sabato 8 febbraio 2025

La voce della padrona





Mario SechiLa rivoluzione americana e quella di Roma
Libero, 8 febbraio 2025

Nell’Europa sonnambula, Giorgia Meloni ha colto l’onda e la cavalca: gli Stati Uniti con Donald Trump non sono più una potenza che cade sulla scala dell’Air Force One, sono tornati ad essere una forza trasformatrice del mondo.

I cambiamenti politici e sociali arrivano come uno tsunami quando altre istituzioni perdono il contatto con la realtà e il popolo non crede più in quello che dicono, fanno, predicano. È il momento della caduta degli dèi, si sta sgretolando un ordine mondiale che non regge più di fronte alle sfide del presente.

Ieri e oggi s’intrecciano. Tra il 1944 e il 1951 gli Stati Uniti costruirono gli accordi di Bretton Woods, le Nazioni Unite, la Nato, il trattato di sicurezza tra Giappone e America. Siamo entrati in un’altra puntata del romanzo occidentale e, ancora una volta, è l’America a innescare il cambiamento. Meloni ha costruito un rapporto con Trump, la premier è una figura chiave nell’Ue, il filo tra Palazzo Chigi e la Casa Bianca è diretto. L’Onu e la Corte penale internazione sono organismi falliti, il destino dell’Europa non passa dal Palazzo di Vetro dove ballano satrapi e antisemiti; la sicurezza dell’Italia non dipende da un tribunale squalificato con sede a l’Aia. Il futuro dell’Italia è nel rapporto con Washington, così il governo Meloni crea e rafforza una rete di alleanze che si estende dall’Atlantico al Mediterraneo, fino all’Indo-Pacifico. La partenza è impressionante: Trump incontrerà Zelensky e parlerà con Putin; ha ricompattato il governo di Israele su Gaza e archiviato la formula “due popoli, due Stati”; ha incontrato il premier del Giappone e avvisato la Cina; firma ordini esecutivi che smontano la rovina della cultura woke. I democratici sono a pezzi, l’Europa incipriata dei tribunali e della buoncostume delle idee balbetta. L’Italia con la vittoria elettorale di Meloni ha anticipato i tempi e se Trump è l’America, allora noi stiamo con l’America.


Andrea Lavazza
Il ripasso di storia che serve per capire quanto conta la Corte dell'Aja

Avvenire, 8 febbraio 2025


... Considerando la fragilità dell’istituzione nelle sue fasi iniziali, una maggiore prudenza politica avrebbe potuto rafforzarne l’azione. Il fatto che la Cpi abbia messo sotto accusa i vertici di Mosca, Tel Aviv e i nuovi padroni dell’Afghanistan, mentre da vent’anni non riesce a portare in tribunale nemmeno Joseph Kony, leader delle milizie ugandesi, è stato considerato da molti un azzardo. Perché la probabilità di vedere alla sbarra il capo del Cremlino, il premier dello Stato ebraico e i leader di Kabul resta molto bassa, mentre il contraccolpo per i provvedimenti è stato fortissimo. Dispiace, in ogni caso, vedere che il governo italiano, per la mal gestita vicenda del generale libico Osama Almasri, si ponga adesso tra i nemici della Cpi. Si può contestare la conduzione di un singolo caso. Metterne in discussione l’operato e delegittimarla significa però minare il diritto internazionale stesso. E affossare quell’aspirazione a una giustizia universale che è compagna indispensabile della pace e della convivenza rispettosa fra le nazioni.

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