sabato 15 febbraio 2025

L'ultima spiaggia del capitalismo

 


Thomas Piketty, Il socialismo del futuro. Cronache, trad. S. Arecco
Baldini & Castoldi, Milano 2024

Se nel 1990 mi avessero detto che avrei pubblicato una raccolta di "Cronache" intitolata "Il socialismo del futuro", avrei creduto a uno scherzo di cattivo gusto. Dall'alto dei miei diciotto anni, avevo trascorso l'autunno 1989 ad ascoltare alla radio le notizie sul collasso delle dittature comuniste e del "socialismo reale" nell'Est Europa. Ma eccoci qui: trent'anni dopo l'ultracapitalismo ha passato ogni limite e, oggi, ritengo necessario riflettere sia su un nuovo superamento del capitalismo, sia su una nuova forma di socialismo, partecipativo e decentrato, federale e democratico, ecologico, multiculturale e femminista. La storia deciderà se la parola "socialismo" debba considerarsi definitivamente estinta ed essere sostituita. Io penso, per parte mia, che possa essere salvata. Non solo: penso che "socialismo" resti il termine più adatto per significare l'idea di un sistema economico alternativo al capitalismo. In tutti i casi, non è possibile limitarsi a essere "contro" il capitalismo o il neoliberismo: occorre anche e soprattutto essere "pro", favorevoli a qualcos'altro. Il che ci obbliga a individuare con precisione il sistema economico ideale che si desidera adottare, la società ugualitaria che si ha in mente, a prescindere dal nome che alla fine si deciderà di assegnarle. È diventato d'uso corrente dire che il sistema capitalista attuale non ha futuro, poiché accresce le disuguaglianze e annienta il pianeta. Non è scorretto dirlo, salvo che, in assenza di un'alternativa chiaramente espressa, l'attuale sistema ha ancora, di sicuro, una lunga vita davanti a sé.

Alfio Mastropaolo, Sdemocratizzazione, l'ultima spiaggia del capitalismo
il manifesto, 14 febbraio 2025

Sgombrando la paccottiglia populista venduta nei mercatini mediatici e accademici per trent’anni, la rielezione di Trump e il governo Meloni hanno rimesso in primo piano il suprematismo bianco in America e in Europa il nazionalismo etno-identitario.

Che minaccioso dilaga anche fuori dall’occidente. La derivazione della destra ultrà italiana palesemente deriva dal nazionalismo del primo Novecento. Tramite il fascismo, che ne fu forma estrema. Benché paia aver appreso i riti ufficiali della democrazia, non a caso cela a fatica la sua insofferenza. Donde la ferocia con cui cambia le norme, e rimuove ogni contropotere, che contrastino le sue intenzioni. A confermare la sua ascendenza, l’ha celebrata in pompa magna con una discussa mostra sul futurismo. Di qui breve è il passo alla grande tradizione reazionaria, sorta al tempo della Rivoluzione francese. Anti universalista, anti pluralista, anti politica, anti diritti dell’uomo, razzista, fatta d’idee, movimenti, partiti, tale tradizione è variegata e incoerente. Ma è l’altro polo della modernità politica, opponendo l’autocrazia a quell’insieme di tecniche di governo collegiale e condiviso che chiamiamo rappresentativo-democratiche. Da due secoli è la vera alternanza che agita l’Europa.

Viene rilegittimata la tradizione reazionaria dal «fascismo edulcorato», come l’ha definito Marc Lazar, di Berlusconi: il dolcificante con Meloni è finito. Purtroppo, non è il solo nemico del governo rappresentativo-democratico e dei valori sedimentati intorno ad esso. Non meno temibile è il capitalismo. L’inimicizia stavolta è più complessa. I ceti capitalistici nascenti furono decisivi per inventare il governo rappresentativo. Che non ha ancora imparato a fare a meno del capitalismo. Mentre non è vero il contrario. Ciò non toglie – la socialdemocrazia ne era consapevole – che il contrasto sia irriducibile. Il capitalismo si fonda sul primato dell’interesse privato. Il governo rappresentativo, pur se la pratica corrisponde di rado, si legittima invocando il bene pubblico. Benché possano convivere, la democrazia deve stare bene in guardia.

Ogni qualvolta l’autocrazia è prevalsa, i capitalisti – e i loro portavoce politici – erano in maggioranza dalla sua parte. Forse sta di nuovo accadendo. Le società democratiche paiono giunte al culmine di un percorso inesorabile di sdemocratizzazione intrapreso negli anni ‘70, in coincidenza con la crisi della manifattura e il declino dei profitti manifestatosi in quel momento. Da allora, la sdemocratizzazione è occorsa a più livelli. Il postfordismo ha devastato, senza opposizioni, il mondo del lavoro, la cui presenza organizzata era un contropotere fondamentale; welfare e diritti sociali sono stati smantellati; il solidarismo faticosamente penetrato nel senso comune ha ceduto il passo all’utilitarismo egoistico, alla riuscita personale, al merito, alla proprietà privata promossi a valori prioritari. Infine, sottomesse le amministrazioni pubbliche a una pelosa privatizzazione che le ha rese impotenti, sono state riscritte le regole della contesa politica. Chi vince la lotteria elettorale, si dice, è stato intronizzato dal popolo sovrano e governa perciò senza vincoli.

L’ultima mossa dell’odierna rapace variante di capitalismo è il suo pronunciamento a favore della destra ultrà. Già ha messo a sua disposizione mezzi finanziari e un’enorme potenza di fuoco mediatica, anzitutto esasperando la questione migratoria. Come negli anni 20 e 30 del Novecento, moderati e liberali spesso si accodano. Mentre le sinistre pagano i loro cedimenti. Quattro sopra tutti: hanno abbandonato la rappresentanza del mondo del lavoro e dei più deboli, hanno condiviso l’ubriacatura maggioritaria e hanno delegato ai tecnici, hanno soprattutto celebrato il capitalismo come dispositivo neutro e virtuoso: che faccia senza intralci il suo mestiere.

In realtà, il matrimonio con la destra ultrà può essere segno che il capitalismo occidentale sta incontrando difficoltà molto serie. Il neoliberismo ha perso smalto, l’assedio delle potenze emergenti è sempre più stringente, la crisi climatica è in atto. L’occidente a guida americana detiene paurosi mezzi militari, ma sul terreno della competitività perde colpi e i cittadini sono inquieti. Benedetta dagli elettori, l’inclinazione alla brutalità dell’ultradestra potrebbe sottomettere chi provi a resistere. Non fosse che le sfide che favoriscono il matrimonio fanno tremare i polsi, mentre le società occidentali sono troppo complesse per arrendersi come un secolo fa. La brutalità si può usare sui migranti che sono indifesi, con i nativi serve più cautela.

Orbene, se da qualche parte c’è una sinistra d’opposizione, disposta a far ammenda dei suoi errori, sarebbe suo compito accelerare il processo. Oltre denunciare gli oltraggi alla democrazia, facendosi apertamente portavoce delle vittime del capitalismo rapace, pianeta incluso; riscoprendo la democrazia come governo condiviso della cosa pubblica; rammentandosi che il capitalismo non è un dispositivo impersonale, ma un sistema di potere. Non avendo ancora appreso come liberarcene, nei suoi confronti si può riassumere una postura critica: per disciplinarlo, restringerlo e contrastarlo. Si può tornare a programmare e, in alcune sfere, va sostituito. Non è impossibile.

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