sabato 15 febbraio 2025

Baricco e Ferraris su Vattimo

 


Francesco Rigatelli, Filosofi si diventa, La Stampa, 15 febbraio 2025

Per Baricco «fu una fortuna frequentare l'università in quegli anni e trovare Vattimo come professore. Ci si sentiva fighi perché si partecipava alla sua torsione teorica, lui ci invitava, ci presentava i grandi da Derrida a Rorty, ci parlava di pensiero debole, ermeneutica, Heidegger, trasmettendoci uno stile, un taglio sulle cose, un tratto antimetafisico dell'interpretazione. Era un diamante in un'università abbastanza triste. Con lui avevi l'impressione come poche volte poi nella vita di essere dove stava succedendo qualcosa che avresti raccontato per sempre, e infatti eccoci qui».

Ferraris si ritrova nella descrizione di Baricco, «anche se non mi sono mai sentito al centro di niente e men che meno della storia. Certo si è rievocato troppo poco il ruolo importante di Vattimo nel pensiero europeo e internazionale. Vorrei ricordare allora ciò che forse entrambi abbiamo imparato da lui. Il suo insegnamento fondamentale era di mettere dell'ironia in quel che si fa. Un'aggiunta totalmente sua e di Eco rispetto all'esempio dei loro maestri Pareyson e Guzzo, che ne erano purtroppo privi. La sua seconda lezione era la chiarezza, la necessità di spiegare i concetti».
Baricco tributa alla filosofia l'avergli dato «un'architettura del movimento mentale, tornata utile più che per il linguaggio letterario per la scrittura dei miei saggi I barbari e The game, che a 67 anni posso dire di aver sempre considerato filosofici. Il mio tentativo è stato di rifarmi alla muscolarità della filosofia, che in poche parole contiene tanto senso. Ho provato a miscelare la pesantezza con la brillantezza come faceva Vattimo. Da lui ho imparato che non bisogna scrivere nulla che non faccia ridere almeno in un punto e che più il tema è difficile più bisogna alleggerire. Ricordo ancora la sua spiegazione dell'etica kantiana tirando fuori dei gettoni dalla tasca e inchiodandoci con un esempio: «Due di notte al semaforo, scatta il rosso, non passa nessuno: ci fermiamo o no?».
Il racconto immaginifico di Baricco richiama gli aneddoti di Ferraris: «Quando Vattimo ci spiegava il sapere assoluto in Hegel diceva "Uno prende l'ascensore e sa come funziona". Oggi direbbe "uno che usa lo smartphone sa come funziona". Da lui ho imparato a cercare di essere ironico e chiaro. Il risultato è che tutti pensano che mi diverta un mondo a lavorare, mentre invece soffro tantissimo».
«Maurizio e io - scherza lo scrittore - sembriamo un po' sbolinati perché i filosofi rielaborano continuamente le proprie idee. Stiamo spesso sovrappensiero a limare quel che abbiamo già detto. Vattimo aveva una visione radicale secondo cui le cose sono ontologicamente leggere e ironiche, altrimenti non sono. Così ho sempre pensato che se dico una cosa non leggera e non ironica non è vera, è sbagliata e non ho capito qualcosa. Sto scrivendo un libro sulla musica classica e se mi rileggo e lo trovo pesante temo di non aver capito e mi metto a riascoltare la musica. Questo succedeva anche a Eco e ad altri grandi autori come Salinger. Più beccavano il cuore delle cose più erano leggeri. Detto ciò, la scrittura letteraria è diversa dal raccontare filosofico di Vattimo o di Ferraris. Significa pensare una storia, inventarla, darle una densità, una distanza e scriverla. In comune c è il desiderio di capire il mondo, ma questo lo vogliono fare anche gli uomini marketing, non solo noi».
Anche secondo Ferraris «Vattimo teorizzava che tutto era davvero leggero, anche quello che si riteneva sacro e inviolabile. L'idea di pensiero debole era l'esito di questa riflessione. Inizialmente ero d'accordo poi purtroppo ho cambiato idea. Dico purtroppo perché questo mi ha portato a litigare con Vattimo. Gli dissi che se pensava che tutto fosse leggero il suo erede era Baricco, perché l'esito del pensiero debole è la narrazione, la letteratura. Non c'è una soglia oltre cui decostruire e interpretare se non raccontare. Ora da allievo apostata di Vattimo posso dire che la scrittura è l'unica cosa che non mi ha mai abbandonato e a cui posso sempre ritornare».
Baricco la disfida con Vattimo se l'è persa «anche perché mi dispiaceva, ma il problema di Maurizio era quello di molti e cioè come tradurre certi insegnamenti nella vita di tutti i giorni. All'università filosofia era storia, teoretica, estetica, non c'era traccia di esercizio spirituale. Ci ho messo tutta la vita per scoprire che invece era un sapere più grande che non stava mai da solo. Una forma sapienziale di stare al mondo. Il primo saggio di Cartesio è sulle regole matematiche della musica. Leibniz ha scritto di tutto. I greci figuriamoci. I filosofi da Kant a Nietzsche con sintesi, rigore, autodisciplina e linguaggio ricco hanno disegnato una postura verso il mondo. Per questo restano un riferimento».
Ferraris sottoscrive: «Sicuramente la filosofia dovrebbe insegnare a stare al mondo, atteggiamento verso cui ho sempre avuto un certo ritegno. Significa per esempio diventare saggi, e io non ho mai voluto diventarlo col risultato che sono diventato vecchio senza diventare saggio. Sulla ricerca della filosofia Eco diceva che si tratta di una forma molto elevata di dilettantismo. Il filosofo ha una capacità di sintesi maggiore del vero esperto. La filosofia poi non può essere solo dilettantismo, ma deve conservare l'ambizione di andare al di là dei limiti di una sola disciplina. Almeno per far piacere a chi la legge». —

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