mercoledì 24 dicembre 2025

La parte delle emozioni

Mario Ricciardi 
La politica non può rimuovere le emozioni

il manifesto, 24 dicembre 2025

L’inconscio è tornato. Così si apre la lezione tenuta nei giorni scorsi da Amia Srinivasan, professoressa di teoria politica a Oxford. Titolare di una delle cattedre più prestigiose del Regno unito, non si rivolgeva a un pubblico solo di accademici. Prendeva la parola, infatti, per tenere una delle Winter Lectures, il ciclo di conferenze pubbliche organizzate dalla London Review of Books diventato negli ultimi un appuntamento da non perdere nella vita culturale londinese.

In che senso è tornato l’inconscio secondo Srinivasan? L’affermazione fatta dalla studiosa non va intesa in senso letterale (se accettiamo che ci sia un inconscio, nel senso di Freud, è evidente che esso in qualche modo permane, anche quando non ne siamo consapevoli), ma va letta piuttosto come un commento sul clima culturale di questa «età morbosa» nella quale conflitti, crisi sociale e instabilità economica si associano a fenomeni molto più difficili da isolare, quantificare, e spiegare, perché riguardano la sfera delle emozioni. La provocazione lanciata da Srinivasan scardina le premesse culturali che negli ultimi decenni ci hanno condotto a dimenticare la centralità di questa dimensione emotiva del comportamento umano, vedendola solo come un fattore di disturbo della razionalità, da correggere, o da sfruttare, per promuovere pratiche «virtuose» attraverso appositi dispositivi istituzionali (i nudge di cui parlavano in un libro che fu molto popolare qualche anno fa Richard Thaler e Cass Sunstein).

La dimensione emotiva cui allude Srinivasan annunciando il ritorno dell’inconscio non è quindi soltanto un fattore causale, tra gli altri, che possono spiegare o orientare il comportamento umano, ma una modalità di reazione all’ambiente nel quale ciascuno di noi vive che non si può comprendere se non si tiene conto delle rappresentazioni che compongono la realtà sociale come essa viene percepita. Questo è cruciale in una società permeata di messaggi che si rivolgono alle emozioni più che alla ragione.

Secondo alcuni ciò richiederebbe misure di controllo che tengano a bada gli aspetti «irrazionali» del comportamento. Ma, oltre a essere una battaglia persa in partenza, quella dei difensori di un Grande fratello liberale e ben intenzionato è una campagna destinata a approfondire il solco che separa le persone l’una dall’altra, indebolendo ulteriormente, con la politica, la stessa democrazia. L’odio, l’amore, la passione per qualcosa o per qualcuno non sono fatti bruti da ridurre all’attività del cervello o del sistema nervoso. Sono invece aspetti dell’esperienza che colorano e arricchiscono di sfumature un mondo che le scienze sociali quantitative ci presentano in bianco e nero.

Rivalutare questa dimensione emotiva respingendo l’interdetto – ideologico più che scientifico – nei confronti di ciò che non si può descrivere senza ricorrere a un linguaggio inevitabilmente vago, e riottoso alla disciplina imposta dalle definizioni come è quello su cui nel corso degli anni hanno richiamato l’attenzione autori come Fanon o Marcuse, è nel contesto attuale un gesto di liberazione filosofica che crea lo spazio per una più ampia sensibilità morale e politica. Un modo di entrare in relazione con gli altri che non consiste esclusivamente in interazioni strategiche tra agenti razionali, ma recupera il valore dell’impegno comune. La «scelta dei compagni» di cui parlava molti anni fa Ignazio Silone.

Una politica che si occupa, oltre che dell’attuale, del possibile, rimette in gioco l’immaginazione, una facoltà che il neoliberalismo ha privatizzato con risultati che sono a loro volta tra le maggiori cause di sofferenza emotiva e di disagio della nostra società, come con sempre maggiore allarme ci segnalano psicologi del lavoro e psicoanalisti. La parola d’ordine di un approccio all’inconscio che accolga l’appello lanciato da Srinivasian nella sua lezione non può essere dunque «adattarsi», ma riconoscersi reciprocamente come esseri umani il cui valore risiede nella comune eguaglianza e dignità, non nella flessibilità di cui siamo capaci nell’adeguarci alle richieste di chi esercita potere sulla nostra vita.

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