domenica 7 dicembre 2025

La logica imperiale di Trump

Mario Del Pero
Sovranista, imperialista, suprematista: la dottrina "eurofobica" di Trump

Domani, 7 dicembre 2025

È in seguito a una legge del 1986 che le amministrazioni statunitensi sono obbligate a presentare al Congresso una dottrina di sicurezza nazionale, una National Security Strategy (NSS). Prodotte con cadenza quasi annuale, da inizio ventunesimo secolo – con la famosa prima NSS di George Bush Jr. del settembre 2002 – le NSS si sono fatte più lunghe, articolate e infrequenti: di media una per ogni mandato presidenziale. Con poche eccezioni, sono documenti anodini e generici. In quanto pubblici non possono rivelare intelligence sensibile né fornire indicazioni minute su obiettivi e strumenti della politica estera e di sicurezza. Delineano una cornice di massima e offrono non di rado un messaggio politico se non ideologico, più che strategico e dottrinale.

Estrema e finanche caricaturale in non pochi suoi passaggi, la NSS appena resa pubblica dall’amministrazione Trump accentua marcatamente questo aspetto. Costituisce un manifesto politico-ideologico ben più che una bussola che indica le coordinate di massima – operative e concettuali – della sicurezza nazionale. Quattro sono i tratti fondamentali di questo manifesto: le categorie, e gli slogan, con i quali è possibile compendiarne il contenuto binario e la retorica sovraccarica.

Il primo è quello di sovranismo. I riferimenti alla sovranità sono meno frequenti rispetto all’altra NSS di Trump, quella del 2017, che si apriva con l’invito a tornare a «difendere la sovranità senza doversene scusare». Continuano però a essere fondamentali. È, questa, una sovranità funzionale a emancipare gli Usa dal reticolo d’interdipendenze che caratterizza il sistema internazionale contemporaneo. A liberarli dall’abbraccio mortale dell’interdipendenza securitaria, attraverso lo sviluppo di un sistema di difesa antimissilistica che li renda nuovamente invulnerabili. Ad affrancarli da catene globali di valore sui cui tanti stadi hanno poco o nullo controllo, attraverso processi di reindustrializzazione («il mondo appartiene ai “creatori” (makers) – proclama il documento – «gli Stati Uniti reindustrializzeranno la propria economia»). Ad emanciparli dalle costrizioni del diritto internazionale, del multilateralismo e delle istituzioni della governance globale (dall’Onu al Wto, non un cenno è riservato a esse): «invadenti organizzazioni transnazionali», si afferma, «che minano la sovranità».

La seconda categoria è quella di imperialismo. Che scorre sottotraccia ma evidente in vari passaggi del documento. E che viene esplicitata senza remore nella parte sull’America Latina, dove si presenta l’approccio statunitense come espressione di un «corollario Trump alla dottrina Monroe». Un corollario famoso e fondamentale a quella dottrina, che la piegava in senso scopertamente interventista e, appunto, imperialista, fu quello del presidente Theodore Roosevelt del 1904. In virtù del quale, il monito originario di Monroe – quello alle potenze europee di non ingerire nelle vicende interne delle Americhe – si accompagnava alla rivendicazione del diritto degli Usa a intervenire militarmente quando fosse necessario ripristinare ordine e stabilità: a esercitare un’azione «di polizia internazionale» laddove «comportamenti illeciti» mettessero in discussione i «legami fondamentali della civiltà».

E di «civiltà», concetto problematico come pochi altri, si parla a più riprese nel documento. Sostanziandone il terzo tratto: quello di un suprematismo che emerge con forza in numerosi passaggi: dagli inviti a «rinvigorire la salute spirituale e culturale» del paese, celebrandone «le glorie e gli eroi del passato» e riattivando un modello di «famiglia tradizionale che cresce figli sani» ai numerosi attacchi a modelli cosmopoliti e globalisti, come quelli di un’Unione europea, che – si sostiene - avrebbe dolosamente perduto la fiducia in sé stessa come parte della «civiltà e dell’identità occidentale». Si arriva finanche a sostenere che in pochi anni alcuni paesi europei saranno in maggioranza «non europei» e ciò potrebbe mettere in discussione la loro aderenza ai valori occidentali dell’alleanza.

E questo ci porta al quarto e ultimo tratto: una ostilità all’Unione europea che talvolta tende a tracimare in vera e propria eurofobia (peraltro centrale nella cultura della Destra statunitense oggi). È, quella descritta dal documento, una Ue che soffoca «la libertà di parola, reprime le opposizioni politiche», provoca «il crollo dei tassi di natalità, la perdita delle identità nazionali e della fiducia in sé stessi». Un’Europa che, scorrendo il documento, si palesa come il vero e proprio nemico degli Stati Uniti da combattere dando pieno sostegno ai «partiti patriottici europei», ché tra tutte le sovranità da rispettare – per questa amministrazione – oltre a quelle dei paesi latino-americani non sembra rientrare neanche quella europea.

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