sabato 6 dicembre 2025

Uno Šostakovič all'opera per Sant'Ambrogio

Sara Jakubiak, soprano nel ruolo di Katerina

Alberto Mattioli
Lady Macbeth senza tabù, ecco 10 buone ragioni per vedere la prima alla Scala
La Stampa, 6 dicembre 2025

Allora, ci siamo. Domani, giorno di Sant’Ambrogio patrono di Milano e dei melomani, si ripete il rito laico sempre uguale e sempre nuovo della Prima della Scala. Quest’anno si va sul difficile, anche se, russo a parte, meno di quanto si può temere, perché in realtà l’opera è immediata e cattura: Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk (1934) di Dmitrij Sostakovic. Gossip e politica, pare, quasi a zero: nel palco reale, niente Mattarella né Meloni e neppure La Russa. Il più alto in grado sarà il ministro Giuli, e confidiamo che ci stupisca con uno dei suoi soliti outfit sfrenatamente dannunziani (del resto, anche Sostakovic da giovane era un dandy, prima di passare a cupe grisaglie o meste camicie a maniche corte da socialismo reale e malvestito). La messa cantata inizia alle 18 su Rai1, concelebrano Milly Carlucci e Bruno Vespa. Ecco dieci ragioni, si spera buone, per vedersi questa Lady Macbeth.

1 Perché è un capolavoro. Qui l’ha detta giusta il sovrintendente della Scala, Fortunato Ortombina: a differenza di quel che si dice sempre, la Lady Macbeth non è uno dei capolavori del 900, ma uno dei capolavori dell’intera storia del teatro musicale. Che poi il 900, che aveva profetizzato la morte dell’opera, di opere stupende ne abbia prodotte tantissime è un altro discorso.

Perché sono i cinquant’anni dalla morte di Dmitrij Dmitrievic, e più ce ne allontaniamo più la sua arte giganteggia: per la sua bellezza intrinseca, e anche perché pochi musicisti come lui incarnano splendori e miserie, artistiche e umane, di un secolo difficile come il suo (e anche nostro).

3 Perché bisogna verificare se si è d’accordo con Stalin. Il dittatore vide l’opera il 26 gennaio 1936, due anni e quattro giorni dopo la prima e dopo che stava girando, acclamatissima, tutto il mondo. A Iosif Vissarionovic piacque così poco che se ne andò prima del quarto e ultimo atto. Due giorni dopo, usciva sulla Pravda la famigerata stroncatura anonima, «Caos invece di musica», che stroncò definitivamente anche la vita di Sostakovic. Per anni, quest’ultimo dormì con una valigia pronta, convinto che sarebbero venuti nottetempo a prenderlo con un biglietto di sola andata per il gulag, o peggio.

Perché mai una notte di sesso è stata descritta in musica con l’impudenza trionfante di quella fra la borghese Katerina e il proletario garzone Sergej. Stalin, che era pur sempre un ex seminarista e molto pudico come quasi tutti i dittatori, ne fu scandalizzato. Curiosamente, la stessa reazione della stampa capitalista americana. Dopo la prima al Met nel ’35, il New York Sun scrisse che «Sostakovic è senza dubbio il maggior compositore di musica pornografica della storia dell’opera».

Sostakovic

 

Perché quest’opera dove Katerina ammazza prima il suocero, poi il marito e infine, deportata in Siberia, la ragazza con cui il suo amante la tradisce è anche divertente. «Una tragedia ironica», la definì infatti Sostakovic. La descrizione dell’ottusità poliziesca degli sbirri zaristi è un capolavoro di satira musicale. Peccato che si potesse applicare benissimo anche a quelli comunisti, con le conseguenze che abbiamo visto.

Perché in questo momento la Russia non ci è troppo simpatica. Ma quella che invade l’Ucraina ed elimina dissidenti non è la cultura russa, che continua a essere una parte troppo importante di quella europea, quindi di noi, per farne a meno. Putin va esecrato; Puskin e Musorgskij e Dostoevskij eccetera eccetera (e Sostakovic) vanno celebrati, anche perché svelano le perversioni di un potere che è di volta in volta zarista, comunista o putiniano, ma resta sempre criminale.

Perché Katerina uccide il suocero avaro e lubrico mettendogli il veleno per topi nella zuppa di funghi. Non so se, per la solita cena di parata post prima, lo chef stellato Davide Oldani abbia pensato ai funghi (sarebbe troppo bello); certo è che, dopo aver visto Lady Macbeth, guarderete ogni porcino con sospetto.

Perché Riccardo Chailly, al suo dodicesimo 7 dicembre e ultimo da direttore musicale, si muove di solito nel 900 come un paperotto nello stagno. Compagnia «etnica»: Katerina è Sara Jakubiak, in realtà americana di origini polacche; i due tenori sono Najmiddin Mavlyanov e Yevgeny Akimov (rispettivamente l’amante e il marito); il basso, Alexander Roslavets (il suocero tremendo).

Perché per l’occasione debutta alla Scala il regista Vasily Barkhatov, di rito «moderno» quindi pericoloso e già molto biasimato per una Turandot spericolata al San Carlo. Anche la sua Norma di Vienna con l’ex moglie Asmik Grigorian era assai audace, ma bellissima. E tuttavia Sostakovic non dovrebbe suscitare le ire del loggione (fischiabili, di regola, sono soltanto le opere italiane).

10 Perché quasi quasi rinuncio alla Scala per vedermi la diretta tivù e scoprire come Carlucci se la caverà con un’infilata di nomi russi composti quasi tutti di consonanti. Dopo una valanga di prime con la diva Anna, non aveva ancora imparato a dire Netrebko e continuava pertinace a ripetere «Netrenko»…

Alberto Mattioli / Federico Freni
Nel grigiore di una vita banale. Povera Lady, più vittima che colpevole
Il Foglio, 6 dicembre 2025

Ci siamo. Domenica si ripete il rito della prima della Scala (alle 18, diretta anche su Raiuno). In scena, Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmitrij Shostakovich, nel cinquantenario della scomparsa dell’autore. Dirige Riccardo Chailly, regia di Vasily Barkhatov, protagonista Sara Jakubiak. Presentazione in duetto.

Federico Freni:

Ed eccoci ancora al 7 dicembre, quest’anno con un titolo apparentemente meno “digeribile” di altri. Dopo il Boris Godunovdi due anni fa, di nuovo un’opera russa. Musica magnifica e soggetto direi quasi verista per quest’opera che, se ci pensiamo, ha meno di cent’anni, perché debuttò nel 1934). Insomma… cosa ci aspettiamo?

Alberto Mattioli:

La Lady Macbeth di Shostakovich è un grande classicone del Novecento, un secolo che aveva profetizzato la morte dell’opera lirica e invece ne ha prodotta una quantità singolarmente elevata di bellissime. Per il gran rito della Prima più prima che ci sia, direi che prevale un moderato ottimismo, come avrebbero detto i democristiani. Il titolo non è astruso anche per chi si è fermato più o meno a Puccini, e in ogni caso non pericoloso (leggi: non fischiabile. Nessun loggionista fischia Shostakovich, a meno di malefatte registiche particolarmente gravi), a parte per Milly Carlucci che su Raiuno dovrà esibirsi in una lunga serie di nomi russi, lei che per tre inaugurazioni non aveva ancora imparato a dire Netrebko. La scelta di un’opera russa mi sembra meritoria per ribadire che la Russia che invade l’Ucraina non ci piace e il suo regime criminale men che meno. Ma la cultura russa, sì, lei resta irrinunciabile. La persecuzione di cui fu vittima Shostakovich dimostra che la natura del potere russo non cambia. Stalin giocò con lui come il gatto con il topo, esattamente come Nicola I aveva fatto con Puškin…

FF:

Eh, sì. Dal giorno del famigerato articolo sulla Pravda che stroncò l’opera il povero Shostakovich dormì vestito, con una valigia piena accanto al comodino, convinto che sarebbero venuti a prenderlo per portarlo via. Per un certo periodo, mise addirittura una sedia sul pianerottolo, e si addormentava lì. Così, diceva, quando arriveranno non dovrò nemmeno svegliare mia moglie. Hai ragione, la natura del potere russo, direi forse la natura della Russia, non cambia. Cambia la nostra percezione, ma non la Russia. Ed è in questa linea, come fu per il Boris del 2022, che va letta, una volta di più, l’operazione di recupero che Chailly e la Scala hanno fatto: la cultura russa non è il regime russo. Non lo era ai tempi di Stalin, non lo è oggi.

AM

E’ interessante capire perché il regime decise di colpire proprio la Lady. Secondo me, le ragioni sono tre. La prima è la sfrontatezza sessuale dell’opera. Quel famigerato 26 gennaio 1936, quando Stalin andò al Bolshoi a vederla accompagnato da Molotov, Mikojan e Zdanov, la famosa descrizione della notte d’amore fra Katerina e il suo amante, con i glissando dei tromboni a mimare la penetrazione, fu ulteriormente accentuata dal direttore, Aleksandr Melik-pasaev, peraltro un favorito del dittatore, che sapendo che Stalin lo ascoltava “bombò” oltremisura l’esecuzione.
FF

Il mitico interludio del primo atto! In effetti, stiamo parlando di quello che si può considerare il più grande amplesso di tutta la storia del teatro d’opera… non c’è, musicalmente, Thaïs o Salome che tenga… e siamo pur sempre nel 1934!
AM

Questo il racconto di Bulgakov: “Sentendo su di sé lo sguardo dei capi, Melik infuria, salta come un diavoletto, taglia l’aria con la bacchetta da direttore, canticchia a bocca chiusa con l’orchestra. Da lui il sudore gocciola come grandine”. Gli ottoni erano stati rinforzati per l’occasione. Shostakovich era “bianco come un lenzuolo” perché aveva capito che quella musica andava, semmai, attenuata. Stalin, pur sempre un ex seminarista, era molto pudico, detestava le allusioni sessuali e ogni descrizione esplicita. In questo, le sue opinioni coincidevano curiosamente con quelle della stampa Usa. Dopo la prima americana, nel ’35, il New York Sun scrisse che “Shostakovich è senza dubbio il maggiore compositore di musica pornografica della storia dell’opera”, mentre il New York Times parlò di “impudenza”. 

FF
Mi convince. E le altre due? 

AM
Shostakovich inserì nel libretto la satira dei poliziotti zaristi, che nel racconto di Leskov da cui l’opera è tratta non c’è. Ma quella satira colpiva allo stesso modo, e forse di più, l’ottuso ma feroce regime staliniano. Infine, la musica della Lady Macbeth del distretto è troppo raffinata e cosmopolita, avanguardista e piena di citazioni per servire da indottrinamento politico per le masse: “Caos invece di musica”, come da titolo dell’editoriale non firmato (quindi ancora più temibile, perché si sparse subito la voce che l’avesse scritto Stalin in persona) apparso due giorni dopo sulla Pravda e le successive scomuniche a Shostakovich per “formalismo”. Erano tempi in cui una recensione negativa poteva significare il gulag, o il plotone d’esecuzione. Parlando da critico: bei tempi!

FF

Temo tu saresti già in Siberia da tempo.
AM

Sicuro!
FF

In ogni caso, per tornare alla musica, secondo me la Lady va letta e ascoltata insieme alla Quarta e, soprattutto, alla Quinta sinfonia. La reazione di Shostakovich alla gogna staliniana venne mascherata da un apparente patriottismo, che poi troverà (ma sono tempi diversi) il suo apice nella Settima sinfonia, quella scritta per celebrare la resistenza russa durante l’assedio di Leningrado. Ci sono, insomma, modi diversi di reagire ai soprusi del potere. Da noi si gridava “Viva Verdi!”, lì si cercava di portare a casa la pelle distillando gocce di libertà musicale. Ma tornando all’opera, il soggetto, se ci pensi, è verista al cento per cento, anche se musicalmente siamo lontanissimi. Eppoi, come in ogni soggetto verista che si rispetti, secondo me a Shostakovich la protagonista Katerina stava umanamente simpatica. Non ne fa una donna crudele (come la lady di Shakespeare e poi di Verdi), ma una ragazza che soffre il grigiore di una vita banale.
AM

Certamente. Infatti Shostakovich omette dalla novella di Leskov il fatto che Katerina diventi madre e, costretta all’esilio in Siberia, abbandoni il figlio senza troppi rimorsi: “L’amore che provava per il padre, come accade spesso alle donne troppo passionali, non si era trasferito sul bambino nemmeno in minima parte”, scrive Leskov (in occasione della prima la Garzanti ha ripubblicato la novella nella sua collana dei “Piccoli grandi libri”). In Shostakovich, Katerina è più vittima che colpevole, fra un marito insulso e forse impotente, un suocero avaro e lascivo e un amante interessato e, alla fine, infedele, in un ambiente da deep Russia zarista che si immagina angusto e noioso come la Russia staliniana, anche se meno pericoloso. E’una parola che va usata con parsimonia, all’esatto contrario di quel che succede oggi, ma Katerina sembra davvero una vittima del patriarcato…
Tornando alla Scala, dimmi da chi ti aspetti di più: direzione, regia o cast?
FF

Mi aspetto moltissimo da Chailly, che in questo repertorio ha sempre fatto magie e così pure da Barkhatov che per me è un geno assoluto (la sua Norma lo scorso anno a Vienna resta uno degli spettacoli più belli degli ultimi tempi). Quanto al cast, io, purtroppo, ho in testa la Vishnevskaya e Gedda… quindi taccio.
AM

Voi melomani siete sempre gli stessi. Primo requisito delle grandi voci: appartenere a persone morte. Comunque hai ragione, questo Sant’ambroeus promette bene.
FF

Non resta che goderselo.

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