spiegazione: l'evocazione appariva all'autore «troppo legata a un appello emotivo». Diciamo pure che la narrazione era troppo diretta, non mediata come sarebbe stata poi in tutta l'opera successiva dell'autore e segnatamente nel Sentiero dei nidi di ragno, il romanzo che tratta della guerra partigiana e che venne alla luce nel 1947.
Già qualcosa, per Calvino, non era andato per il verso giusto prima ancora dell'armistizio: «Al 25 luglio ero rimasto deluso e offeso che una tragedia storica come il fascismo finisse con un atto di ordinaria amministrazione come una deliberazione del Gran Consiglio» (Un'infanzia sotto il fascismo, in Eremita a Parigi, Pagine autobiografiche, Mondadori, Milano 1993). Un anno dopo, nel 1948, esce La casa in collina di Cesare Pavese. In questo romanzo, il 25 luglio occupa un intero capitolo. Ciò che colpisce è lo sguardo esterno con il quale l'evento è percepito. La vita pubblica si situa da un'altra parte rispetto al luogo, la collina, in cui si muovono di norma i protagonisti della vicenda narrata. La notizia stessa è oggetto di un «racconto»: Elvira «mi gridò attraverso la porta che la guerra era finita. Allora entrò dentro e, senza guardarmi ché mi vestivo, mi raccontò rossa in faccia, che Mussolini era stato rovesciato». Nella successione delle frasi, si può cogliere subito l'equivoco di quella giornata. Nel comunicato letto alla radio, il nuovo capo del governo, il maresciallo Badoglio aveva detto chiaramente che la guerra sarebbe continuata. Pochi ci badarono. In molti credettero che la guerra fosse davvero finita. «Torino era a due passi, remota». Da Pavese si ricava alla fine dell'episodio una conclusione incerta. Lo scontro che ci sarà, che ci dovrà essere, è solo rimandato: «Sapevo bene che non sarebbe durata» - pensa Corrado, il protagonista del romanzo, ma è come se demandasse ad altri il compito di reagire.
Invece per Calvino il problema di reagire, di fare qualcosa, si pone con sempre maggiore urgenza via via che il tempo passa. L'albergo è un carcere, in realtà, un albergo che funge da carcere.
Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny, Einaudi, Torino 1968 (incipit)
Intanto nel villaggio il meccanico, che poi si scoprirà essere membro del Partito Operaio Socialdemocratico Russo, Josof Davidovič Štokman, intercetta l’interesse di alcuni cosacchi, in particolar modo di Ivan Alekseevič, Michail Koševoj e del mugnaio Valet.
Nessun commento:
Posta un commento